giovedì 30 marzo 2006

una settimana a milano

pranzo ekatana

menu razziale

cena shambala

Il direttore del Grand Hotel Gallia, Piero D. P., 44 anni, originario di Bressanone, è precipitato attorno alle 19.30 dalla balaustra interna del settimo piano, sfracellandosi nella hall.
Suicidio? Malore? O semplice incidente? Secondo le prime informazioni, Piero D.P., sposato con una cittadina inglese e padre di 3 figli, soffriva da tempo di crisi depressive.
E questo orienterebbe l’ipotesi del suicidio. Ma in albergo si avanza con forza la possibilità di un improvviso malore o di una mossa sbagliata, un inciampo, che avrebbe fatto precipitare nel vuoto il direttore del Gallia.
"Era affacciato alla balaustra - è l’impressione di due persone all’interno della hall due, che si scambiano commenti -. Lui spesso si affacciava da lì per vedere come andavano le cose alla reception".
Altra ipotesi: davanti alla balaustra c’è un tavolino, forse l’uomo vi è inciampato al momento di affacciarsi - com’era solito fare, abbiamo visto - a guardare verso il basso.
"Non era malato e non soffriva di depressioni - smentisce il responsabile della catena alberghiera Starwoods, della quale il Gallia era entrato da poco a far parte -: il direttore era una persona tranquilla".
Mentre la gran parte del passaggio viene dirottata verso un’uscita laterale, dall’esterno della facciata principale si osserva un paravento davanti all’area nella quale l’uomo è precipitato. Attorno, molta concitazione, come se tutti i dipendenti del Gallia fossero qui concentrati. Ma l’attività di ricezione prosegue senza apparenti intoppi. Dietro la porta girevole, il portiere in livrea accoglie i clienti come sempre.


Hello Kitty

Le teste agli angoli delle strade

ho visto cose...

I like you

mercoledì 29 marzo 2006

la donna della mia vita è la prima che passa
labranca intervista genna

intanto dies irae prosegue perfetto, facendo sempre la cosa giusta, tipo non fingere di essere un romanzo.
effettivamente mi chiedo come si possa ancora scrivere romanzi.
non a caso labranca, ildeboscio, genna, non scrivono romanzi.

martedì 28 marzo 2006

Far insegnare il corano nelle scuole come dice Diliberto potrebbe essere l'idea per rendere davvero serio l'impegno degli studenti: se tagli o non studi tuo padre ti fa ammazzare

lunedì 27 marzo 2006

Il Caimano

Il Caimano

Il Caimano è bellissimo.
Il cinema è un’arte che non è ancora iniziata, che sola può tramandare la complessità eteronomica di un’idea (non la letteratura, che ha bisogno di parole organizzate in ragionamento che spiegandosi accumulano un ritardo fattoriale con il flusso del pensiero) completa dell’evocatività dei suoni e delle visioni che l’accompagnano: il 99,9% dei film girati dal 1890 ad oggi sono tableaux vivants monodimensionali, fotografie di un angolino di una stanza finta; il Caimano non è ancora puro cinema, la capacità di far librare la pura idea in volo verso il sogno, ma è la vita che si vive nell’attesa / speranza di poter sognare.
Il Caimano è la vita com’è, questo tempo orientato e mosso dall’amore e dalla sua ricerca, anche se poi l’amore è così poco: Silvio Orlando ama sua moglie Margherita Buy, per lei lavora, ma il lavoro va male e così anche l’amore, perché l’amore non si alimenta senza condizioni di vita, senza denaro, e nella correlazione denaro-potere il potere è identificato con Berlusconi, rappresentato da una molteplicità di non-interpreti perché non può essere rappresentato in quanto non-persona ma figura, incarnazione della volgarità della corporeità, del desiderio di carnalità rispetto alla pretesa idealità della purezza dell’amore (Berlusconi tocca le majorettes ed espone le ballerine, sposta denaro e potere; Silvio Orlando tocca la moglie solo per amore paterno, non muove soldi e non ha potere, può fare quello che pensa e agire solo quando ha denaro, e lo ha solo quando altri glielo danno, esprime la condizione di non potersi permettere le proprie idee e di dover dipendere dagli altri, che a loro volta non sono autonomi: la Rai non si può permettere la libertà, il produttore polacco non può fare il film senza Michele Placido, Placido insegue i suoi desideri carnali, e per poterlo fare liberamente si unisce al vecchio regista cui lo accomuna la necessità di lavorare, che accomuna poi tutti, compreso Berlusconi e il finanziere.
Silvio Orlando ha idee che non si può permettere, donne che non gli concedono credito, senza amore si tormenta e non riesce nemmeno a pensare, le banche così gli tolgono credito come le donne, quando la fiducia degli altri a sprazzi dopo tanti inutili sforzi ritorna, tutto torna a funzionare, ma intanto vive in lui una sommessa e dignitosa tristezza, la solitudine e sperdutezza del pomeriggio dell’esistenza, che il tempo e la fiducia progressivamente vengono meno però deve andare avanti, perché non può fare nient’altro: la concretezza del fare solo ciò che si può fare, anche se il cuore sta per scoppiare, è l’età adulta che lo accomuna alla segretaria, che anche quando tutto è perduto dice che il film si deve fare, i due personaggi veri e positivi del film e sono coloro che dicono di aver votato Berlusconi (chi, come Moretti e la regista dice di aver votato sinistra, nel film è egoista / idealista).
E in mezzo a questo bisogno di andare avanti comunque, di investire a fondo perduto in noi stessi anche se è sbagliato perché solo noi abbiamo, il potere e la politica come componenti dell'esistenza e le frizioni che sono sfridi dello sforzo per l'affermazione, c’è l’ironia della riflessione sulla propria condizione, la seduzione con le automobili proprio dopo il divorzio, il tenero catalogo di manie tipiche da film di Margherita Buy e condensate nella scena del campo di calcio, il bisogno di credere nonostante tutto, che tutto andrà bene, che il film si farà, che si farà almeno un giorno, almeno un minuto, almeno l’aver vissuto, l’allontanarsi del finale mentre brucia un fuoco.
Well it’s not too late
tonight
to drag the past out
into the light
we’re one
but we’re not the same
we get to carry each other
carry each other
I say
Love is a temple
Love is a higher law
Love is a temple
Love is the higher law
I ask you to enter
but then you don't make me crawl
One love
One blood
One life
You got to do what you should


Mary J. Blige & U2 - One .mp3

domenica 26 marzo 2006

Il dies irae di Genna

Ieri sera ho iniziato a leggere il Dies Irae di Genna, le prime 20 pagine.
Il libro è emozionante già solo comprarlo: quella massa di 800 pagine ti fanno capire che chi lo ha scritto ci ha creduto, che in retro di copertina non c'è una foto dello scrittore in posa da scrittore.

