martedì 31 gennaio 2012

teatro degli orrori



  Teatro degli Orrori: Luci della Centrale Elettrica che fanno casino.

in paradiso con il cucchiaio


Ilaria mi piaceva molto. Mi faceva sentire come un adolescente. Mi piaceva stare con lei anche quando non c’era. Nel senso che, se ero solo, mi piaceva pensarla e mi sembrava che fosse lì con me. Mi ritrovavo spesso durante il giorno a
sorridere pensando a lei. Era un modo di amarla. Mi piaceva anche sentire quel leggerissimo e delicato dolore quando ci salutavamo prima di lasciarci. E nell’arco di tempo da quel momento a quando poi l’avrei rivista, coltivavo l’amore per lei osservando e vivendo il mondo. Raccoglievo l’amore per il mondo per poterglielo donare e raccontare. Tutto mi diceva che dovevo vivere. A volte, mentre parlava, non la sentivo più. Rimanevo incantato dalla sua bellezza e, fissandola, mi perdevo in viaggi immaginari fatti di noi, fatti di cose che volevo vivere con lei. Inoltre, ciò che lei rappresentava in quella fase della mia vita la rendeva ancora più affascinante. Lei era anche una nuova occasione d’essere migliore. Con lei si azzerava tutto e potevo finalmente iniziare con il mio nuovo io. È sempre stato così: incontri qualcuno che non conosci e quel qualcuno, a differenza dei tuoi amici, ti conosce per ciò che sei. Per ciò che sei in quel momento. Questa persona non è condizionata da chi eri o da che cosa avevi fatto in passato. Non ha mai visto la tua faccia prima. I tuoi amici sì. E, onestamente, non tutti gli anni della tua vita sei stato fighissimo.
Con lei sono ripartito. È bello riprovare a essere sinceri: per questo motivo succedeva che, incontrando qualcuno, mi aprivo subito. Lei mi piaceva molto, ma soprattutto con lei “mi” piacevo molto. Uscendoci, conoscevo due persone nuove. Adesso avevo anche imparato ad avere equilibrio. Non avevo più paura. Non volevo più rimandare. Se prima mi regalavano una bottiglia di vino buono, la tenevo chiusa e aspettavo la grande occasione, il momento speciale. Quel mio nuovo modo di vivere mi costringeva invece ad aprirla subito. Ogni istante era speciale. Non aspettavo più giornate speciali e colorate, ma ero io a renderle speciali, ero io a colorarle. Perlomeno facevo il possibile, la mia parte. Quello che mi era concesso. Fino in fondo.
Con Ilaria ero deciso a realizzare il mio nuovo progetto.
Dopo qualche sera l’ho invitata a venire a mangiare da me. A casa mia. Sono andato a fare la spesa e poi sono passato in negozio a prenderla. Lei è uscita con un mazzo di tulipani rossi. Avevamo deciso che avremmo cucinato insieme. Ero felicissimo, la vita mi penetrava in ogni cellula del corpo. Appena siamo entrati in casa, lei ha messo i fiori in un vaso e io ho acceso le candele e Aretha Franklin nello stereo.
Il random ha scelto una sequenza perfetta. Meglio di qualsiasi DJ.
Ricordo le prime tre: Don’t Play This Song, Day Dreaming, Angel.
Ho aperto una bottiglia di vino. L’avevo comprata in un’enoteca nel pomeriggio e, pensando che l’avrei bevuta con Ilaria, mi ero ubriacato ancora prima di arrivare alla cassa.
Mentre cucinavo il sugo per la pasta, mi ha chiesto dove poteva trovare le posate, i piatti e la tovaglia. Poi ha apparecchiato. Era bello vederla gironzolare per casa. Abbiamo preparato delle verdure come secondo. Tutto questo sorseggiando vino rosso.

