martedì 31 gennaio 2006

Intervista a DO NOT

15

stasera
sono sceso all’inferno.

andata e ritorno.

m’ha venduto il biglietto
il desiderio di sempre.

cristal & condom.

giulia
studentessa modello
sul terrazzo in via monti
le chiama puttane.

ma scopa come loro.

sui divani del william’s
lacrime e lingue
bagnano come
all’uscita del san carlo.



16

diciott’anni a novembre.

due cognomi ingombranti
una retta alle suore
la pillola il cuba.

sulla porta
occhi bassi
temo ogni volta
non vogliano entrare.

ma a letto i tuoi sguardi
consapevoli pieni
crudamente immorali
ingoiano ansie
pudore
divieti
ridono dei padri
delle leggi
e di dio.

innocente e perversa
le regole cambiano
quando apri le gambe



Come diceva Rossana Campo, la maggior parte della gente quando si mette a scrivere sta in posa.
E poi ci sono i poeti, quelli veri, che quando scrivono descrivono la realtà, rendendola semplice ai nostri occhi come solo è la verità una volta che è disvelata; ecco, questo pensavo e penso quando leggo il blog di DO NOT.

E-BLOG: Nelle tue poesie, con pochi versi sai tratteggiare la realtà milanese meglio di chi Milano la vive da sempre. Il dono di questo sguardo sembrerebbe derivare dal non essere nato e cresciuto a Milano. Raccontaci di te.
DO NOT: gotcha. vivo a milano da una decina d’anni, quando son venuto a studiare qui. guardare un posto con gli occhi di chi ne ha già vissuti anche altri aiuta senz’altro a vederlo in modo più chiaro, mi fido poco dell’opinione che non venga dal confronto. ma non credo sia questo il punto. un ritratto lucido di questa città può farlo qualsiasi milanese che abbia viaggiato un po’, non è indispensabile esserci arrivati a diciott’anni. no, la differenza credo stia soprattutto nel fatto che io milano me la son scelta, al contrario di tanti che qualcun altro ha deciso di partorire qui. e per scegliere devi prima valutare, analizzare. quindi conoscere. e magari innamorarti un po’. è più facile fare il ritratto ad una che ti piace.
che faccio nella vita. mi verrebbe da dirti che cerco di far tutto quello che mi fa star bene, provando finchè è possibile a non far star male gli altri. ma non credo la domanda alludesse alla mia etica.
né credo tu voglia un autoritratto, dipingere allo specchio mi viene male. finirei per far finta di dirti chi sono, raccontandoti come mi sembro e cosa voglio essere. facciamo che resto sui dati da cv. asciutti, poco imbarazzanti e facili sia da scrivere che da leggere. se non contano niente lo decideremo dopo.
bene, ora è più chiaro.
oggi sono prof a contratto in un ateneo milanese.
credo la mia età sia intuibile da quanto ho già detto prima, ma a scanso di equivoci non ho ancora trent’anni. ok, ci manca poco. ma non ce li ho ancora.
mi occupo principalmente di finanza. oltre all’attività di ricerca e didattica in università e master, più tipica della carriera accademica, faccio molta consulenza.
lo so, non c’entra nulla con quello che scrivo. almeno a prima vista. ma se uno ci pensa un po’, arte e finanza non sono poi così lontane. c’è una gran poesia nei soldi.
una quindicina di anni fa non avrei mai previsto di ritrovarmi dove sono adesso. ho una maturità classica e da sempre la cosa che mi è riuscita meglio, a parte mettere nei casini me e chi mi gira intorno, è stata scrivere.
ma se a vent’anni ti piacciono le cose facili c’è qualcosa che non va. e così l’ultimo giorno utile per l’iscrizione all’uni scelsi ingegneria. gestionale,per l’esattezza.
contrariamente a quello che pensa di solito chi mi ha conosciuto da cinque minuti, ho alle spalle una carriera scolastica da primo della classe. pagella d’oro al liceo, laurea e dottorato col massimo dei voti. il tutto nei tempi minimi.
è vero, non doveva essere un’autocelebrazione. ma è solo per dire che uno che si diverte a scrivere non sempre deve vivere fuori dal mondo. e poi è un cv, no?
a questo punto dovrei dirti che tutto quello che so però non me l’hanno insegnato a scuola, che le cose che contano si imparano fuori, e che in quello che scrivo il mio percorso di studi non c’entra nulla.
che in qualche modo è vero. ma non del tutto.
aver convissuto cinque anni con lirici greci e antologie del neorealismo italiano, per poi farne altri cinque con i matroidi n-dimensionali e la teoria di modigliani-miller credo non sia stato inutile.
alla fine parlano tutti delle stesse cose, guardandole da punti di vista magari distanti e provando a raccontarle in lingue un po’ diverse.
e come già sai, mi piace farmi un’opinione che venga dal confronto.
alla mia formazione classica devo senz’altro la passione per la comunicazione, la capacità di intuire senza la necessità di formalizzare, il coraggio di essere approssimativo quando una foto sfocata è più bella di una messa a fuoco.
e quello che è venuto dopo? mi ha impedito di derivare. mi ha tenuto con i piedi per terra.
vorrei dire altro, solo che non voglio annoiarti.
non è vero, in realtà sto pensando che ho già detto troppo. e poi son curioso di leggere la seconda domanda.