Baricco

 Tondelli

Bevilacqua

Mazzantini

Lo leggi, e ti sembra di essere seduto in un locale figo con una tipa figa che hai sempre sognato di conoscere e che conosci solo da 30 secondi ma lei ti ha chiarito che non ci sta dentro a non averti ed è ricchissima e piena di sorprese ed ha scarpe e vestiti bellissimi, e ti porterà in posti dove non sei mai stato ma dove ti sentirai sempre come se fosse la tua vita.
Genna infatti lo ha scritto parola per parola, non c'è un passo che vabbè e passi avanti, anzi ci sono delle parti anche descrittive tipo il cielo d'italia proprio belle da leggere, che di solito le descrizioni fanno schifo e le ho sempre saltate da dosto a flaubert ecc., e soprattutto pensi a manzoni quando dice del cielo di lombardia e in confronto fa pena (ok, quello faceva pena in assoluto).
Genna ti legge i giornali del 1981, romanza la realtà e l'unico difetto è che viene fuori una realtà romanzata, ovvero Pertini per esempio non risulta quello che era, ovvero un testardo dalla visione ristretta, che col tempo da sfigato nano testa di cazzo diventa un uomo tutto d'un pezzo.
Il libro inizia con alfredino nel pozzo a vermicino, e riesce a portarti lì a vivere la cosa, lo fa con la maestria di non fartela vedere e non ti fa pensare pezzo di merda scrittore sfigato che uno si crede e magari guadagni meno di un direttore di banca e stai raccontando del morto per vendere il libro peggio di un venditore di spazi seat pagine gialle, e però non ti fa imbarazzare come invece sono imbarazzanti le cose che ti fa pensare tipo che 25 anni dopo stiamo vivendo la stessa cosa ovvero scompare un bimbo rotto (Alfredino cardiopatico, Tommy epilettico), si fa ogni sforzo per salvarlo però male (l'approssimazione dei vigili del fuoco [che il capitano dei vigili alfredino lo aveva visto in televisione] come del ris di parma [che adesso c'è il telefilm dove non sbagliano]), perchè questa italia tutto cuore poca testa tanto impegno poco risultato si specchia nel voglio fare le cose, anche male, ma voglio farle io, voglio provare com'è, poi la vita mi piegherà ma voglio vivere la cosa, voglio avere un figlio, mio, in questa vita, anche malato quando sarebbe meglio lasciar perdere, e come pertini va a vermicino e fa male giovanardi dice che gli olandesi sono nazisti con l'eutanasia infantile per non dire che hanno ragione (avessi una casa di campagna tipo quelle annose cadenti vetuste antiche che si vedono sulla asti-casale farei dipingere di un nero polveroso sulla facciata la verità è fascista) perchè anche se le cose stanno così tra cento anni ovviamente l'eutanasia ci sarà, però ovviamente oggi è oggi e questo non c'entra e il libro di genna è bello perchè ti fa sentire come stessi vivendo ieri oggi come se fosse domani.
E ho letto solo 20 pagine.