Ilaria mi piaceva molto. Mi faceva sentire come un adolescente. Mi piaceva stare con lei anche quando non c’era. Nel senso che, se ero solo, mi piaceva pensarla e mi sembrava che fosse lì con me. Mi ritrovavo spesso durante il giorno a
sorridere pensando a lei. Era un modo di amarla. Mi piaceva anche sentire quel leggerissimo e delicato dolore quando ci salutavamo prima di lasciarci. E nell’arco di tempo da quel momento a quando poi l’avrei rivista, coltivavo l’amore per lei osservando e vivendo il mondo. Raccoglievo l’amore per il mondo per poterglielo donare e raccontare. Tutto mi diceva che dovevo vivere. A volte, mentre parlava, non la sentivo più. Rimanevo incantato dalla sua bellezza e, fissandola, mi perdevo in viaggi immaginari fatti di noi, fatti di cose che volevo vivere con lei. Inoltre, ciò che lei rappresentava in quella fase della mia vita la rendeva ancora più affascinante. Lei era anche una nuova occasione d’essere migliore. Con lei si azzerava tutto e potevo finalmente iniziare con il mio nuovo io. È sempre stato così: incontri qualcuno che non conosci e quel qualcuno, a differenza dei tuoi amici, ti conosce per ciò che sei. Per ciò che sei in quel momento. Questa persona non è condizionata da chi eri o da che cosa avevi fatto in passato. Non ha mai visto la tua faccia prima. I tuoi amici sì. E, onestamente, non tutti gli anni della tua vita sei stato fighissimo.
Con lei sono ripartito. È bello riprovare a essere sinceri: per questo motivo succedeva che, incontrando qualcuno, mi aprivo subito. Lei mi piaceva molto, ma soprattutto con lei “mi” piacevo molto. Uscendoci, conoscevo due persone nuove. Adesso avevo anche imparato ad avere equilibrio. Non avevo più paura. Non volevo più rimandare. Se prima mi regalavano una bottiglia di vino buono, la tenevo chiusa e aspettavo la grande occasione, il momento speciale. Quel mio nuovo modo di vivere mi costringeva invece ad aprirla subito. Ogni istante era speciale. Non aspettavo più giornate speciali e colorate, ma ero io a renderle speciali, ero io a colorarle. Perlomeno facevo il possibile, la mia parte. Quello che mi era concesso. Fino in fondo.
Con Ilaria ero deciso a realizzare il mio nuovo progetto.
Dopo qualche sera l’ho invitata a venire a mangiare da me. A casa mia. Sono andato a fare la spesa e poi sono passato in negozio a prenderla. Lei è uscita con un mazzo di tulipani rossi. Avevamo deciso che avremmo cucinato insieme. Ero felicissimo, la vita mi penetrava in ogni cellula del corpo. Appena siamo entrati in casa, lei ha messo i fiori in un vaso e io ho acceso le candele e Aretha Franklin nello stereo.
Il random ha scelto una sequenza perfetta. Meglio di qualsiasi DJ.
Ricordo le prime tre: Don’t Play This Song, Day Dreaming, Angel.
Ho aperto una bottiglia di vino. L’avevo comprata in un’enoteca nel pomeriggio e, pensando che l’avrei bevuta con Ilaria, mi ero ubriacato ancora prima di arrivare alla cassa.
Mentre cucinavo il sugo per la pasta, mi ha chiesto dove poteva trovare le posate, i piatti e la tovaglia. Poi ha apparecchiato. Era bello vederla gironzolare per casa. Abbiamo preparato delle verdure come secondo. Tutto questo sorseggiando vino rosso.

Le sentivo il respiro spezzato da sussulti. Ogni respiro era amplificato. Ricordo che mentre salivo e scendevo piano piano sopra di lei come un’onda ci siamo presi le mani. Le mie dita tra le sue. Una stretta forte, poi delicata, poi ancora forte.
Abbiamo raggiunto il momento finale insieme, ci siamo abbracciati con tale intensità che ho avuto paura di stritolarla. Una scarica così forte non l’avevo mai sentita. Siamo restati fermi, immobili, senza parlare per un po’. Avrei voluto dirle un milione di cose e l’ho fatto. L’ho fatto stando zitto e abbracciato a lei. Lei ha fatto lo stesso. Poi lentamente siamo tornati ognuno nel proprio corpo.
Non avevo mai provato una cosa così.
Avete presente quando da piccoli si provava a sfregare due legnetti per fare il fuoco? Era come se con le altre donne fossi riuscito a scaldarli, e con lei, invece, a fare finalmente la fiamma.
Ho iniziato delicatamente a baciarla sul viso, sulla testa e sul collo. La baciavo e la accarezzavo, non riuscivo a fermarmi. Piano piano abbiamo iniziato a dire qualche parola, poi ci siamo addormentati abbracciati.
Più tardi ho scelto una posizione più comoda perché mi sono ricordato che una volta mi ero addormentato abbracciato a una ragazza e quando mi ero svegliato avevo visto una cosa che si muoveva da sola nel letto come un pesce fuor d’acqua. Era lui. Il mio braccio. Rispondeva ormai a comandi autonomi. Viveva di vita propria.
Quindi, quella sera, vista l’esperienza passata, sono rimasto comunque vicino a lei, ma senza ostacolare la circolazione del sangue.
La mattina mi sono svegliato prima di lei e sono rimasto a guardarla dormire. Sembrava una bambina. Chissà dov’era con la mente in quel momento, chissà cosa stava sognando. Guardavo il respiro che le muoveva la pancia e ho iniziato a respirare con la sua stessa cadenza. Respirare in simbiosi con lei. Erano respiri corti e lenti. Facendo così, forse speravo di essere ancora più in sintonia con lei e di esserle ancora più vicino. Volevo raggiungere un’intimità maggiore.
Era distesa su un fianco con il braccio piegato verso il mio cuscino. La mano un poco aperta sembrava mendicare qualcosa. L’insieme era l’immagine della mia vita di prima. Di qualche tempo prima. Addormentata, incosciente, che chiedeva un incontro, un piccolo dono. Sono andato in cucina e ho preparato il caffè. Volevo portarle la colazione a letto come nei film, ma siccome a me non piace fare colazione a letto ho deciso poco democraticamente che non piaceva nemmeno a lei, quindi ho portato solo il caffè. Mangiare a letto a me non piace: le briciole, il vassoio che si muove, le gambe che devono stare immobili. Il caffè a letto, invece, mi piace. Ne ho preso un sorso tra le labbra e baciandola sulla bocca gliel’ho fatto sentire. Si è svegliata, stropicciatissima. Ha finito di bere il caffè, e io ho iniziato a mettere mani e bocca dappertutto. Un po’ meno romantico della sera prima, ma sempre molto delicato.
In cucina a fare il caffè c’ero andato in mutande e quando sono tornato a letto avevo le gambe fredde. Lei invece era bollente. La pancia, le cosce, la schiena. Tutta calda, una stufetta. L’ho abbracciata e poi giù ancora di patapàm. Che bello. Che meravigliosa ipoteca avevamo messo sulla giornata facendo l’amore. Che sorriso gigante sul mondo che ci aspettava là fuori.
Doccia canticchiando e poi a lavorare. Che peccato che proprio quella mattina avevo un appuntamento.

