lunedì 22 dicembre 2003

dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggero

Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggero. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggero. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggero. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggero. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggero. Ma come qual altro? Non vi piacerebbe che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggero. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggero. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggero. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggero. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggero. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggero. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta nè più nè meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggero. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggero. Nè anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggero. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggero. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggero. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggero. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggero. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.

mercoledì 17 dicembre 2003

Combal0.1

Vanessa Beecroft: The Sister Project

Dopo il primo post sull'esperienza vissuta al Combal.0, che ha suscitato pareri discordi nei nostri lettori, lo staff di E-blog si pregia di pubblicare un nuovo articolo di Davide Cavagnero sull'argomento.
Buona lettura!


Tutte le coppie citate nell�apologia/recensione del combal.0 seguono in stretto parallelo i modi e i contenuti dell�esperienza fatta a tavola, ingigantiti dal confronto con Scabin. Premetto che se non avessi sentito parlare un depositario di un sapere gastronomico e prettamente pratico, parlare di morale del gusto e ricalibrazione dell�approccio sensoriale al cibo, non mi sarei sentito in dovere di approfondire. Ma tant��.
Il libro su Harry Potter, il fumetto di Pkappa, le opere della Beecroft e l�Anticristo racchiudono altrettante esperienze consonanti e prossime, non solo dal punto di vista temporale, alla cena di sabato. Sono esperimenti che muovono nella stessa direzione concettuale.
I libri sul maghetto sono fiction pura, ma trovarne richiami nella letteratura mitologica mondiale, codificata da millenni, � uno sforzo notevole per addobbarne di ufficialit� i riferimenti culturali, spogliati dal loro status di semplice lampo nell�immaginazione feconda di J. K. Rowling. Dal mercato alla letteratura.
Pkappa � la mercifiazione del talento italiano nelle storie Disney, quasi un insulto all�Accademia Disney italiana che per decenni ha firmato e esportato in tutta Europa il vero spirito della masnada di topi e paperi, ormai smarrito da tempo nel Regno della Fantasia ufficale. Ne risulta quindi uno sforzo simile, ma molto pi� muscolare (perch� controcorrente) e in direzione opposta, a quello su Harry Potter. Dalla letteratura al mercato.
Il dialogo cromatico di Beecroft � ricco di densit�, ma volutamente povero di sfumature e di riferimenti al singolo uomo, messo in mostra o posto di fronte alla mostra, sempre incapace di riconoscersi come uno. Rivoli ha conosciuto i fasti sabaudi, l�abbandono successivo e poi il restauro che, per quanto bello, � tutt�altro che discreto, e rende il castello una vittima del tempo che passa: lentamente per gli stilemi settecenteschi, velocemente per le scelte di restauro, disumanamente veloce per Beecroft. A differenza del Combal, qui si tiene tutto, si va ad affastellare verso la saturazione, dire tutto per non dire quasi pi� niente, avvicinare i tanti per non trovare pi� l�unico. Di mercato, qui, ce n�� pi� d�uno.
Se avessimo dato ascolto agli ultimi fuochi della mente onnivora di Nietzsche, avremmo tolto di mezzo le stratificazioni pacifiste e non istintive della cristianit� occidentale, per abbracciare l�ebbrezza dell�aurea grecit� che racchiude nel suo cuore mitico la spinta Uber tanto cara al baffone tedesco. Basta letteratura, basta mercato.
Le scelte di Scabin muovono in una direzione nuova per le rotte gastronomiche, che risulta ancora difficile da codificare e intuire. Certo, non attraccher�, se condotta con il vento dell�ispirazione e della coerenza, in nessun porto conosciuto. Ma attraccher�, in ogni casa, in questa dimensione, in questo spicchio di societ�. Solo, da un�altra parte �penso- lontanissima. Le distanze per� si colmano a velocit� triplicata da qualche decennio a qualche parte. Prima di imparare l�arte della guerra per resistervi, converr� metter mano agli atlanti e ai testi di geografia (economica, politica, sociologica,�).