sabato 25 marzo 2006

E’ sempre il ragazzino sfigato tra i pubblicitari vestiti Armani che parla, straparla.
Parla a una velocità insopportabile. E’ incontestabilmente brillante. Non è soltanto la bamba. E’ magro come un chiodo, e manifesta il tremito dei poveri. Quelli che vanno al Berchet tentando il riscatto sociale. Questo tizio non ci è riuscito e fa il buffone per i suoi amici, attira pubblicitari in massa. E’ un Trivial Pursuit completo di domande e di risposte, a cui è impossibile giocare. Sta dicendo che l’86 è stato comunque dominato dalla stimmung degli Ottanta circoscritta in meno di due ore di cinema, Via Montenapoleone, con Carol Alt e Luca Barbareschi e Renée Simonsen e Marisa Berenson. Chiunque si ricorda di Renée Simonsen, ululano e alzano i cocktail, urlano “Grande!”, il ragazzino è scatenato. Patetico. Specifica che la regia è di uno dei Vanzina e non di entrambi. Il ragazzino non è monocorde, sa sospendere la narrazione, sa dilatare i tempi di attesa, sa scegliere il momento dello scioglimento aneddottico, sa colpire la scena, coinvolge, utilizza trucchi retorici. A questo gli è servito il Berchet. Qui finisce l’illusione di arrampicare sulla parete della classe dirigente. Le fiche si avvicinano ai suoi amici. Se lui vuole scopare, ha sbagliato tutto.
Anche Paolo Rossi e Fabrizio Bentivoglio, in Via Montenapoleone.
Monica ha pagato le ventimila per il Gin Rosa, ma non si allontana, è nel cerchio dei pubblicitari. Lo show del ragazzino vestito male è meno coinvolgente di uno sketch ma più spettacolare della noia di Raffa e della cumpa (con un occhio alla cumpa, vede Raffa troppo vicino a Elena, l’ultima aggregata, una stronza che ha fatto l’Erasmus alla London School of Economics, economia finanziaria, e non ha altro ruolo che fare la stronza e quindi è chiaro che vuole farsi Raffa e vuole che Monica li veda parlare così vicino, l’uno all’orecchio dell’altra, per la musica altissima, per altro, per tutto quello che a Monica annoia e non fa problemi, è la ragazza senza problemi, la musica batte altissima, una sfera di vibrazioni vocali ambigue e un tema inafferrabile, Personal Jesus dei Depeche).
Il ragazzino non la smette, i gruppi si fondono intorno a lui, forse neanche si è fatto di bamba: è lui la bamba. La lambada, è lui. Incredibile: sta raccontando la trama di Via Montenapoleone. Montenapoleone è solo il road show di personaggi bidimensionali, che hanno la profondità di Minnie Minoprio. Divagazione su Minnie Minoprio che è finita a posare in orge per giornalini porno, soprattutto Men. Attendiamo Delia Scala che fa un pompino su Le Ore. Tutti ridono. I personaggi di questa storia: Balzac in formato tascabile, solo che non è Balzac ma uno della levatura del Catozzo di Faletti.
Tutti ridono, il ragazzino è adrenalina. Usa un tono patetico, modula le narrazioni, è povero in canna e può contare solo sull’eloquio e la narrazione, è il buffone di corte, Monica non se lo scoperebbe mai e poi mai, iniziano a inanellarsi relazioni effimere e volanti tra modelle e pubblicitari e tutti quelli attorno al ragazzino che fa il suo show e quasi urla le parole, parole nel frastuono del Gesù Personale dei Depeche, tutti attorno al ragazzino, a questo clown che l’organizzazione dell’Hollywood dovrebbe o pagare o mandare a cagare. Via Montenapoleone è l’epica all’epoca degli stronzi. Li sta provocando? Sta provocando tutti e tutti ridono... Via Montenapoleone è storia corale di piccole vicende, di amare esperienze, di incontri e di abbandoni e di non poche sciocchezze. Ridono, nessuno da secoli ha più sentito pronunciare la parola “sciocchezza”. In Via Montenapoleone alcune storie si intrecciano, altre avranno un seguito. Renée Simonsen fa Elena, una fotografa che ha più successo di Fausto Biloslavo, ma deve pagare i debiti di un padre che non fa un cazzo a parte i debiti.
Iniziano a scatenarsi sensi di colpa. Il ragazzino affonda il suo coltellino svizzero nel vissuto di chi lo ascolta, sta provocando, nessuno capisce che li sta provocando tutti.
Fausto Biloslavo è il fotografo rapito in Afghanistan, un anticompagno di quelli tosti e il ragazzino lo ha nominato per provocarli tutti, perché qui non c’è un compagno che sia uno, i compagni non si vedono più, il rosso sta stingendo in rosa. Il ragazzino provoca dissimulando. Tutti si riconoscono nelle sue dissimulazioni e le credono verità o sciocchezze, questo è il trucco. Elena, la fotografa, scopa a destra e manca, ma è insoddisfatta e però rimane incinta e alla fine si terrà volentieri il figlio che deve nascerle, sposando un amico. Questo è il tocco Vanzina: il realismo di De Sica più la verve cazzara di Antonio Ricci e Tinì Cansino. Ridono. Altro personaggio, una chicca: Carol Alt, che è Margherita, una bella donna borghese, ricca ma assai annoiata: innamoratasi di un architetto, un play-boy come tanti, ne verrà poi lasciata e rientra delusa nei ranghi familiari. Sta provocando. Sta facendo l’anagrafe sociale di chi lo ascolta. Marisa Barenson è Francesca, che invece lavora con efficienza, estremamente possessiva nei confronti del figlio adolescente, timidissimo con le ragazze e avviato alla scoperta del sesso da Chiara, la socia in affari della madre, poi sconvolta dalla scoperta. “Ve l’ho detto: è il neorealismo cazzaro, cronaca nerorosa riscritta mettendo in bocca le parole a Paolo Rossi. E’ Sergio Vastano che prende il posto di Luchino Visconti. E’ arte, ragazzi. Tra qualche anno la metteremo nei musei, ci faremo dei programmi televisivi, su questa roba. L’arte è roba. Sono dei geni.
Utilizzano copiosamente modelle e vi prego di guardarvi attorno, se non è realismo...”. Le modelle attorcigliate ai pubblicitari non capiscono, i pubblicitari attorcigliati alle modelle ridono. Realismo cazzaro artistico, dice il ragazzo. Ultimo affondo di trama: in Via Montenapoleone tra fotomodelle e mannequin, professionisti e giornalisti, spicca Guido, cioè Barbareschi, un omosessuale riservato e sensibile, poi coraggiosamente cosciente e difensore della propria condizione, aiutato (a modo suo) da una madre comprensiva. “E’ un outing reale al culmine della finzione del decennio. Se dico che è massimalismo, non capite. E’ massimalismo in linea coi tempi. Il cast al completo ce lo troviamo a maggio in platea sotto la piramide di Panseca al congresso di Craxi”. Ridono, di meno, era il finale, la provocazione deve sempre scadere nella propria autorivelazione: non ha più l’obbiettivo di fare ridere, ma di farsi capire a metà.
Li piglia per il culo, prende a dire che gli anni Ottanta hanno avuto inizio con McEnroe, ricomincia a variare. Caleidoscopico ma piccino. Irriverente ma non incisivo. Il suo è uno show: personale. Le sue scarpe sono bucate. I pantaloni di velluto a coste troppo grosse: roba da mercato rionale.


Giuseppe Genna, DIES IRAE
L'inganno del caimano
un bell'articolo di filippo facci

venerdì 24 marzo 2006

zeitgeist remix 240306 provenzano dj

Il monito di Ciampi: Abbassare i toni
Scritti da Bin Laden i bigliettini trovati a Milano nel 2001
Cavaliere, non Caimano
Le trentenni preferiscono il cerotto
Platinette addio
Coldiretti, presentata la Wine Tour Cup

offlaga disco pax vs remo remotti

il peggio

del peggio

del peggio

anche se il peggio sono comunque loro

giovedì 23 marzo 2006

Newz

Melissa Theuriau

Melissa Theuriau

Melissa Theuriau

Melissa Theuriau

mercoledì 22 marzo 2006

Lord Brummel, alla domanda d’un conoscente: "Quale è il vostro lago preferito?" rivolse la domanda al proprio maggiordomo: "Charles, quale è il mio lago preferito?", e il maggiordomo: "Credo sia il lago di ..., signore".
E Brummel, tornando a rivolgersi all’ospite, gli ripetè il nome del lago.


Filippo Nardi l'ho incontrato da discoid una volta. è entrato ha comprato 20-30 dischi a caso, ha preso il numero di un paio di ragazze, ha salutato e se n'è andato.