Lei invece non aveva problemi di lavoro. Il negozio lo avrebbe aperto sua madre. Quindi è rimasta a letto. Le ho lasciato le mie chiavi.
LE MI-E CHIA-VI.
Prima di uscire ho apparecchiato la sua colazione.
Sul sacchetto dei biscotti ho attaccato un post-it con la mia dichiarazione d’amore.

Tu sei tutto ciò che prima



non sono mai riuscito a dire,



mai riuscito a vedere, fare, capire.



Finalmente sei qui... ho aspettato tanto.



Ci vediamo stasera.

Nella testa, mentre lei mi parlava, viaggiavano a una velocità pazzesca milioni di pensieri. Mi sarei voluto dichiarare. Avrei voluto dirle tutto. Spiegarle la storia della verginità del sentimento, della parola, del gesto. Avrei voluto svelarle cosa pensavo, cosa provavo, cosa sentivo. 
“Non posso dirle veramente quello che ho in testa” pensavo. Sarebbe esplosa come un uovo nel microonde. Sarebbe stato come riversare un quintale di purè su una margherita. E ho detto purè perché mi sono raffinato. 
Immaginavo cosa sarebbe successo se le avessi detto: “Vedi, Ilaria, io non sono molto pratico nel sentimento da qui in poi. Per una serie di paure e altre cose non sono mai andato fino in fondo in un rapporto. Non ho mai messo le carte in tavola. Di solito o passavo o bluffavo. 
“Ho sempre pensato che certi sentimenti, certe parole, certi gesti andassero conservati per una sola persona. Ora non so nemmeno più esattamente cosa pensare. Forse avevo sbagliato. Comunque sia, io l’ho fatto. Ho conservato delle cose. Il mio sentimento è un campo innevato mai calpestato prima. L’ho protetto per anni. Non so cosa succederà tra noi, ma questo non è più un limite. 
“Con te ho capito che, quel campo, lo voglio attraversare. Se tu lo vorrai, ti prenderò per mano e ti porterò dall’altra parte. Quel campo così come è adesso, senza passi, è uguale a tanti altri campi di chi come me non ha mai avuto il coraggio. Le nostre tracce lo renderanno irripetibile e unico. 
“Con te sarò nuovo. 
“Ti dico queste parole nel periodo migliore della mia vita, nel periodo in cui sto bene, in cui ho capito tante cose. Nel periodo in cui mi sono finalmente ricongiunto con la mia gioia. 
“In questo periodo la mia vita è piena, ho tante cose intorno a me che mi piacciono, che mi affascinano. Sto molto bene da solo, e la mia vita senza te è meravigliosa. 
“Lo so che detto così suona male, ma non fraintendermi, intendo dire che ti chiedo di stare con me non perché senza di te io sia infelice: sarei egoista, bisognoso e interessato alla mia sola felicità, e così tu saresti la mia salvezza. Io ti chiedo di stare con me perché la mia vita in questo momento è veramente meravigliosa, ma con te lo sarebbe ancora di più. Se senza di te vivessi una vita squallida, vuota, misera non avrebbe alcun valore rinunciarci per te. Che valore avresti se tu fossi l’alternativa al nulla, al vuoto, alla tristezza? Più una persona sta bene da sola, e più acquista valore la persona con cui decide di stare. Spero tu possa capire quello che cerco di dirti. 
“Io sto bene da solo ma da quando ti ho incontrata è come se in ogni parola che dico nella mia vita ci fosse una lettera del tuo nome, perché alla fine di ogni discorso compari sempre tu. Ho imparato ad amarmi. E visto che stando insieme a te ti donerò me stesso, cercherò di rendere il mio regalo più bello possibile ogni giorno. Mi costringerai a essere attento. Degno dell’amore che provo per te. 
“Come potrei convincerti che saprò amarti se non sapessi amare me stesso? Come potrei renderti felice se non potessi rendere felice me stesso?
“Da questo momento mi tolgo ogni armatura, ogni protezione. Con questo non ti sto dicendo: ‘viviamo insieme’. Ti sto dicendo: ‘Viviamo’. Punto. 
“Non sono solo innamorato di te, Ilaria. Io ti amo. 
“Per questo sono sicuro. Nell’amare ci può anche essere una fase di innamoramento, ma non sempre nell’innamoramento c’è vero amore. Io ti amo. Come non ho mai amato nessuno prima. E sono anche innamorato di te.” 
Avrei finito di bombardarla con tutte quelle inutili parole e l’avrei guardata mentre la sua testa esplodeva. Pezzi di cervello sul frigorifero, sul tavolo. E anche un braccio sul divano, una gamba sulla libreria. Una scena veramente pulp. Veramente splatter. Avrei dovuto prendere lo straccio e pulire il pavimento. Troppo rischioso. 
Poi a me il sangue impressiona. 
Fortunatamente questi concetti me li sono tenuti per me. Avevo imparato. Ho evitato di essere pesante come un brasato con peperonata alle nove della mattina e ho fatto un lavoro certosino di taglia, cuci, incolla, gira, togli, impasta, frulla, sminuzza, affetta. Alla fine con grande amore le ho detto: «Ilaria, mi sa che mi piaci un casino. Vorrei vedere se è vero. Vorrei vivermela. Punto». 
Sì, in sintesi volevo dire quella cosa lì. Mi piaceva. 
Lei mi ha guardato e mi ha sorriso, mi ha dato un bacio, mi ha abbracciato e poi guardandomi negli occhi mi ha detto: «Anche tu mi piaci un casino e vorrei vedere se è vero. Viviamola. Punto». 
La vita ci aspettava. 
Abbiamo mollato le cime e la nave è salpata. Senza dover pulire il pavimento. 



