domenica 26 febbraio 2012

la vita quotidiana come rappresentazione


« Nello sviluppare lo schema concettuale adoperato in questo studio, è stato fatto uso di un linguaggio teatrale. Ho parlato di attori e di pubblico, di routines e di parti, di rappresentazioni che riescono e rappresentazioni che si afflosciano, di "imbeccate", di ambientazione scenica e di retroscena, di esigenze, capacità e di strategie drammaturgiche. Adesso bisogna ammettere che il tentativo di spingere una semplice analogia fino a questo punto è stato in parte frutto di uno stratagemma retorico. »

La vita quotidiana come rappresentazione[1] è un libro di "pre-sociologia" di Erving Goffman. È stato pubblicato originariamente nel 1959. Usa la metafora del teatro per raffigurare l'importanza dell'azione umana - cioè, sociale.
Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Prospettiva drammaturgica.
La vita quotidiana come rappresentazione
Titolo originaleThe Presentation of Self in Everyday Life
AutoreErving Goffman
1ª ed. originale1959
Generesaggio
Sottogeneresociologia
Al centro dell'analisi resta la relazione tra recita e ribalta. A differenza di altri autori che pure hanno fatto ricorso a quest'ordine d'immagini, Goffman sembra prendere in considerazione tutti gli elementi della recita: un attore svolge la sua parte in un'ambientazione teatrale che si compone di un palcoscenico e di un retroscena; i vari elementi del gioco s'influenzano e sostengono reciprocamente. Difatti, egli è osservato da un pubblico, ma al contempo egli è un pubblico per la "parte recitata" (nello specifico rituale interattivo) dai suoi stessi spettatori.
Secondo Goffman, l'attore è in grado di scegliersi il palco e chi gli farà da "spalla" (teatralmente parlando; il compare, se vogliamo generalizzare), allo stesso modo in cui è libero di scegliere il costume di scena più adatto. Lo scopo principale dell'attore è mantenere la coerenza espressiva, adattandosi ai differenti palcoscenici che gli vengono di volta in volta proposti.

Indice

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La definizione della situazione [modifica]

Una nozione capitale che Goffman discute in tutta l'opera è la fondamentale importanza di avere una definizione della situazione concordata nella data interazione, allo scopo di mantenere la coerenza di quest'ultima. Nelle interazioni, o rappresentazioni che dir si voglia, i partecipanti possono essere simultaneamente attori e pubblico; gli attori di solito tentano di far prevalere quelle immagini di loro stessi che li pongono favorevolmente in luce, ed incoraggiano gli altri soggetti, in vario modo, ad accettare la loro definizione della situazione preferita. Goffman riconosce che - quando la definizione accettata della situazione ha perso credibilità - alcuni degli attori, o tutti, possono far finta di niente, se trovano conveniente una tale strategia o desiderano mantenere la pace. Ad esempio, quando una signora che partecipa ad una cena formale - e si sta certo sforzando di apparire favorevolmente - inciampa, chi le sta vicino può fingere di non aver visto il suo contegno maldestro: costoro la appoggiano nel tentativo di "salvare la faccia". Goffman asserisce energicamente che questo genere di artificiosa e deliberata credulità si manifesta ad ogni livello di organizzazione sociale, dall'empireo alghetto.

Osservazione stilistica [modifica]

La tecnica argomentativa dell'autore è assai peculiare: si avvale di un apparato aneddotico di sorprendente ampiezza, e molto spesso preferisce non esplicitare le proprie conclusioni, ma piuttosto demandarle all'elaborazione critica del lettore. Sotto quest'ultimo profilo, è stato rilevato[2] che Goffman assume una singolarissima posizione nell'ambito dei riconosciuti maestri della sociologia contemporanea, caratterizzandosi per questa descritta sorta di understatement (tipicamente anti-autoritario).

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