martedì 21 marzo 2006

i 2 test definitivi

http://www.digitalronin.f2s.com/politicalcompass/questionnaire.php

http://www.ilcircolodimohr.it/jokes/jokes/pork_converter.htm

venerdì 17 marzo 2006

Universo giusto

Fossi Telly Savalas nella sporca dozzina appena entrato avrei chiesto se c’è una sala da pranzo senza negri o almeno senza quarantenni in baccaglio, ma ogni cosa che si scrive o si dice è sempre scritta o detta tale non per chi la pensa, ma per chi la ascolta o legge, perché vige un conversation code come un dress code e al panino giusto di porta ticinese c’è questo conversation code che i quarantenni in baccaglio parlano di come le cose le avrebbero fatte bene anche se finora non sono andate bene e anche chi scrive scrive leggi dico che non mi piace la gente per piacere a certa gente.
Sì, siamo usciti insieme e ti scateno la technique, ti racconto per filo e per segno oppure ogni tanto infilo la battuta, ti racconto di politica ed economia, dell’economia in germania, che viene voglia di andare davvero in germania a prendere un panino giusto, e fare il drill-down dell’universo, calcolare quanto costa il pane e la farina del panino e capire come si è arrivati alla farina e e poi è aumentato il costo con l’euro perché c’è stata la rivolta tipo come se fosse leggi: ho fatto il classico di manzoniana memoria, e poi davvero capire se è meglio il comunismo o il libero mercato, che la risposta già la sappiamo, che in un mondo perfetto non ci sarebbe il consumismo, ma poi gli uomini per andare avanti hanno bisogno della paura di cadere, del desiderio di schiacciare, e allora ogni forma di razzismo è legittima, contro i negri i brutti gli stupidi gli storpi, e questo più che nazismo è comunismo, come se il nazismo non fosse nato come un bisogno delle persone per la sicurezza di non essere proprio gli ultimi dell’universo (lo diceva gene hackman in missisipi burning, se non sei meglio di [negro / storpio / ebreo / italiano / chissà cosa sarà schifato in futuro], di chi sei meglio?(pensa paradossalmente gene hackman in quel film diceva le cose per scopare, ma in realtà qualsiasi attore e qualsiasi cosa si dica la si dice per mangiare, quindi il cinema non è finzione, ma come dentro un film mi vedrai arrivare un giorno, perchè la vita è un film in cui ognuno ha una parte, però perlopiù da comprimario e allora i film aiutano a vivere meglio questa condizione di chi non riuscirà mai ad arrivare anche se la speranza è l’ultima a morire e l’ultima cosa che un uomo vorrebbe fare è appunto l’ultima cosa che un uomo fa, appunto morire come diceva buffalo bill nel film di altman che non c’era dustin hoffman ma c’era paul newman), sì l’universo dicevamo di questo drill-down, pensa a un pugno di farina nella tua mano e vertiginosa l’escalation del pensiero all’universo che si espande senza sosta dopo il big-bang, ecco io mi chiedo:
ma ci pensi a quanto costa questo sospiro dell’universo?
Se vuoi, se sei un quarantenne in baccaglio, potresti dire (ma vale anche per un bambino di 4 anni con gli occhiali correttivi di plastica, perché quel che conta è immaginare di vedere, oppure vedere davvero e non la montatura, anche se poi la differenza tra vivere bene e vivere male è la montatura, come tra peripatetico e peripatetica è una vocale) che c’è lo spreco di questo respiro enorme infinito dell’universo che si espande, che ha un costo enorme, un debito che viene pagato con il dolore di chi lo deve pagare, e allora c’è questo riporto d’amore che tutti dobbiamo sacrificare per il respiro, e allora la vita degli uomini è infelice perché è loro destino vivere ed esistere solo all’interno di questo respiro ed essere appena il combustibile e la percezione di essere questo pulviscolo di respiro è la cosa più insopportabile, e allora c’è questa gente che è felice che non ha fatto il classico [leggi: ho fatto il classico] che ignora totalmente le dinamiche dell’universo, anzi in realtà le dinamiche dell’universo nessuno le conosce, oppure guarda le conoscevano già, pensa a copernico che non aveva niente a disposizione e aveva già capito (e quindi il nichilismo è quando hai capito solo a metà e pensi che valga buttar via la vita, che comunque è l’unica cosa che hai, e allora la tieni e la sopporti anche se non va bene, perché comunque hai solo quella), e cosa gli serviva aver capito se poi magari non l’aiutava a essere felice, o pensa a giordano bruno che ingaggiava la sua battaglia di astuzia con il tribunale pontificio e poi è morto bruciato, oppure bruno giordano che invece ha giocato con maradona e non vede dio in ogni cosa ma comunque il suo mondo è un pallone.
E pensa, se tu fossi un quarantenne in baccaglio avresti affrontato le origini dell’universo solo per scopare stasera (ma non a caso diresti, se avessi fatto il classico e storia dell’arte, perché c’è un quadro che si intitola l’origine del mondo e sembra che l’ha dipinto schicchi), ma invece questa sera io sono tutta la gente di tutte le parti, non sono solo uno ma sono anche bino, mentre gli altri parlano io mi metto qui in disparte a scrivere una poesia su un tovagliolino, ho un giubbotto aspesi e pinketts non è nemmeno troppo lontano, attraversata la strada c’è il trottoir con tutta la gente strana che si presuppone, si richiede che ci sia in quel locale e dica quelle cose ad alta voce perché ci suonano i the dragons con il cantante rockabilly basettone, e allora proprio te la scrivo una poesia su milano, che le parole fanno male, ma non fanno morire, anche se poi magari viene un mal di stomaco incredibile appena vedo quella persona particolare e la delusione ti porta a perdere e ti lascia abbandonare fino davvero a morire, ma questo è un’altra storia e forse è davvero un po’ cremonini, e invece io ti scrivo sul tovagliolino di questa poesia su milano che sembro anche un po’ niccolò fabi che vive a roma come vincenzo, che poi alberto lo odiava ed è venuto a milano, e ha scritto milano e vincenzo e io invece ti scrivo solo
milano:
sei il centro
per cui si deve passare
sei il piacere
del viaggio da fare
la delusione
dell’arrivare
sei l’emozione
della scoperta
nella prima adolescenza
sei l’ansietà
e l’importanza
del vedersi vivere
nella parte cruciale
dell’esistenza
sei il dolore
di un amore
e comunque
il piacere sottile
in tanto soffrire
di amare
nell’età della ragione
il tempo di fare
quello che tutti si aspettano
tu debba fare
sei il declino
la stanchezza
il continuare a vivere
l’unica cosa
rimasta possibile
nonostante
insopportabile
sei il desiderio di costruire
il doversi sporcare
il compromesso di lavorare
la necessità di prevaricare
l’ammissione dell’imperfezione
la delusione del fallire
l’impossibilità di abbandonarsi
sulle rotaie della metropolitana
la multa che arriva a casa
per chi intralcia il traffico
nel suicidarsi
nel lasciarsi andare
sei il poter far tutto
e desiderare
quel che non si può fare
non far niente
sei il posto da cui fuggire
sei la casa che non è casa
per nessuno
filippino
albanese ivoriano
cingalese
il provvisorio il sopportare
lo stare male
lo stringere i denti
fingere di sorridere
costretti a guardare
quello che si diventa
e non si è voluto
ma ormai è stato
il baratro sempre aperto
il futuro interinale
che ti fa accontentare
l’ostentazione che colma il vuoto
il dolore superato
con il dolore provocato
sei figli e cani
cresciuti dai filippini
l’esternalizzazione degli affetti
come clienti paganti
mai contenti
nel riporto
che si fa di questo amore
che perde nel trasporto
dell’iva il suo valore
sei tutto malgrado tutto
sei niente indifferente
sei il premio di un lavoro fatto bene
l’ostentazione della plusvalenza
costruita sulla sofferenza
la necessità di lavorare
iscrizione alla società civile
pagarsi il mangiare
di materia immateriale
l’aperitivo per la cena
la colazione per il pranzo
la cucina a microonde
gli amori a microonde
lavoro duro
basta che fatturo
non ho tempo per arrivare
dove non ho voglia di andare
l’equilibrio dell’espansione
sulla capacità di sopportazione
l’orgoglio di restare aggrappati
a questo tram che ha per forza motrice
la combustione delle speranze
delle tipe fighe a pagamento
ogni tre mesi una settimana
il divertimento come lavoro
il lavoro finto come divertimento
sei le cose come sono
sei il tempo che viviamo
sei la vita che siamo
il bisogno di amore
e nonostante tutto
non ti amo.
Facci caso: le tipe con le gambe belle anche se sudate i piedi non gli puzzano di sudore, c’è una logica sesquipedale che adesso sarebbe sesquipedale andarti a spiegare, e infatti brad pitt non te la spiegherebbe, però prenderebbe l’apecar e andrebbe al tutti giù per terra vestito male, avvicinerebbe le ragazze e direbbe loro “at veni a fè un giro with me nella zona industriale e poi fermuma e vat sburambuca” e riempirebbe il rimorchio dell’apecar di tipe vogliose che non sanno leggere i dolci e puri sentimenti dei bravi ragazzi che vivono nell’illusione di avere sentimenti più belli di brad pitt e più degni di essere amati come tutti pensano di essere degni amati, verso sera, e quindi io te l’ho spiegata con le parole e brad te l’ha spiegata con l’azione, proprio come secondo comunismo dà il suo apporto in base alle proprie competenze, e allora il comunismo esiste già.
Facci caso: pessoa diceva che se avesse sposato la figlia della sua lavandaia sarebbe stato felice, e dicendolo si riteneva al tempo stesso meglio e peggio della figlia della lavandaia (in realtà sperava che la figlia della lavandaia le leggesse e lo sposasse, ma leggi, la figlia della lavandaia non faceva il classico e ognuno fa le cose per fare altre cose però bisogna farle bene, e invece così pessoa è morto solo e con i vestiti sporchi [di vomito], ma come jimi hendrix, allora se il microcosmo è diverso il macrocosmo è tutto uguale, e serse di fronte all’esercito si mise a piangere perché di lì a cento anni sarebbero tutti morti, e io poi avrei fatto il classico), come ognuno sempre si sopra/sotto/valuta, perché la cosa più difficile è accettarsi, ma che poi è la cosa che tutti fanno, e infatti accettano l’invecchiamento, la solitudine, e anzi sono contenti perché almeno non ne hanno più paura, come le amputazioni fa più impressione vederle che subirle, e infatti poi corrono alle paraolimpiadi e invece io non sopporto e mi fa impressione e cambio canale, perché mi imbarazza troppo, però anch’io ho la passione per le cose imbarazzanti tipo questa cosa che sto scrivendo che stai leggendo.