E-BLOG: L'arte di dire fingendo di non voler dire e viceversa...
La seconda domanda è su due cognomi ingombranti , un verso che è stato definito come il più significativo della poesia italiana degli ultimi dieci anni, ovvero poetica italiana degli ultimi dieci anni, per bellezza stilistica e capacità di descrivere una classe sociale, le sue ansie e le sue aspirazioni. Ti proponi di descrivere un disagio dal di dentro, oppure il tuo obiettivo è di essere un osservatore esterno che compie un ritratto di un periodo alla stregua di quello che fece Parini con la nobiltà milanese? Quanto è autobiografica la vita che descrivi nei tuoi racconti e quanto è esercizio stilistico?

DO NOT: grazie. certamente è un’esagerazione. quindi grazie di nuovo. in realtà so molto poco della produzione poetica negli ultimi dieci anni, sia italiana che estera. ho sempre letto prevalentemente prosa, narrativa in particolare. e negli ultimi anni sempre meno anche di quella. non è una cosa di cui vado fiero. ma nemmeno me ne vergogno. ho “smesso” di leggere e basta, come si smette di fumare o di andare a trovare una vecchia zia. arriva un giorno in cui ti stanchi di leggere storie di altri scritte da altri. e cominci a scrivere la tua. ma intanto devi anche continuare a viverla, e il tempo non è tanto.
se sei un lettore appassionato, questo forse ti deluderà. pazienza, sono abituato a deludere. e per non perdere l’abitudine, rincaro subito la dose.
non c’è denuncia sociale in quello che scrivo.
non perché non attribuisca alla comunicazione letteraria, ed artistica in genere, una funzione sociale. ce l’ha, e non sta a me dire che è essenziale.
ma in ciò che scrivo io, almeno nelle mie intenzioni mentre scrivo, qualsiasi dimensione sociale – o più in generale qualsiasi astrazione a CATEGORIE – è del tutto assente.
io parlo di individui e della loro singolarità. qualsiasi metafisica di questo individuo è un’astrazione che non mi riguarda.
non me ne vogliano la critica marxista o i fan dell’engagement. non mi reputo un disimpegnato, ma non mi impegno quando scrivo.
o almeno, quello che so è che oggi è così.
e non credo di ritrarre un disagio. magari c’è, nei personaggi che descrivo. ma francamente me ne frego. se giulia è una perbenista complessata che non sa conciliare quello che le han detto mamma, papà e catechismo con la voglia di farsi sfondare da uno che appena conosce, per me sono e restano affari suoi. mi sta bene essere quel semisconosciuto che se la scopa, e pace così.
questo non vuol dire che io la guardi da lontano. che la osservi “dall’esterno”, per citare le tue parole. non racconterei mai la realtà guardandola da fuori. ai profeti io non ci credo. e soprattutto non voglio essere uno di loro. i profeti hanno la barba lunga e i capelli sporchi, si vestono di merda e mangiano male. sono quelli che non hanno trovato un posto nel sistema, per incapacità o pigrizia. e allora predicano controcorrente.
ora, non son qui a raccontare di un mondo perfetto, in cui tutto va come l’ho sempre sognato. ma sto mondo è così, è tutto quello che c’è, e non ho la minima intenzione di perder tempo cercando di rifarlo da capo. piuttosto provo a prenderne il meglio, magari cambiando quel poco che si può cambiare. ma da dentro, su questo non ho dubbi.
autobiografico o meno. se esistono scrittori non autobiografici, io non li conosco. credo che anche chi scrive libri di ricette a modo suo lo sia. non possiamo raccontare nulla se non ciò di cui abbiamo esperienza e di niente ne abbiamo se non della nostra vita.
lo so, lo so. non erano ste menate che volevi sentire. tu vuoi sapere se le storie son vere. caro edoardo, io ho pochissima fantasia. sono un discreto traduttore di quello che mi succede, ma non so fare molto di più.