The Revolt of the Salaried Bourgeoisie

How did Bill Gates become the richest man in America? His wealth has nothing to do with Microsoft producing good software at lower prices than its competitors, or ‘exploiting’ its workers more successfully (Microsoft pays its intellectual workers a relatively high salary). Millions of people still buy Microsoft software because Microsoft has imposed itself as an almost universal standard, practically monopolising the field, as one embodiment of what Marx called the ‘general intellect’, by which he meant collective knowledge in all its forms, from science to practical knowhow. Gates effectively privatised part of the general intellect and became rich by appropriating the rent that followed.




The possibility of the privatisation of the general intellect was something Marx never envisaged in his writings about capitalism (largely because he overlooked its social dimension). Yet this is at the core of today’s struggles over intellectual property: as the role of the general intellect – based on collective knowledge and social co-operation – increases in post-industrial capitalism, so wealth accumulates out of all proportion to the labour expended in its production. The result is not, as Marx seems to have expected, the self-dissolution of capitalism, but the gradual transformation of the profit generated by the exploitation of labour into rent appropriated through the privatisation of knowledge.



The same is true of natural resources, the exploitation of which is one of the world’s main sources of rent. There is a permanent struggle over who gets this rent: citizens of the Third World or Western corporations. It’s ironic that in explaining the difference between labour (which in its use produces surplus value) and other commodities (which consume all their value in their use), Marx gives oil as an example of an ‘ordinary’ commodity. Any attempt now to link the rise and fall in the price of oil to the rise or fall in production costs or the price of exploited labour would be meaningless: production costs are negligible as a proportion of the price we pay for oil, a price which is really the rent the resource’s owners can command thanks to its limited supply.