giovedì 16 marzo 2006

Unsensitive

dire alla segretaria di contattare una sensitiva per ritrovare il telecomando del garage
Britney's Guide to Semiconductor Physics

Britney's Guide to Semiconductor Physics

ah, dimenticavo, qual è la forma dell'universo?

la forma dell'universo

la seconda che hai detto.
Si, proprio con il big bang e l'inflazione, la materia oscura e l'energia oscura, con l'universo permeato da un campo con brusca transizione di fase, che quando l'universo era ancora giovane, ha causato un'accelerazione dell'universo tale che le varie regioni dello spazio in quel periodo si sono allontanate a velocita' superiore a quella della luce.

sabato 11 marzo 2006

I duri non usano internet

venerdì 10 marzo 2006

ildeboscio

giovedì 9 marzo 2006

A dispetto di quel che da tempo attestano, unanimi, i sondaggi, il risultato delle elezioni che si terranno il 9 e 10 aprile appare ancora quantomai incerto.
È questo un buon motivo perché il direttore del Corriere della Sera spieghi ai lettori in modo chiaro e senza giri di parole perché il nostro giornale auspica un esito favorevole ad una delle due parti in competizione: il centrosinistra.
Un auspicio, sia detto in modo altrettanto chiaro, che non impegna l’intero corpo di editorialisti e commentatori di questo quotidiano e che farà nel prossimo mese da cornice ad un modo di dare e approfondire le notizie politiche quanto più possibile obiettivo e imparziale, nel solco di una tradizione che compie proprio in questi giorni centotrent’anni di vita.
La nostra decisione di dichiarare pubblicamente una propensione di voto (cosa che abbiamo peraltro già fatto e da tempo in occasione delle elezioni politiche) è riconducibile a più di una motivazione.
Innanzitutto il giudizio sull’esito deludente, anche se per colpe non tutte imputabili all’esecutivo, del quinquennio berlusconiano: il governo ha dato l’impressione di essersi dedicato più alla soluzione delle proprie controversie interne e di aver badato più alle sorti personali del presidente del Consiglio che non a quelle del Paese.
In secondo luogo riterremmo nefasto, per ragioni che abbiamo già espresso più volte, che dalle urne uscisse un risultato di pareggio con il corollario di grandi coalizioni o di soluzioni consimili; e pensiamo altresì che l’alternanza a Palazzo Chigi - già sperimentata nel 1996 e nel 2001 - faccia bene al nostro sistema politico.
Per terzo, siamo convinti che la coalizione costruita da Romano Prodi abbia i titoli atti a governare al meglio per i prossimi cinque anni anche per il modo con il quale in questa campagna elettorale Prodi stesso ha affrontato le numerose contraddizioni interne al proprio schieramento.
Merito, questo, oltreché di Romano Prodi, di altre quattro o cinque personalità del centrosinistra. Il leader della Margherita Francesco Rutelli, che ha saputo trasformare una formazione di ex dc e gruppi vari di provenienza laica e centrista in un moderno partito liberaldemocratico nel quale la presenza cattolica è tutelata in un contesto di scelte coraggiose nel campo della politica economica e internazionale. Piero Fassino, l’uomo che più si è speso per traghettare, mantenendo unito e forte il suo partito, la tradizione postcomunista nel campo dominato dai valori di cui sopra. I radicalsocialisti Marco Pannella e Enrico Boselli che con il loro mix di laicismo temperato e istanze liberali rappresentano la novità più rilevante di questa campagna elettorale. Fausto Bertinotti, il quale per tempo ha fatto approdare i suoi alle sponde della nonviolenza e ha impegnato la propria parte politica in una nitida scelta al tempo della battaglia sulle scalate bancarie (ed editoriali) del 2005.
Noi speriamo altresì che centrosinistra e centrodestra continuino ad esistere anche dopo il 10 aprile. E ci sembra che una crescita nel centrodestra dei partiti guidati da Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini possa aiutare quel campo e l’intero sistema ad evolversi in vista di un futuro nel quale gli elettori abbiano l’opportunità di deporre la scheda senza vivere il loro gesto come imposto da nessun’altra motivazione che non sia quella di scegliere chi è più adatto, in quel dato momento storico, a governare. Che è poi la cosa più propria di una democrazia davvero normale.