Jean Béraud, <br />La sortie du Lycée Condorcet

E-BLOG: Un altro bellissimo momento poetico è quando descrivi le lacrime all’uscita dal San Carlo, che mi ha ricordato Proust e i quadri che ritraggono l’uscita dal liceo Condorcet. Una trasposizione voluta per far risaltare la
continuità tra due borghesie? Quale significato attribuisci, nella tua poetica, alla ripresa di luoghi, come il San Carlo, che costituiscono un caposaldo dell’immaginario collettivo?

DO NOT: se ti ho ringraziato per il commento sul mio verso, al paragone proustiano devo fare molto di più. proust è senz’altro l’autore che preferisco, senza limitazioni di genere ed epoca, e la recherche l’opera più completa tra quelle che abbia letto. riletto, anzi. dato che quei sette libri sono gli unici – eccezion fatta per il tonio di mann, che abbia letto due volte.
mi ha sempre sorpreso come una persona sicuramente molto diversa di me, non solo per lontananza nel tempo ma anche per distanza caratteriale, abbia potuto dire tutto quello che penso dicendolo meglio di come potrei fare io. per giunta in un’opera unica. in qualche modo la cosa mi infastidisce.
si, direi che marcel proust è l’unico “mito” che ho, se di mito si può parlare. uno che ha avuto la capacità di dire davvero tutto, e il buon gusto di dirlo una volta sola.
non c’è però richiamo volontario a lui, in quelle immagini che citi. sicuramente può essere un’associazione inconsapevole, che anzi mi fa piacere tu mi abbia fatto notare.
è vero, qui la “categoria” sembra emergere. ma è puro espediente mediatico, non elemento promotore.
credo che la comunicazione, non solo letteraria, si riconosca in due momenti logici essenziali. c’è una prima fase (il)logica di pura generazione del messaggio, che è paradossalmente in potenza largamente indipendente dal destinatario, e perfino dall’effettiva esistenza di esso. è la fase iniziale di esternazione, di produzione del messaggio per la pura esigenza di concretizzazione di un’idea/stato emotivo. una prima forma (impropria) di comunicazione può arrestarsi qui, un po’ come il diario segreto della ragazzina e le lettere che scriviamo sapendo già che non le spediremo mai.
la seconda fase è quella di delivery al destinatario, in cui il messaggio assume anche la forma ed i moduli espressivi più coerenti con le caratteristiche del ricevente. beh, ovviamente se voglio farglielo capire, il messaggio!
ecco. il ricorso al topos radicato nell’immaginario collettivo è l’espediente mediatico che consente nel destinatario l’associazione immediata e sintetica tra l’individuo o il particolare - che è elemento fondante e generatore del messaggio – e un archetipo generale a lui ben noto, quindi facilmente raffigurabile senza passare per descrizioni a mio avviso anti-liriche.
ma la “categoria” non è mai elemento generatore dell’esigenza comunicativa, né centro del messaggio. interviene nella fase di confezionamento, quando il prodotto essenziale deve arricchirsi di un’interfaccia per divenire fruibile da un mercato target con determinati filtri interpretativi.
ok, sono diventato l’esegeta di me stesso e questo mi fa orrore. d’altronde sono troppo egocentrico per non approfittare di domande simili. ma andiamo avanti.