Davide Cavagnero

giovedì 11 dicembre 2003

Trash

Labranca sforbicia la formula aurea del trash: intenzione meno risultato ottenuto uguale trash. Esempi: "Nel programma di vendite a domicilio Domenica con Semeraro, il presentatore Walter Carbone cerca di emulare Pippo Baudo, ma non potendo invitare Madonna e dovendo ripiegare su Mario Tessuto, il suo risultato è trash. Nei suoi libri e film Alberto Bevilacqua cerca di emulare certi artisti aulici, ma innestando l’estetismo decadente sulla crapulaggine parmense, il suo risultato è trash". La formula si applica in tutti i campi: la crema alla nocciola Niger imita la Nutella, Dick Drago plagia Dylan Dog, Mariotto Segni posa con la famiglia davanti ai fotografi come Clinton. Calma: a ridere sono capaci tutti, soprattutto chi alza la zampa e fa snobisticamente pipí, territorial pissing intellettuale, si trincera in un Cerchio Magico di Orina Metaforica sgocciolando sghignazzi sulle sottoculture. Labranca ce l'ha con Guido Almansi che fa lo schizzinoso davanti a un picnic di tifosi laziali dipinti a olio da Riccardo Tommasi Ferroni; se la prende con le battute della Gialappa’s Band in Mai dire tv; dimostra come tre minuti di una vecchia canzone di Baglioni surclassino centinaia di pagine dei giovani scrittori italiani.
Il trash sarebbe dunque la forma espressiva delle fasce sociali di recente urbanizzazione, tecnologizzate, mediatizzate e colonizzate culturalmente (insuperabile il capitolo che analizza uno spot africano degli anni Sessanta), ma forse un po’ meno omologate dai cliché di quanto - da Pasolini in poi - siamo abituati a sentirci ripetere. A Labranca non interessa poi tanto imbastire una sociologia della cultura di massa: sta di fatto che il suo saggio invoca massimo rispetto per la paradossale libertà d'espressione presente proprio in questi deprecati atti di travestitismo esistenziale, anche quando indossano i panni della piú scontata icona pop o del solito archetipo sessuale rifritto e aggiornato dai rotocalchi: libertà espressiva che secondo Labranca è il primo dei cinque pilastri del trash insieme a contaminazione, incongruità, massimalismo e emulazione fallita. Il fallimento dell’emulazione è cruciale proprio perché impedisce la produzione di cloni seriali consenzienti, facendo invece fibrillare dall’interno i modelli imposti: i linguisti chiamerebbero effetti di sostrato questi riverberi della lingua colonizzata sulla grammatica della lingua colonizzatrice.
Il trash è una condizione spontanea, inconscia, originaria: percepirlo consapevolmente equivale a sentirsene esiliati. Non rimarrebbe che esibire di tanto in tanto i propri trofei trash in maniera compiaciuta, ludica, con distacco autironico e colto (camp), oppure fare di tutto per espellerne paranoicamente ogni traccia, atteggiandosi a sublimi abitatori di culture epurate e dorate (kitsch). L’articolazione distintiva della triade trash/camp/kitsch è uno degli apporti piú preziosi di questo libro. Ma c'è un’altra via: Labranca istiga a diventare Giovani Salmoni del Trash, a gettarsi nel torrente dei pregiudizi estetici imposti dalla presunzione kitsch: "Dobbiamo essere pronti a risalire questo fiume ribollente di boria e ignoranza, dobbiamo raggiungerne le fonti e renderle aride". I maestri e i compagni di strada si trovano un po’ dappertutto: "Cronaca Vera", Nando Cicero che dirige Franco Franchi in Ku Fu? Dalla Sicilia con furore, Gian Carlo Mangini alias El Cubano vignettista di "Le Ore", Renato Carosone, i 25-35enni che da bambini si sono formati sull'enciclopedia I Quindici...


Tiziano Scarpa

domenica 7 dicembre 2003

Sic transit gloria mundi vol. IV

L'ex presidente della Camera dei Deputati, che aveva fatto rimuovere la "Venere dormiente" di Luca Giordano da Montecitorio in quanto ritenuto "quadro discinto", sta ballando il tango su Canale 5 con Kledi Kadiu.