A consequence of the rise in productivity brought about by the exponentially growing impact of collective knowledge is a change in the role of unemployment. It is the very success of capitalism (greater efficiency, raised productivity etc) which produces unemployment, rendering more and more workers useless: what should be a blessing – less hard labour needed – becomes a curse. Or, to put it differently, the chance to be exploited in a long-term job is now experienced as a privilege. The world market, as Fredric Jameson has put it, is ‘a space in which everyone has once been a productive labourer, and in which labour has everywhere begun to price itself out of the system.’ In the ongoing process of capitalist globalisation, the category of the unemployed is no longer confined to Marx’s ‘reserve army of labour’; it also includes, as Jameson notes, ‘those massive populations around the world who have, as it were, “dropped out of history”, who have been deliberately excluded from the modernising projects of First World capitalism and written off as hopeless or terminal cases’: so-called failed states (Congo, Somalia), victims of famine or ecological disaster, those trapped by pseudo-archaic ‘ethnic hatreds’, objects of philanthropy and NGOs or targets of the war on terror. The category of the unemployed has thus expanded to encompass vast ranges of people, from the temporarily unemployed, the no longer employable and permanently unemployed, to the inhabitants of ghettos and slums (all those often dismissed by Marx himself as ‘lumpen-proletarians’), and finally to the whole populations and states excluded from the global capitalist process, like the blank spaces on ancient maps.



Some say that this new form of capitalism provides new possibilities for emancipation. This at any rate is the thesis of Hardt and Negri’s Multitude, which tries to radicalise Marx, who held that if we just cut the head off capitalism we’d get socialism. Marx, as they see it, was historically constrained: he thought in terms of centralised, automated and hierarchically organised industrial labour, with the result that he understood ‘general intellect’ as something rather like a central planning agency; it is only today, with the rise of ‘immaterial labour’, that a revolutionary reversal has become ‘objectively possible’. This immaterial labour extends between two poles: from intellectual labour (the production of ideas, texts, computer programs etc) to affective labour (carried out by doctors, babysitters and flight attendants). Today, immaterial labour is hegemonic in the sense in which Marx proclaimed that, in 19th-century capitalism, large industrial production was hegemonic: it imposes itself not through force of numbers but by playing the key, emblematic structural role. What emerges is a vast new domain called the ‘common’: shared knowledge and new forms of communication and co-operation. The products of immaterial production aren’t objects but new social or interpersonal relations; immaterial production is bio-political, the production of social life.



Hardt and Negri are here describing the process that the ideologists of today’s ‘postmodern’ capitalism celebrate as the passage from material to symbolic production, from centralist-hierarchical logic to the logic of self-organisation and multi-centred co-operation. The difference is that Hardt and Negri are faithful to Marx: they are trying to prove that he was right, that the rise of the general intellect is in the long term incompatible with capitalism. The ideologists of postmodern capitalism are making exactly the opposite claim: Marxist theory (and practice), they argue, remains within the constraints of the hierarchical logic of centralised state control and so can’t cope with the social effects of the information revolution. There are good empirical reasons for this claim: what effectively ruined the Communist regimes was their inability to accommodate to the new social logic sustained by the information revolution. They tried to steer the revolution, to make it yet another large-scale centralised state-planning project. The paradox is that what Hardt and Negri celebrate as the unique chance to overcome capitalism is celebrated by the ideologists of the information revolution as the rise of a new, ‘frictionless’ capitalism.



Hardt and Negri’s analysis has some weak points, which help us understand how capitalism has been able to survive what should have been (in classic Marxist terms) a new organisation of production that rendered it obsolete. They underestimate the extent to which today’s capitalism has successfully (in the short term at least) privatised the general intellect itself, as well as the extent to which, more than the bourgeoisie, workers themselves are becoming superfluous (with greater and greater numbers becoming not just temporarily unemployed but structurally unemployable).



If the old capitalism ideally involved an entrepreneur who invested (his own or borrowed) money into production that he organised and ran, and then reaped the profit from it, a new ideal type is emerging today: no longer the entrepreneur who owns his company, but the expert manager (or a managerial board presided over by a CEO) who runs a company owned by banks (also run by managers who don’t own the bank) or dispersed investors. In this new ideal type of capitalism, the old bourgeoisie, rendered non-functional, is refunctionalised as salaried management: the members of the new bourgeoisie get wages, and even if they own part of their company, earn stocks as part of their remuneration (‘bonuses’ for their ‘success’).



This new bourgeoisie still appropriates surplus value, but in the (mystified) form of what has been called ‘surplus wage’: they are paid rather more than the proletarian ‘minimum wage’ (an often mythic point of reference whose only real example in today’s global economy is the wage of a sweatshop worker in China or Indonesia), and it is this distinction from common proletarians which determines their status. The bourgeoisie in the classic sense thus tends to disappear: capitalists reappear as a subset of salaried workers, as managers who are qualified to earn more by virtue of their competence (which is why pseudo-scientific ‘evaluation’ is crucial: it legitimises disparities). Far from being limited to managers, the category of workers earning a surplus wage extends to all sorts of experts, administrators, public servants, doctors, lawyers, journalists, intellectuals and artists. The surplus takes two forms: more money (for managers etc), but also less work and more free time (for – some – intellectuals, but also for state administrators etc).