E-BLOG: Che locali frequenti per trarre ispirazione (ristoranti, bar, discoteche)?
DO NOT: la mia vita sociale è tutto sommato molto, molto ordinaria. non frequento salotti letterari, tanto per cominciare. nulla mi annoierebbe di più di una serata con tre o quattro scribacchini foruncolosi e un paio di racchie che vanno in estasi per due versi scritti male.
se non si era capito ancora, non sono per le (presunte/sedicenti) elite culturali. o meglio, che le facciano pure. ma non mi invitino alle loro serate. ci si lamenta spesso che la poesia non venda.
ma cosa vogliamo che abbia mai da dire al mondo là fuori uno che quel mondo non lo vive? non mi piace ricalcare luoghi comuni, ma il prototipo del poeta resta uno sfigato con seri problemi di integrazione, che nel migliore dei casi scrive per la minoranza dei suoi simili, bofonchiando ora inutili lamentele ora versi rabbiosamente impotenti contro il “sistema”. un altro profeta, insomma.
completamente fuori mercato. ora, non vorrei si pensasse che io non apprezzi le voci fuori dal coro. mi sta bene chi ha il coraggio della diversità. ma prima di criticare una realtà devi averne esperienza e si può sputare su qualcosa solo dopo essere stati capaci di ottenerlo.
la mia vita sociale è molto, molto ordinaria. vivo in mezzo a persone che alla sera, anziché aver voglia di scrivere, vanno a ballare o si guardano un bel film. e non è nemmeno cinema indipendente che in libreria ci entrano poco e di solito per fare un regalo. magari un ken follett, certo non proust. i posti che frequento sono snobbati dagli illuminati intellettuali, che si limitano il giorno dopo ad informarsi, con ingorda malsana avidità di particolari, su chi c’era o non c’era alla tal serata.
vivo in mezzo a persone “normali”, insomma. le stesse che qualcuno definirebbe banali. senza sapere che banalità è solo la distanza a cui teniamo gli altri, che non ci permette di vederne i particolari.
d’altronde io la adoro, la banalità. per molti è un difficile punto di partenza, da cui cercare di migliorarsi per riuscire a sentirsi “speciali”. per me è un punto di arrivo, il risultato di un lungo lavoro di “semplificazione”, il ritrovare in una dimensione diversa e complementare alla mia – socialmente banalizzante, se vuoi - l’antidoto all’ipersensibilità della poesia e la ricetta di una sana, serena “normalità”.
 IO=10
E-BLOG: L’analisi della realtà sociale milanese che porti avanti attraverso la contestualizzazione dei soggetti nell’ambiente ti accomuna, seppur per percorsi molto diversi, al gruppo di scrittori del deboscio. Cosa ne pensi di loro e più in generale della scena letteraria milanese?
DO NOT: come dicevo anche prima, della scena letteraria milanese so ben poco. né mi interessa particolarmente conoscerla meglio. questo non vuol dire che non mi farebbe piacere far quattro chiacchiere con qualcuno che vive nella mia stessa città e che come me ogni tanto si mette a scrivere. ma ci parlerei come parlo con la prima tipa conosciuta al bancone di un locale, o con un amico di un amico presentatomi per caso ad un aperitivo. nulla gli aggiungerebbe il fatto di scrivere. quello che mi arricchisce è innanzitutto interagire con persone diverse da me.
il caso deboscio è interessante. ma lo vedo più come un buon case study di marketing che come un fenomeno letterario. non che le due cose debbano essere poi drammaticamente diverse, certo. in ogni modo tra me e loro sono più le differenze che i tratti comuni. e per questo, naturalmente, mi piacciono.
nel loro caso credo tutto sia partito da una business idea, brutalmente sintetizzabile in “vogliamo vendere le magliette”. l’aver messo su una teoretica ed etica del debosciato fa parte della semantica del prodotto, lo arricchisce di intangibles che ne potenziano il significato simbolico e – soprattutto – il controvalore in quanto output vendibile.
anche il libro penso sia un’idea venuta dopo.
sia chiaro, non c’è alcun giudizio di merito nella mia constatazione. non attribuisco accezione negativa ai concetti di commercializzazione e commerciabilità.
apprezzo al contrario l’imprenditorialità in quanto capacità creativa – e quindi in qualche modo artistica – applicata al sistema reale.
del resto commercializzare idee implica dover stare sul mercato. e se non altro questo impedisce di cadere nella trappola autoreferenziale del profeta che vive fuori dal sistema.

E-BLOG: Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Intendi pubblicare libri delle tue opere?
DO NOT: l’idea di pubblicare qualcosa mi è già venuta un paio di volte. se non l’ho ancora fatto, ci sono almeno un paio di ragioni. tanto per cominciare ho sempre ritenuto una dimensione pubblica come “scrittore” – in particolare di quello che scrivo io – poco compatibile con il lavoro che faccio. in secondo luogo, mi è sempre mancata una spinta essenziale, quella dei soldi. chi punta sulla propria produzione letteraria per campare, ha naturalmente la pubblicazione come obiettivo primario. ovvio, altrimenti non mangia. io ho la fortuna di avere un lavoro ben pagato, quindi l’incentivo economico nel mio caso non scatta. piuttosto quello che a volte mi manca è il tempo, l’unica risorsa davvero non rinnovabile. e prendermi altri sbattimenti è l’ultima cosa di cui abbia voglia.
certo, la pubblicazione è comunque un punto di arrivo. e sapere che ciò che scrivo è gradito da chi lo legge non mi lascerebbe tutto sommato indifferente.
boh, vedremo come andrà a finire.
per il futuro, non è che faccia grandi programmi. ma credo di saper bene quello che voglio, in termini di obiettivi essenziali. questo si. non sono un fan dell’accurata pianificazione operativa e non ne sarei capace nemmeno volendo. mi piace aver ben chiaro dove voglio arrivare, senza saper bene oggi cosa fare domani per arrivarci.
oggi ho quasi trent’anni, abbastanza cazzate fatte e di cui essere orgoglioso alle spalle e la consapevolezza di aver ottenuto molte delle cose che ho voluto. oltre alla certezza che molte altre ne vorrò in futuro.

