giovedì 2 marzo 2006

La più sensazionale e assordante scoperta della scienza moderna - «perché ormai di scoperta si tratta e non di semplice teoria» - è che l’intero universo proviene da un’unica immane esplosione avvenuta 14 miliardi di anni fa. Ce l’abbiamo fatta.
Se ancora non sappiamo bene dove andiamo, almeno sappiamo con certezza da dove veniamo.
Forse presagita da qualche mestatore cinese dell’antichità, o da un monaco tedesco del 1300 mentre miscelava quantità di salnitro, carbone e zolfo, la soluzione dell’origine del mondo è merito di tutti, perché a differenza di altre luminose conquiste della conoscenza non è stata rivendicata da nessuno.
Certo non la colse per primo l’inquietante autore di «eureka», né fu l’abate Lemaître, il meteorologo Friedman o il fisico Gamow, e meno che mai l’imprescindibile Albert Einstein, sebbene un contributo non indifferente spetti all’astrofisico Fred Hoyle, che derise apertamente la grande esplosione come «un’idea da preti», poi paragonandola a una ballerina che salti fuori da una torta durante una festa di compleanno.
Eccepì che «in fisica e in termodinamica un’esplosione è sempre una conseguenza, mai una causa» e chiamò appunto questa «barzelletta» ironicamente «big bang».
E Big Bang fu.