Paolo Mieli

Aonde voam as águias

Liverpool - Benfica 0-2

mercoledì 8 marzo 2006

E' difficile scendere a compromessi con la scarsità postbellica di quello che effettivamente si può fare o non si può fare. Non c'è molto da fare per sembrare interessanti. C'è la competitività: se vuoi piacere a una donna devi sembrarle almeno un attimo più interessante di qualcun altro. Anche il virtuale affonda nel ferale. E si ritorna al sistema di riferimento. Sistema talmente permeato dalle cose, che nelle infinite dimensioni virtuali tutto muta, nulla ha prezzo e tutto ha valore. Ed è finalmente la sega, è l'innamorarsi e sapere solo tu che lei è speciale.

Come a carnevale, il giorno in cui non esistono limiti alla creatività, il giorno in cui “io sono così, quello che avrei sempre voluto essere” non si vedono che travestimenti tristi e scialbi. Travestimenti che sanno di stantio, di cultura cinematografica e televisiva rimescolata a fuoco lento e quindi evaporata, lasciandosi dietro solo uno strato di malinconia spesso come burro bruciato.

Travestimenti che urlano a pieni polmoni “è un anno che aspetto di vestirmi così e, udite udite, non riesco comunque a stupire neanche me stesso.” E ancora “Questo è il mio meglio, affrancato da qualsiasi vincolo estetico, ma fa schifo comunque”. E’ il momento in cui il virtuale prende atto della sua sconfitta, e desideroso di salvare un briciolo di dignità si suicida lanciandosi contro la sciabola del reale.

Tutto implode, tutto collassa, tutto torna.

Sono questi i vostri sogni? E’ tutto qui il vostro mondo interiore?

Le linee della vita, che siano tracciate su una mano o tra due assi cartesiani potranno anche essere infinite, ma tendono comunque ad un gorgo, noi.


Mondi possibili e la banalità del virtuale

martedì 7 marzo 2006

la notte degli oscar

lunedì 6 marzo 2006

amo tutto

amo tutto ciò che è stato,
tutto quello che non è più,
il dolore che ormai non mi duole,
l’antica e erronea fede,
l’ieri che ha lasciato dolore,
quello che ha lasciato allegria
solo perché è stato, è volato
e oggi è già un altro giorno.

pessoa

domenica 5 marzo 2006

Paolo Conte e i ragazzi del Salera

dopo i sublimi intarsi di dribbling al salera,
ora sulla blogosfera,
allepreseconunverdeblog

sabato 4 marzo 2006

il buon gusto colpito da un meteorite

Cabello

l'installazione + scandalosa di cattelan

le signore del mio palazzo

venerdì 3 marzo 2006

L'utente del forum del deboscio

Ho 22 anni, studio economia ed effettivamente me la passo bene. I miei sono entrambi avvocati, ma non ho voluto seguire le loro orme perché non mi va di essere bollato per sempre come “il figlio di”. Non mi fanno mancare nulla: auto, vestiti, svaghi… e nonostante spesso mi si consideri un ragazzo viziato, in realtà io so di meritare tutto ciò: sono perfettamente in corso, aiuto in casa, curo talvolta anche i bilanci dello studio dei miei. Non come alcuni dei miei amici che girano col mio stesso rolex oyster (regalatomi per il mio primo 30) senza però aver dato nemmeno un esame. Li odio, non so come facciano a non sentirsi in colpa. Ricordo un anno in cui non festeggiai il mio compleanno perché fui bocciato ad economia aziendale. Ma la colpa fu mia. Si perché io non sono uno di quei tipi che frignano additando l’assistente come “lo stronzo” ognivolta che l’esame va a cazzo. E’ sempre colpa tua, il caso non c’entra mai. L’università è fondamentale: prendere una laurea ti fa guardare le cose da una prospettiva più completa. Questo lo so perché i miei me lo hanno insegnato: loro sono partiti da zero, e io mi ritengo fortunato. Sono un tipo molto sveglio, ho miliardi di interessi, credo di essere l’unico nella mia città che suona Heavy Metal, legge Schopenauer e ama fare clubbing. Il tutto con il mio stile: so benissimo come presentarmi in ogni situazione: in disco sempre in tiro ma con discrezione; vesto di qualità, ma quella qualità che solo in pochi possono percepire (ad esempio tengo sempre sbottonato l’ultimo bottone del polsino della mia giacca su misura). Se la comitiva (e io di comitive ne giro parecchie, dai figli dei parlamentari a i figli dei fruttivendoli, perché bisogna parlare con tutti ma non dare confidenza a nessuno) è più modesta cerco di non dare nell’occhio, ma serbo sempre quel dettaglio che chi vuole può cogliere. Gli abiti, le scarpe, l’orologio sono una divisa per un uomo: non bisogna mai sentirsi inferiori. Tutt’al più in casi estremi bisogna comunque dimostrare una certa dignità. Non puoi in ogni caso stonare con l’ambiente che ti circonda. Vivo non proprio al centro, ma non è il quartiere che fa l’uomo.
Il deboscio l’ho conosciuto per caso, per le magliette. Ero dal parrucchiere e ti vedo su Max (che leggo solo lì, beninteso) questi ragazzi quasi miei coetanei che proponevano assieme alle magliette anche una filosofia di vita che è perfettamente in linea con la mia. Cioè quasi, perché effettivamente alcuni aspetti della mia vita erano un po’ poveri. Adesso leggendo il sito, i loro libri e frequentando il forum credo di aver capito perfettamente il loro pensiero e sono intervenuto su di essi. L’altro giorno volevo comprare i braccialetti di gomma della nike ma ripensando all’articolo che loro hanno scritto ho evitato di sporcare il conto della mia american express con una cosa “povera”. Mi sono reso conto che sono circondato da poveri. Ma ora mi sento un debosciato so che non sarò mai come loro. Sul forum poi ho imparato tanti modi di rispondere a tono quando litigo con un povero. In università un giorno una mia amica aveva sclerato e io le ho detto “controllati, non sei mica una scimmia!” Avreste dovuto vedere come ci è rimasta di merda… Ormai riesco a distinguerli perfettamente, i poveri. Mi sono pure iscritto su 2.0. Che risate. Prendere per il culo i bambinetti con le foto di Kakà o delle macchine modificate è uno scherzo, così come abbindolare le troiette di 15 anni con le foto delle vacanze valtur, o che si danno baci saffici davanti l’asse da stiro.
Vorrei tanto conoscere i tipi che stanno dietro a questa rivoluzione culturale. Adesso so cosa e come leggere, cosa e come guardare, cosa e come comprare.