The evaluative procedure used to decide which workers receive a surplus wage is an arbitrary mechanism of power and ideology, with no serious link to actual competence; the surplus wage exists not for economic but for political reasons: to maintain a ‘middle class’ for the purpose of social stability. The arbitrariness of social hierarchy is not a mistake, but the whole point, with the arbitrariness of evaluation playing an analogous role to the arbitrariness of market success. Violence threatens to explode not when there is too much contingency in the social space, but when one tries to eliminate contingency. In La Marque du sacré, Jean-Pierre Dupuy conceives hierarchy as one of four procedures (‘dispositifs symboliques’) whose function is to make the relationship of superiority non-humiliating: hierarchy itself (an externally imposed order that allows me to experience my lower social status as independent of my inherent value); demystification (the ideological procedure which demonstrates that society is not a meritocracy but the product of objective social struggles, enabling me to avoid the painful conclusion that someone else’s superiority is the result of his merit and achievements); contingency (a similar mechanism, by which we come to understand that our position on the social scale depends on a natural and social lottery; the lucky ones are those born with the right genes in rich families); and complexity (uncontrollable forces have unpredictable consequences; for instance, the invisible hand of the market may lead to my failure and my neighbour’s success, even if I work much harder and am much more intelligent). Contrary to appearances, these mechanisms don’t contest or threaten hierarchy, but make it palatable, since ‘what triggers the turmoil of envy is the idea that the other deserves his good luck and not the opposite idea – which is the only one that can be openly expressed.’ Dupuy draws from this premise the conclusion that it is a great mistake to think that a reasonably just society which also perceives itself as just will be free of resentment: on the contrary, it is in such societies that those who occupy inferior positions will find an outlet for their hurt pride in violent outbursts of resentment.



Connected to this is the impasse faced by today’s China: the ideal goal of Deng’s reforms was to introduce capitalism without a bourgeoisie (since it would form the new ruling class); now, however, China’s leaders are making the painful discovery that capitalism without the settled hierarchy enabled by the existence of a bourgeoisie generates permanent instability. So what path will China take? Former Communists generally are emerging as the most efficient managers of capitalism because their historical enmity towards the bourgeoisie as a class perfectly fits the tendency of today’s capitalism to become a managerial capitalism without a bourgeoisie – in both cases, as Stalin put it long ago, ‘cadres decide everything.’ (An interesting difference between today’s China and Russia: in Russia, university teachers are ridiculously underpaid – they are de facto already part of the proletariat – while in China they are provided with a comfortable surplus wage to guarantee their docility.)



The notion of surplus wage also throws new light on the continuing ‘anti-capitalist’ protests. In times of crisis, the obvious candidates for ‘belt-tightening’ are the lower levels of the salaried bourgeoisie: political protest is their only recourse if they are to avoid joining the proletariat. Although their protests are nominally directed against the brutal logic of the market, they are in effect protesting about the gradual erosion of their (politically) privileged economic place. Ayn Rand has a fantasy in Atlas Shrugged of striking ‘creative’ capitalists, a fantasy that finds its perverted realisation in today’s strikes, most of which are held by a ‘salaried bourgeoisie’ driven by fear of losing their surplus wage. These are not proletarian protests, but protests against the threat of being reduced to proletarians. Who dares strike today, when having a permanent job is itself a privilege? Not low-paid workers in (what remains of) the textile industry etc, but those privileged workers who have guaranteed jobs (teachers, public transport workers, police). This also accounts for the wave of student protests: their main motivation is arguably the fear that higher education will no longer guarantee them a surplus wage in later life.



At the same time it is clear that the huge revival of protest over the past year, from the Arab Spring to Western Europe, from Occupy Wall Street to China, from Spain to Greece, should not be dismissed merely as a revolt of the salaried bourgeoisie. Each case should be taken on its own merits. The student protests against university reform in the UK were clearly different from August’s riots, which were a consumerist carnival of destruction, a true outburst of the excluded. One could argue that the uprisings in Egypt began in part as a revolt of the salaried bourgeoisie (with educated young people protesting about their lack of prospects), but this was only one aspect of a larger protest against an oppressive regime. On the other hand, the protest didn’t really mobilise poor workers and peasants and the Islamists’ electoral victory makes clear the narrow social base of the original secular protest. Greece is a special case: in the last decades, a new salaried bourgeoisie (especially in the over-extended state administration) was created thanks to EU financial help, and the protests were motivated in large part by the threat of an end to this.



The proletarianisation of the lower salaried bourgeoisie is matched at the opposite extreme by the irrationally high remuneration of top managers and bankers (irrational since, as investigations have demonstrated in the US, it tends to be inversely proportional to a company’s success). Rather than submit these trends to moralising criticism, we should read them as signs that the capitalist system is no longer capable of self-regulated stability – it threatens, in other words, to run out of control.