La spiegazione cosmologica, a cui aderiscono con poche eccezioni decine di migliaia di astronomi professionali, prescrive «energia e densità infinità, originariamente priva di elementi costitutivi, esplosa istantaneamente nel nulla sotto forma di punto senza località e dimensioni».
In altri termini, la creazione simultanea e trascendentale del tempo, dello spazio e della materia realizzati con propagazione «superluminale» nei pressi dell’«istante zero».
Le due prove fondamentali e (niente affatto) indipendenti di questa «apparizione mariana» sono il sistematico spostamento spettrale verso il rosso delle galassie esterne e l’esistenza di una debole e diffusa nebbia radio che ci avvolge e che emette fotoni nell’infrarosso estremo come un materiale che si trovi alla bassissima temperatura di 2,7 K°.
Che appare sì distribuita omogeneamente in tutte le direzioni del cielo, ma che viene verificata con antenne al suolo e apparecchiature orbitanti intorno alla terra, vicinissime al nostro sistema locale e lontanissime dal fondo dell’universo che si pretende di misurare.
A questo «bagno» di microonde viene attribuito uno spostamento pseudo-Doppler z = 1.000 che deve corrispondere al «residuo fossile del fireball», una sorta di «Sindone congelata» della creazione che commutò quasi istantaneamente le quantità infinite in quantità quantizzate.
A queste prove fondamentali devono essere aggiunte due «esotiche» entità trasparenti allo spettro elettromagnetico: una strabocchevole «materia oscura» necessaria per condensare stelle e galassie e una misteriosa energia, anch’essa «oscura», in grado di impartire ulteriori accelerazioni al sostrato metrico, e necessaria per sanare le incongruenze nella distribuzione dei redshift rilevati.
Ecco fatto.
Ciò conduce alla spettacolare conseguenza che l’immenso universo si trovi avvolto e confinato entro una regione che 14 miliardi di anni fa aveva le dimensioni del diametro di un protone e che gli astronomi del pianeta terra compiano le loro esplorazioni profonde dal bordo esterno di un imbuto gigantesco che man mano si restringe e che termina oggettivamente nel nulla.
Prendere o lasciare.
Ma se volete dedicarvi all’astrofisica o alla fisica delle particelle tramutando la vostra passione in professione dovete prendere: e farvi accelerare a 72 km/sec per megaparsec in uno spazio la cui geometria è quasi interamente governata da entità instabili e oscure.
L’insindacabile protocollo recita «che c’è stato un Big Bang superluminale», che c’è uno spazio in espansione che dilata «le distanze», che c’è una radiazione a 2,7 K° «che è fossile» e che tutta una fisica «esotica ed elusiva» che attende ancora di essere scoperta, sovrasta le osservazioni astronomiche rendendole pressoché irrilevanti.
E allora, si potrebbe dire: o Dio ha creato i dadi che poi giocano a fare Dio o il mistero disvelato dai cosmologi ai loro contribuenti è basato su estrapolazioni arbitrarie.
Ma il segreto di Pulcinella dell’astronomia professionale è che oggetti con alto spostamento verso il rosso si mostrano fisicamente associati nell’universo a oggetti di basso spostamento verso il rosso e che questo «segreto», accessibile già dalla metà del secolo scorso, è diventato così palese e imponente da minare alla radice l’assunzione cardinale di tutta la cosmologia (cioè la relazione fra lo spostamento verso il rosso, con le distanze e le velocità delle galassie disseminate nello spazio profondo).
Per sopprimere questa evidenza contraria sempre più plateale (confronta «Catalogue of Discordant Redshift Associations» H. Arp, Apeiron, 2003), l’establishment americano si è prodotto in ogni genere di sforzi, ora invocando la probabilità di accavallamento prospettico (che in qualche caso è inferiore a una su un miliardo), ora oscurando ponti, filamenti di materia e bracci di connessione fra oggetti con redshift molto diversi mediante la modulazione dei contrasti delle immagini fotografiche.
Se qualche team operativo dell’Hubble Telescope si sente personalmente ferito o professionalmente calunniato da queste affermazioni, ci sono migliaia di ricercatori (e fra essi numerosi astronomi professionisti) pronti a dimostrare che proprio dall’analisi delle stesse immagini rilasciate dalla NASA e volte a provare la mancanza di qualsiasi collegamento fisico fra i quasar e le galassie, è possibile ricavare i filamenti luminosi che li connettono (per esempio NGC 4319 - QSO Mrk 205, HST Heritage Team).
Così se i quasar sono «segretamente» associati alle galassie attive la questione più scottante non dovrebbe essere l’immediato riesame dell’interpretazione convenzionale dei redhsift (che si pone automaticamente) ma piuttosto: perché nascondere i ponti e i filamenti?
La risposta è ovvia, anche se terribile: perché la falsificazione della relazione di Hubble in termini di velocità e di distanza rimuoverebbe istantaneamente l’espansione dell’universo, la radiazione «fossile», il Big Bang, l’inflazione e la «materia oscura», mentre i Dipartimenti di Cosmologia si troverebbero a dover riconoscere che la molto celebrata origine del mondo è fondata su fisica inadeguata e su estrapolazioni puramente immaginarie.
La stessa Teoria della Relatività Generale, che operazionalmente è lo strumento con cui si rappresenta la struttura cosmica, ne verrebbe investita, e lo «spaziotempo» privato di una sua esistenza oggettiva e ridotto al rango di similitudine geometrica comprometterebbe l’intera «fisica dei buchi neri», che peraltro lo stesso Einstein preferì non imboccare.
Terribile, certo.
E, almeno nell’immediato, catastrofico per l’intero apparato della scienza accademica.
Gli acceleratori di particelle sempre più costosi e potenti, allestiti e progettati con lo scopo dichiarato «di snidare la materia oscura e le particelle energetiche che operavano a ridosso del Big Bang», verrebbero privati dei loro obiettivi primari con l’effetto di trascinare la «Big Science» in una sorta di limbo a metà strada tra l’anno Mille e l’anno zero.
Certo.
Ma, ancor più terribile: esiste al mondo una ragione cosmologica abbastanza forte per riconvertire fondi già assegnati e che proprio per questo potrebbero essere rimessi in discussione? «Forse Arp ha ragione - ha dichiarato l’astronomo italiano Massimo Capaccioli - ma fra cento, o mille anni».


se al posto di una entità ben definita, quale sarebbe un dio, che dovrebbe essere intervenuto per porre "intelligenza" nell'universo, ponessimo che fosse una qualità intrinseca dell'universo stesso, che la materia, l'energia, possiedano al loro interno "l'intelligenza" che nei millenni ha comportato lo sviluppo attuale, la cosa non funzionerebbe bene lo stesso?

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