giovedì 2 marzo 2006

Neruda deboscio

Il povero è lo schiavo dell'abitudine, ripete ogni giorno gli stessi percorsi, non cambia la marca, non rischia, non parla a chi non conosce.

Il povero preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i", cerca di concentrarsi sul particolare perchè fa fatica a capire le cose nel complesso.

Il povero non capovolge il tavolo, il povero è infelice sul lavoro ma non rischia la certezza per l'incertezza; il povero passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Il povero non fa domande sugli argomenti che non conosce, ma si affanna a rispondere quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Il povero preferisce morire a piccole dosi, perchè per lui essere vivo è appena respirare.

Il povero fa della sopportazione l'illusione della sua felicità.
La più sensazionale e assordante scoperta della scienza moderna - «perché ormai di scoperta si tratta e non di semplice teoria» - è che l’intero universo proviene da un’unica immane esplosione avvenuta 14 miliardi di anni fa. Ce l’abbiamo fatta.
Se ancora non sappiamo bene dove andiamo, almeno sappiamo con certezza da dove veniamo.
Forse presagita da qualche mestatore cinese dell’antichità, o da un monaco tedesco del 1300 mentre miscelava quantità di salnitro, carbone e zolfo, la soluzione dell’origine del mondo è merito di tutti, perché a differenza di altre luminose conquiste della conoscenza non è stata rivendicata da nessuno.
Certo non la colse per primo l’inquietante autore di «eureka», né fu l’abate Lemaître, il meteorologo Friedman o il fisico Gamow, e meno che mai l’imprescindibile Albert Einstein, sebbene un contributo non indifferente spetti all’astrofisico Fred Hoyle, che derise apertamente la grande esplosione come «un’idea da preti», poi paragonandola a una ballerina che salti fuori da una torta durante una festa di compleanno.
Eccepì che «in fisica e in termodinamica un’esplosione è sempre una conseguenza, mai una causa» e chiamò appunto questa «barzelletta» ironicamente «big bang».
E Big Bang fu.

La spiegazione cosmologica, a cui aderiscono con poche eccezioni decine di migliaia di astronomi professionali, prescrive «energia e densità infinità, originariamente priva di elementi costitutivi, esplosa istantaneamente nel nulla sotto forma di punto senza località e dimensioni».
In altri termini, la creazione simultanea e trascendentale del tempo, dello spazio e della materia realizzati con propagazione «superluminale» nei pressi dell’«istante zero».
Le due prove fondamentali e (niente affatto) indipendenti di questa «apparizione mariana» sono il sistematico spostamento spettrale verso il rosso delle galassie esterne e l’esistenza di una debole e diffusa nebbia radio che ci avvolge e che emette fotoni nell’infrarosso estremo come un materiale che si trovi alla bassissima temperatura di 2,7 K°.
Che appare sì distribuita omogeneamente in tutte le direzioni del cielo, ma che viene verificata con antenne al suolo e apparecchiature orbitanti intorno alla terra, vicinissime al nostro sistema locale e lontanissime dal fondo dell’universo che si pretende di misurare.
A questo «bagno» di microonde viene attribuito uno spostamento pseudo-Doppler z = 1.000 che deve corrispondere al «residuo fossile del fireball», una sorta di «Sindone congelata» della creazione che commutò quasi istantaneamente le quantità infinite in quantità quantizzate.
A queste prove fondamentali devono essere aggiunte due «esotiche» entità trasparenti allo spettro elettromagnetico: una strabocchevole «materia oscura» necessaria per condensare stelle e galassie e una misteriosa energia, anch’essa «oscura», in grado di impartire ulteriori accelerazioni al sostrato metrico, e necessaria per sanare le incongruenze nella distribuzione dei redshift rilevati.
Ecco fatto.
Ciò conduce alla spettacolare conseguenza che l’immenso universo si trovi avvolto e confinato entro una regione che 14 miliardi di anni fa aveva le dimensioni del diametro di un protone e che gli astronomi del pianeta terra compiano le loro esplorazioni profonde dal bordo esterno di un imbuto gigantesco che man mano si restringe e che termina oggettivamente nel nulla.
Prendere o lasciare.
Ma se volete dedicarvi all’astrofisica o alla fisica delle particelle tramutando la vostra passione in professione dovete prendere: e farvi accelerare a 72 km/sec per megaparsec in uno spazio la cui geometria è quasi interamente governata da entità instabili e oscure.
L’insindacabile protocollo recita «che c’è stato un Big Bang superluminale», che c’è uno spazio in espansione che dilata «le distanze», che c’è una radiazione a 2,7 K° «che è fossile» e che tutta una fisica «esotica ed elusiva» che attende ancora di essere scoperta, sovrasta le osservazioni astronomiche rendendole pressoché irrilevanti.
E allora, si potrebbe dire: o Dio ha creato i dadi che poi giocano a fare Dio o il mistero disvelato dai cosmologi ai loro contribuenti è basato su estrapolazioni arbitrarie.
Ma il segreto di Pulcinella dell’astronomia professionale è che oggetti con alto spostamento verso il rosso si mostrano fisicamente associati nell’universo a oggetti di basso spostamento verso il rosso e che questo «segreto», accessibile già dalla metà del secolo scorso, è diventato così palese e imponente da minare alla radice l’assunzione cardinale di tutta la cosmologia (cioè la relazione fra lo spostamento verso il rosso, con le distanze e le velocità delle galassie disseminate nello spazio profondo).
Per sopprimere questa evidenza contraria sempre più plateale (confronta «Catalogue of Discordant Redshift Associations» H. Arp, Apeiron, 2003), l’establishment americano si è prodotto in ogni genere di sforzi, ora invocando la probabilità di accavallamento prospettico (che in qualche caso è inferiore a una su un miliardo), ora oscurando ponti, filamenti di materia e bracci di connessione fra oggetti con redshift molto diversi mediante la modulazione dei contrasti delle immagini fotografiche.
Se qualche team operativo dell’Hubble Telescope si sente personalmente ferito o professionalmente calunniato da queste affermazioni, ci sono migliaia di ricercatori (e fra essi numerosi astronomi professionisti) pronti a dimostrare che proprio dall’analisi delle stesse immagini rilasciate dalla NASA e volte a provare la mancanza di qualsiasi collegamento fisico fra i quasar e le galassie, è possibile ricavare i filamenti luminosi che li connettono (per esempio NGC 4319 - QSO Mrk 205, HST Heritage Team).
Così se i quasar sono «segretamente» associati alle galassie attive la questione più scottante non dovrebbe essere l’immediato riesame dell’interpretazione convenzionale dei redhsift (che si pone automaticamente) ma piuttosto: perché nascondere i ponti e i filamenti?
La risposta è ovvia, anche se terribile: perché la falsificazione della relazione di Hubble in termini di velocità e di distanza rimuoverebbe istantaneamente l’espansione dell’universo, la radiazione «fossile», il Big Bang, l’inflazione e la «materia oscura», mentre i Dipartimenti di Cosmologia si troverebbero a dover riconoscere che la molto celebrata origine del mondo è fondata su fisica inadeguata e su estrapolazioni puramente immaginarie.
La stessa Teoria della Relatività Generale, che operazionalmente è lo strumento con cui si rappresenta la struttura cosmica, ne verrebbe investita, e lo «spaziotempo» privato di una sua esistenza oggettiva e ridotto al rango di similitudine geometrica comprometterebbe l’intera «fisica dei buchi neri», che peraltro lo stesso Einstein preferì non imboccare.
Terribile, certo.
E, almeno nell’immediato, catastrofico per l’intero apparato della scienza accademica.
Gli acceleratori di particelle sempre più costosi e potenti, allestiti e progettati con lo scopo dichiarato «di snidare la materia oscura e le particelle energetiche che operavano a ridosso del Big Bang», verrebbero privati dei loro obiettivi primari con l’effetto di trascinare la «Big Science» in una sorta di limbo a metà strada tra l’anno Mille e l’anno zero.
Certo.
Ma, ancor più terribile: esiste al mondo una ragione cosmologica abbastanza forte per riconvertire fondi già assegnati e che proprio per questo potrebbero essere rimessi in discussione? «Forse Arp ha ragione - ha dichiarato l’astronomo italiano Massimo Capaccioli - ma fra cento, o mille anni».