Slavoj Žižek





lunedì 30 gennaio 2012

The 3 Characteristics of an Educated Man


The 3 Characteristics of an Educated Man

by BRETT & KATE MCKAY 

What defines an educated man? The number of degrees he has? The size of his vocabulary? How many books he’s read?
The qualities that constitute an educated man can be argued over and debated. But I was really taken with the description I found in the book How to Live the Good Life by Commander Edward Whitehead (the Schweppes guy!). He said:
“An educated man has been defined as one who can entertain himself, one who can entertain another, and one who can entertain a new idea.”
Let’s take a look at each of these characteristics.

Can Entertain Himself

“Only those who want everything done for them are bored.” –Billy Graham
“I’m bored!” is the plaintive cry uttered by many a child idling away their summer vacation or fall break. They expect their parents to come up with an activity to cure this boredom (if your mom was like mine, she would always make a wry suggestion like, “How about cleaning up your room?”).
Unfortunately, many men never outgrow this need to be entertained by others and don’t develop into manly self-starters. This is the man who puts his head down on the dinner table as people talk after eating (I’ve seen it), the college student who grouses his way through a class outing to the local museum, and the houseguest who comes to visit your fair city and has no idea what he’d like to do during his stay; he leaves all the planning to you.
The reason that children are perennially bored is not that there aren’t entertainment options available—they’re often surrounded by toys and games—but that they have such short attention spans. They play with one thing for a little bit and then another, and then don’t know what else to do. The educated man is able to lose himself in a task, a hobby, a conversation, or a book because he has developed his powers of focus and concentration.
“When people are bored, it is primarily with themselves.” –Eric Hoffer
Of course these days, with an iPhone always at hand, amusing yourself isn’t very difficult. Anyone can surf or text the boredom away. The real test for the modern educated man is the ability to entertain himself when technology isn’t available or is not socially acceptable to whip out. Can you entertain yourself at a boring meeting, while camping, while conversing at a dinner party? The educated man can, and he does it, ironically enough, by retaining an important ability of his childhood—curiosity. The educated man is insatiably curious about the world around him and other people. In any situation, he sees something to learn, study, and observe. If he’s stuck somewhere with neither phone nor company,  he uses the time to untangle a philosophical problem he’s been wrestling with; the mind of the educated man is a repository of ideas that he can pull out and examine to pass the time in any situation.

Can Entertain a Friend

If someone is of the dull, non-self-starting kind, lucky is he to have a friend who is an educated man to entertain him!
The educated man is the life of the party, the man who keeps the conversation lively and is known to be unfailingly engaging.
He is able to do this because of the breadth of his reading and his experiences. He has an arsenal of interesting tales at the ready about his travels and endeavors. And he’s up on the latest news stories and interesting scientific break-throughs.  No matter the demographics of the group he’s with, he knows a story that will appeal to them.
Abraham Lincoln is a good example of an educated man who could entertain others. Though Lincoln only had one year of formal education, he read voraciously and dedicated himself to lifelong learning. The result was the ability to talk to anybody about anything and leave them entertained. Adeline Judd, the wife of Illinois Congressman Norman Judd, recounted an experience of being entertained one evening by the musings of Abe Lincoln:
“Mr. Lincoln, whose home,” she writes, “was far inland from the Great Lakes, seemed stirred by the wondrous beauty of the scene and by its very impressiveness was carried away from all thoughts of the earth. In that high-pitched but smooth-toned voice he began to speak of the mystery which for ages enshrouded and shut out those distant worlds above us from our own; of the poetry and beauty which was seen and felt by seers of old when they contemplated Orion and Arcturus as they wheeled seemingly around the earth in their mighty course; of the discoveries since the invention of the telescope which had thrown a flood of light and knowledge on what before was incomprehensible and mysterious; of the wonderful computations of scientists who had measured the miles of seemingly endless space which separated the planets in our solar system from our central sun and our sun from other suns which were now gemming the heavens above us with their resplendent beauty.
“When the night air became too chilly to remain longer on the piazza, we went into the parlor where, seated on the sofa his long limbs stretching across the carpet and his arms folded about him, Mr. Lincoln went on to speak of the discoveries and inventions which had been made during the long lapse of time between the present and those early days when man began to make use of the material things about him. He speculated upon the possibilities of the knowledge which an increased power of the lens would give in the years to come, and then the wonderful discoveries of late centuries, as proving that beings endowed with such capabilities as man must be immortal and created for some high and noble end by Him who had spoken these numberless worlds into existence.”
“We were all indescribably impressed,” continues Mrs. Judd, “by Mr. Lincoln’s conversation. After he had gone Mr. Judd remarked: ‘The more I see of Mr. Lincoln the more I am surprised at the range of his attainments and the wonderful store of knowledge he has acquired in the various departments of science and learning during the years of his constant labor at the bar. A professor at Yale could not have been more entertaining and instructive.’”
Of course among the many subjects the educated man has studied is that of human behavior and psychology, so he knows that people are most charmed when others seemed interested inthem. Here Lincoln also excelled; as one of his biographers noted, “Like all truly great men he was a good listener.”
While we’re on the subject, I’d also add that a man should be able to tell a good joke. I guess it’s gone out of fashion to tell real jokes, but I still enjoy them.