sabato 28 gennaio 2006

Conformismo oggi

essere di sinistra o comunisti o antiamericani
essere atei, o magari agnostici,oppure atei filoislamici
non avere la televisione, odiare la televisione, guardare solo rai 3
essere ambientalisti, animalisti, ecologisti, pacifisti
ascoltare i Beatles, Nick Cave, Jeff Buckley
non conoscere la musica classica, oppure conoscere l'Also Sprach Zarathustra di Strauss chiamandolo per tutta la vita "La musica di 2001: Odissea nello spazio"
essere cinefili impegnati
amare alla follia qualunque forma di espressione "artistica" sia stata concepita dopo il 1870
leggere solo Repubblica, anche online
vantarsi di usare il Macintosh e l'Ipod
avere un amore sperticato per la grafica e il design
leggere Bukowski, J. T. Leroy, Benni, Lucarelli, Baricco, e la guida galattica per autostoppisti
avere una venerazione assoluta per Beppe Grillo e Luttazzi
l'happy hour
l'ikea
detestare il calcio incensando il rugby
usare parole inglesi inutili o incomprensibili, essere esterofili, denigrare l'Italia
amare giapponeserie, orientalismi, lo zen, l'oroscopo

by Squallido Master

venerdì 27 gennaio 2006

più si va all'inferno più si conosce il paradiso

giovedì 26 gennaio 2006

Aforismi è il nome che Oscar Wilde dava ai propri errori

L'esperienza è la ragione degli sconfitti

Non c'è da fidarsi di chi non scopa mai

Nulla è sovversivo ed avversato quanto la verità

Con gli assedi si conquistano le città, non le tipe

Chi è figo è figo ovunque, chi è sfigato è sfigato ovunque

La storia la fanno i vincitori, la scrivono i topidibiblioteca

Le donne sono come i giornalisti, aspettano i vincitori sul traguardo

Le fiche si assomigliano tutte, le racchie sono cessi ciascuna alla sua maniera

Capire le cose vuole dire potersi permettere di dire che non si è capito qualcosa

Criticare le cose è da sfigati esclusi. Non criticarle non esclude dall'essere degli sfigati esclusi

Gli aforismi sono tutti sbagliati, perchè la realtà è troppo fuzzy per poter avere delle idee prive di confusione

mercoledì 25 gennaio 2006

"Prima della fine di questo secolo, miliardi di noi moriranno e le ultime persone che sopravvivranno si troveranno nell'Artico, dove il clima resterà tollerabile". Il catastrofico annuncio arriva da una fonte autorevole: James Lovelock. Il celebre scienziato inglese, guru dell'ambientalismo, negli anni '70 concepì la teoria di Gaia*, il sistema attraverso il quale la Terra si autoregolamenta in modo da continuare a fornire le condizioni adatte alle forme di vita che la abitano.

L'allarme lanciato dallo scienziato sulle pagine del quotidiano The Independent non potrebbe essere più inquietante: anticipando il contenuto del suo nuovo libro, che uscirà nelle librerie britanniche il 2 febbraio con il titolo 'The Revenge Of Gaia' ('La vendetta di Gaia'), Lovelock afferma che ormai è troppo tardi per fermare il surriscaldamento globale e che sugli esseri umani si sta per abbattere una catastrofe di dimensioni peggiori di quanto finora si era previsto.

Il suo approccio olistico allo studio del 'sistema Terra' è del tutto unico: anzichè studiare singoli fattori indicativi dei cambiamenti climatici, Lovelock analizza come l'intero sistema di controllo del nostro pianeta si comporta una volta messo sotto pressione. Grazie a questo approccio, lo scienziato è riuscito ad identificare una miriade di meccanismi di reazione e controreazione che finora sono serviti a mantenere la Terra ad una temperatura più o meno fresca. Ora che il delicato equilibrio di Gaia è stato spezzato, conclude Lovelock, questi stessi meccanismi serviranno invece a rendere la Terra insopportabilmente calda.