sabato 6 dicembre 2003

Post-moderno

Il termine "post-moderno" designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. La questione decisiva, per me, é questa: per quanto riguarda la scrittura, la pittura, il buon cinema - insomma gli oggetti della nostra creatività -; si può dire che è il sistema che li produce? Le automobili si vede bene che le produce il "sistema", che ci sono uomini che si mettono al servizio della produttività, in modo da conseguire una perfezione sempre maggiore. La stessa cosa si può dire per i missili interstellari o per gli aereoplani. Ma quando si scrive, quando si dipinge, quando si fa musica: si può dire che è il sistema a produrre tutto ciò? C'è una azione del sistema, sia pure inconsapevole e invisibile?
Di fatto il carattere invasivo dello sviluppo e della logica della produzione penetra addirittura nei laboratori, nelle redazioni, persino nella camera dove lo scrittore lavora per ottenere, alla fine, il prodotto che il sistema saprà smerciare e far circolare.
Credo che la crisi delle cosiddette "avanguardie" derivi dal fatto che il sistema impone questo ordine: "ne abbiamo abbastanza di pittori inguardabili, di scrittori illeggibili, e così via. Dateci dei prodotti decifrabili e spendibili!". Non dimenticherò mai un editore che un giorno mi disse: "senta, noi la pubblichiamo, però ci dia qualcosa di leggibile!". Che cosa voleva dire? Esigeva una merce che potesse essere messa in circolazione sul mercato culturale. Qui subentra la nozione di "industria culturale": il sistema penetra fin nella testa del pittore, del cineasta o dello scrittore per fargli fare ciò di cui il sistema ha bisogno, perché la cultura continui a circolare.
Immaginate Van Gogh davanti alla scelta del giallo o del rosso. Si vede bene che qui c'è un lavoro sul colore, che non è richiesto da nessuno se non dallo stesso Vincent. Ma da dove sorge l'esigenza che ci fa perseverare nello sforzo di pensare, di scrivere o di fare della musica o della pittura o di produrre immagini?
Secondo me noi siamo abitati, senza saperlo, da quella che Lacan chiamava la "cosa", che non è mai soddisfatta. Siamo abitati, nelle produzioni simboliche, dal mercato culturale, dal sistema, da ciò che esige comunicazione e circolazione. Il sistema non è mai soddisfatto dei nostri scambi comunicativi con gli altri: probabilmente non ci domanda niente, ma verso di esso ci sentiamo in debito.
In realtà dovremmo tentare, non direi di esprimere, ma almeno di dare forma a ciò che esso rifiuta. E' un atto di resistenza: e solo questo atto può essere all'origine delle opere culturali, comprese le opere inutili.


Jean-François Lyotard
Il superfluo come surrogato dell'indispensabile.

giovedì 4 dicembre 2003

Una settimana da stronzo by Deboscio

Lunedì: a casa dvd e canna
Martedì: alla stecca all'Isola
Mercoledì: aperitivo da Claudio in Via Spadari, Mom dopo mangiato e poi Magazzini Generali
Giovedì: Rocket e poi Hollywood
Venerdì: Gasoline
Sabato: a casa dvd e canna
Domenica: Plastic

Complimenti alle tipe Vol. II

Hai una bellissima dentatura. Se fossi un mercante di schiave penso che ti comprerei.