se al posto di una entità ben definita, quale sarebbe un dio, che dovrebbe essere intervenuto per porre "intelligenza" nell'universo, ponessimo che fosse una qualità intrinseca dell'universo stesso, che la materia, l'energia, possiedano al loro interno "l'intelligenza" che nei millenni ha comportato lo sviluppo attuale, la cosa non funzionerebbe bene lo stesso?

mercoledì 1 marzo 2006

i film da vedere con la fidanza

Hostel
Due giovani statunitensi, Josh e Paxton, attraversano il vecchio continente zaino in spalla assieme ad Oli, islandese festaiolo incontrato in viaggio. Decisamente più interessato alle droghe e al sesso che ai musei, il trio decide di puntare verso la Slovacchia, dipinta dai più come meta perfetta per il turismo sessuale. Raggiunto un paesino nei pressi di Bratislava, il gruppo si fermerà presso un ostello, constatando come le voci fossero fondate. Dividere la stanza con stupende e disinibite sconosciute per i ragazzi è un sogno che si avvera: un sogno che si rivelerà presto vero incubo.
Spinto da amicizie pesanti, Hostel arriva sui nostri schermi in pompa magna, con tanto di sacchetti per vomitare distribuiti all'ingresso delle sale. Se nella prima parte ci si rifà al tipico preludio da horror sbarazzino, con più seni in primo piano che F-Words in Pulp Fiction, nella seconda si procede alla tanto decantata orgia di sangue ed efferatezza: tutto secondo copione, con tanto di pinze, saldatori e cure medievali. Ostentando conoscenza del genere, Roth riesce a banalizzare un soggetto che rubacchia dall'immaginario snuff e da Il Coraggioso, dando vita ad un prodotto piatto, monocorde e pretenzioso.
Un'accozzaglia di strumenti di tortura, membra e rimandi in cui cercare alte metafore.


Batalla en el cielo
Corpi sfatti e degrado etico-sociale sono un tutt’uno nelle numerose scene erotiche volutamente realistiche ma al tempo stesso vagamente oniriche e descritte con distacco fatalista, come nel caso della fellatio di apertura del film, il cui destinatario, panciuto e un po’ laido, rimane impassibile al consumarsi dell’atto da parte di una ragazza giovane e piacente.
La figlia del generale, Ana, giovane e bella, si prostituisce per puro piacere in un bordello di Città del Messico (megalopoli caotica e degradata) e, occasionalmente, si concede anche a Marcos, che le fa da autista.
Quando Marcos le confessa di aver rapito un neonato, poi morto, Ana, invece di sostenerlo o di comprenderlo, freddamente gli dice che l’unica cosa che può fare è quella di costituirsi. Nel travaglio fra il rimorso per la morte del piccolo e la delusione per il comportamento della giovane (da lui segretamente amata) Marcos attraversa il suo intimo disfacimento esistenziale all’interno una società già di per sè profondamente estranea ed ostile. Una società vista come una macchina (rappresentata dall’immensa bolgia della capitale messicana) che muove i propri ingranaggi in un fluire privo di senso se non quello fine a se stesso del suo gigantesco ed imperscrutabile destino. Alla fine Marcos non potrà fare altro che uccidere Ana, in una spirale di inquietudine e di indifferenza.
Più in fondo di così non si va: costituirsi, uccidersi o morire comunque di rimorso? Toccanti le scene quotidiane fra Marcos e sua moglie, descritti come brutti, disgraziati e infelici, destinati ad una vita senza speranza ma proprio per questo capaci di gesti estremi, per questo uniti l’uno all’altra da un legame indivisibile.