Nel suo articolo per l'Independent, lo scienziato si sofferma su due esempi. In primo luogo, i ghiacci dei Poli sono finora serviti a riflettere i raggi solari, deflettendo così il calore. Con il loro scioglimento, la scura superficie degli Oceani aumenterà immagazzinando così più calore.

Il secondo esempio riguarda invece le polveri prodotte dalle industrie, che ricoprono con un sottile velo tutto l'emisfero settentrionale. Queste producono un fenomeno noto come 'oscuramento globale', che mantiene basse le temperature in maniera artificiale, impedendo che tutti i raggi solari raggiungano la superficie del pianeta. Ma con una riduzione dell'attività industriale e della produzione di gas inquinanti questa coltre potrebbe scomparire velocemente, causando un improvviso aumento delle temperature.

Secondo Lovelock è ormai troppo tardi per evitare la catastrofe. Anziché appellarsi ai governi mondiali affinchè si impegnino nella lotta all'effetto serra, lo scienziato consiglia invece di prepararsi al peggio e di cercare modi per assicurare la sopravvivenza della razza umana, prima che essa si trasformi in "una caotica calca governata da signori della guerra".

Tra le più scioccanti proposte contenute nel suo nuovo libro, vi è quella di "una guida per i superstiti dei cambiamenti climatici", per aiutarli a sopravvivere dopo il totale crollo della società umana. Scritta non in forma elettronica, ma "in forma cartacea e con inchiostro durevole", e dovrà contenere tutto il sapere scientifico basilare accumulato in migliaia di anni, come la posizione della Terra nel sistema solare ed il fatto che batteri e virus causano malattie infettive. Insomma un'ultima traccia dopo "la fine del mondo che conosciamo".

venerdì 20 gennaio 2006

Ripamonti 109

Ripamonti Skyline - by id


Mamma
che ne dici di un romantico a Milano?
fra i Manzoni preferisco quello vero: Piero
Leggi
c'è un maniaco sul 'Corriere della Sera'
la sua mano per la zingara di Brera
è nera
Fuggi
cosa fuggi non c'è modo di scappare
ho la febbre ma ti porto fuori a bere
non è niente stai tranquilla è solo il cuore
porta ticinese piove ma c'è il sole
quando il dandy muore fuori nasce un fiore
le ragazze fan la file per vedere
la sua tomba con su scritte le parole
"io vi amo
vi amo ma vi odio però
vi amo tutti
è bello è brutto io non lo so
io vi amo
vi amo ma vi odio però
vi amo tutti
è bello è brutto è solo questo"
Scusi
che ne pensa di un romantico alla Scala?
quando canta le canzoni della mala scola
quasi centomila Montenegro e Bloody Mary
mocassini gialli e sentimenti chiaro-scuri
Cara
scriverà sulle tovaglie dei Navigli
quanta gioia, quanti giorni, quanti sbagli
quanto freddo nei polmoni
che dolore
non è niente non è niente
lascia stare
se la Madonnina muore nasce un fiore
lui non vuole che la sua ragazza legga
quelle frasi incise quelle frasi amare
la sua tomba con su scritte le parole
"io vi amo
vi amo ma vi odio però
vi amo tutti
è bello è brutto io non lo so
io vi amo
vi amo ma vi odio però
vi amo tutti
è bello è brutto è un giglio marcio
io vi amo
vi amo ma vi sputo però
vi amo tutti
è bello è brutto è solo questo"
L'erba ti fa male se la fumi senza stile!

sabato 14 gennaio 2006

[xpose yoself] Mi piacerebbe tanto, ma non ho ancora avuto l'occasione di

- avere le pillole dell'esercito americano che fai 3 giorni senza dormire
- fare asti->lisbona in macchina, arrivare all'alba e fare partitella sulla spiaggia deserta
- restare tutta notte sveglio in una camera d'albergo finchè alle 4 una telefonata annuncia chè è tutto ok
- comporre quartetti d'archi
- giocare, anche male, una volta in serie A
- organizzare una cena a parigi nel 1927 con Pessoa, Proust, Flaubert, Sà-Carneiro
- vedere barry lyndon con il fast forward ma la musica a velocità normale

giovedì 5 gennaio 2006

Farois

Faro di Santa Marta, Cascais

Faro del Guincho, Cascais

Faro di Santa Marta, Cascais

Faro di Santa Marta, Cascais