mercoledì 3 dicembre 2003

La commozione di un attimo

E' all’ora di cena cerco sempre con un po’ di nostalgia quel contenitore in metallo che Calvino chiamava pietanziera. Naturalmente non la trovo, perché tutto è cambiato, i proletari che le usavano sono stati decimati e in assenza di domanda anche l’offerta cala. Quindi, in attesa di vedere una collezione completa di pietanziere quadrate, tonde e ovali esposta al MOMA di New York, ho iniziato a cercare un loro sostituto nel neoproletariato. Ho scoperto che in questa evoluzione del proletariato non era il contenitore, ma il contenuto ad avere importanza. Il cibo, cioè, visto come sostentamento non del corpo, ma delle esigenze di eleghanzia.
Ho compiuto la prima ricerca nei ristoranti che a Milano, come ogni altra cosa, hanno prezzi vergognosamente pompati, ma il neoproletario è più che disposto a sacrificare una provvigione o la più grossa fetta del suo salario pur di sentirsi inserito nel mondo che cambia e diventa una cosa sola.
Prima dell’avvento del neoproletariato cibo era sinonimo di casa. Lo stesso Fantozzi, nella coercizione di tutta una giornata di lavoro noioso, trova l’unico sollievo nel pensare al menu che lo attende a casa e annunciatogli dalla moglie sin dal mattino. E al suo ritorno grida liberatorio: “Pina, sono pronti gli spaghetti con il tonno? E’ tutta la giornata che ci penso…”. Come Tigrotto, protagonista di libri francesi per bambini, che in “Tigrotto è in vacanza” rientra da un giro del mondo e sente di essere finalmente tornato nella pace della sua campagna francese solo quando si siede a tavola e “cena tranquillamente davanti al televisore”. Come Marcel Proust che, sotto gli ippocastani di quella stessa campagna francese di Tigrotto, alla tensione e alla tempesta dei sensi provocate dalle lunghe letture di avventure esotiche contrapponeva l’aspettativa domestica e tranquillizzante del “buon pranzo che Françoise stava preparando”.
Nel mondo del neoproletario il cibo deve invece essere qualcosa che porta lontano da casa e i sapori noti lo fanno fuggire rapidamente dal desco familiare. Un’icona del neoproletariato, Max Pezzali (Week End, 1992), è uno dei primi che, al pensiero di dover mangiare “pasta in brodo oppure minestrone, ad andar bene un po’ d’affettato” scappa di casa e va alla ricerca di un tavolo in qualche locale, ma li trova “tutti pieni” della folla di neoproletari gastronomicamente apolidi alla domenica sera.
Il neoproletario è un Proust che non legge e quindi nel cibo sino-giapponese o messicano o indiano trova quella tensione e quella tempesta delle viscere che lo scrittore francese trovava nei libri d’avventure.
Io invece sono un neoproletario e ogni volta che vado al Take Away Cinese Peruviano, di fronte a quell’unione di occhi a mandorla e nasi aztechi mi chiedo quale strano legame vi sia tra Cina e Perù. Una contaminazione reale, nata fuori dalla vacua aspirazione iconografico-pacifista delle ideologie patinate che nutrono l’eleghanzia.
Intorno a me, seduti all’unico tavolo o alla lunga mensola a muro, i Peruviani mangiano menù veramente contaminati di riso alla cantonese e lomo saltato, accompagnano l’arroz cheufa con i wanton e se ne fregano delle speculazioni intellettuali sul melting pot preferendo a questo l’ultimo l’uso concreto del wok. Intanto parlano male dei loro principali nelle imprese di pulizie per le quali lavorano, brindando con bicchieri colmi di Inka Cola, un liquido dolciastro e giallo oro che, come specifica il nome, è di chiara provenienza peruviana. Sotto i neon di questo Take Away ho visto mangiare in fretta allo stesso tavolo un transessuale peruviano già in abiti da lavoro e un ambulante cinese con a fianco il cesto di gadget, entrambi pressati da una notte di lavoro che li attendeva in una città che si finge multirazziale, ma che costringe quelle razze a vivere in zone, con momenti e davanti a cibi ben diversificati. Sul tavolino di fronte alla strana coppia sino-peruviana le vaschette di stagnola che contenevano il cibo non avevano assolutamente quel fascino glam che invece io vi trovavo, vittima della asimmetria neoproletaria che fa vedere l’inesistente quando questo è utile al raggiungimento del pluscool.
[Quando esco dalla rosticceria, anzi take away, come vuole la glamourizzazione neoproletaria, mi sento molto up-to-date, molto baudrillardiano, lyotardiano... Mi sento come il protagonista di uno squallido articolo sui single metropolitani, quelle collazioni di banalità composte da qualche zitella della provincia comasca, fiera di essere arrivata in città e di scrivere per un femminile patinato, una che non sa cos’è il neoproletariato, che ha in casa un intero servizio per il tè che ha comperato in Marocco e se ti invita a cena ti costringe a mangiare un cous cous cucinato malissimo, ascoltando musica etnica, ma evita ogni rapporto con i veri maghrebini ai semafori. Una che vive spinta dalle peggiori aspirazioni all’eleghanzia, che desidera essere una intellettuale, ma che non sarà mai un’intellettuale minimalista, non avendo sviluppato alcun senso critico verso i neopadroni; è solo uno dei tanti ingranaggi della manovalanza editoriale di cui il potere si serve per riempire le riviste tra un inserzionista e l’altro.]
Uscito dal take away camminavo con in mano le vaschette calde e insieme al profumo degli gnocchi di riso aspiravo un aroma di intellettualità, urbanità e multiculturalità.
A casa, togliendo il coperchio alle vaschette, ho anche pensato per un momento agli immigrati che in Rocco e i suoi fratelli piangevano quasi quando un parente appena arrivato a Milano portava loro delle arance dalla loro terra. Pensavo: io non ho terra, non ho un cibo che posso legare alla mia infanzia. Però ho contenitore di cibo che posso legare alla mia infanzia: la pietanziera. E lì, seduto sul divano, mentre guardavo senza capirlo un qualsiasi canale del bouquet satellitare arabo, mi accorsi che la vaschetta di stagnola da cui mangiavo gli gnocchi di riso era metallica e quadrata come le pietanziere usate da mio padre molti anni prima. Il neoproletariato che nasceva dalle ceneri (da un riciclaggio impossibile di metalli) del vecchio proletariato. Il Tesoro ritrovato. La commozione di un attimo.

Tommaso Labranca

martedì 2 dicembre 2003

I corpi li unisce il piacere, le anime il dolore
Guido Ceronetti

lunedì 1 dicembre 2003

Adriana Calcanhoto

Adoro vedere i film in lingua straniera, perchè così quando non capisco i dialoghi penso che abbiano detto cose che mi piacerebbe dicessero.
Lo stesso capita con le canzoni, specialmente quelle brasiliane quando non capisco qualche parola.
C'è una canzone di Adriana Calcanhoto (una cantante che adoro perchè ha una voce pulita ed educata, come il suo volto, come le cose che scrive) che si chiama Esquadros, in cui lei si descrive e dice cose bellissime, che io ho un po' stravolto in maniera che mi piacessero:
Io vado per il mondo
divertendo la gente
piangendo al telefono
vedendo il dolore degli altri
dalla finestra della mia stanza
dal finestrino della mia macchina...
Io vedo tutto attraverso una cornice,
io vado per il mondo
e le auto vanno verso dove?
I bambini verso dove corrono?
Perchè canto?
Mi sveglio e non ho nessuno al mio fianco