Can Entertain a New Idea

This might seem like the easiest one…how hard is it to be open-minded, right?
Well recent research into the way our minds work has shown that far from being the rational beings we flatter ourselves into believing we are, unbeknownst to us, our unconscious is constantly shaping our thoughts, beliefs, and motivations in irrational ways. For example because of “the backfire effect,” when we’re presented with evidence that contradicts our beliefs, instead of changing those beliefs, they become even more entrenched. “The confirmation bias” makes us seek out and only pay attention to new information that confirms our preexisting notions, while we let information that contradicts those notions go over our heads. And “the sunk-cost fallacy” pushes us to stick with a less sensible or desirable option instead of choosing something better, because we’ve already invested time, money, or emotion in it.
In other words, our unconscious minds see our personal ideas as a great treasure, and competing ideas as would-be looters; when they’re detected by the unconscious’ security system, it unleashes the dogs and locks the gate. If you look at a brain scan of people who are listening to a political argument that contradicts their own position, the blood in the part of the brain responsible for rational thought is depleted and is not replenished until the person hears a statement that confirms their position. When confronted with new ideas, your brain literally closes up shop and throws down the blinds until a friendly and well-known visitor knocks at the door.
All of which is to say, the ability to entertain new ideas does not come naturally. Your conscious mind has to turn off the unconscious’ security system and say, “Okay, I know what’s going on here. Let’s not be so hasty. I’m not sure if that’s a looter or a new friend. Why don’t we first check and see?”
Entertaining a new idea doesn’t necessarily mean accepting it and changing your beliefs every time you’re presented with a different take on things. As it has been said, “Be opened-minded, but not so open-minded that your brain falls out.”
Rather, you should entertain an idea in the same way you entertain a guest. You talk with him in a public setting first, at a distance. If you’re intrigued, you then invite him over for a chat. You spend some time getting to know him. And if he turns out to be a bad apple, you stop letting him come around. But sometimes, the person you didn’t think you had anything in common with becomes your new best friend.
The educated man has an easier time in seeing this. His varied experiences and studies have given him multiple opportunities to see how the information he has learned has changed his opinions–even if it took those new ideas a long time to be invited in. The sheltered man who only interacts with people just like him and only reads things that confirm his preconceived ideas will not have these experiences to draw upon, and will thus greet all new ideas like menacing strangers, shaking his fist at them from the safety of the other side of his crocodile-infested moat.

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domenica 29 gennaio 2012

Indiana Jones rifatto con spezzoni di film anni '30

what if movies






First Of The Year (Equinox) - Skrillex [OFFICIAL]

sabato 28 gennaio 2012

-Eric Rohmer- Il raggio verde 1986 ITA (completo)

incazzati neri

venerdì 27 gennaio 2012

Italia - Germania 3-1

 a noi schettino, a voi auschwitz

la prima pagina de il giornale del 27 gennaio 2011, giornata della memoria

Secondo Der Spiegel siamo un popolo di Schettino e non c’è da meravigliarsi di ciò che è successo al largo del Giglio. Di più: siamo tutte persone da evitare, un peso per l’Europa, un ostacolo allo sviluppo della moneta unica. 


 Loro, i tedeschi, sì che sono bravi, «con noi certe cose non accadono perché a differenza degli italiani siamo una razza». Che i tedeschi siano una razza superiore lo abbiamo già letto nei discorsi di Hitler. Ricordarlo proprio oggi, giorno della memoria dell’Olocausto, quantomeno è di cattivo gusto. È vero, noi italiani alla Schettino abbiamo sulla coscienza una trentina di passeggeri della nave, quelli della razza di Jan Fleischauer (autore dell’articolo) di passeggeri ne hanno ammazzati sei milioni. 
Erano gli ebrei trasportati via treno fino ai campi di sterminio. E nessuno della razza superiore tedesca ha tentato di salvarne uno. A differenza nostra, che di passeggeri ne abbiamo salvati 4.200 e di ebrei, all’epoca della sciagurate leggi razziali, centinaia di migliaia. 
Era italiano anche Giorgio Perlasca, fascista convinto, che rischiò la vita per salvare da solo oltre 5mila ebrei. È vero, noi italiani siamo fatti un po’ così, propensi a non rispettare le leggi, sia quelle della navigazione che quelle razziali. I tedeschi invece sono più bravi. Li abbiamo visti all’opera nelle nostre città obbedire agli ordini di sparare su donne e bambini, spesso alla schiena. Per la loro bravura e superiorità hanno fatto scoppiare due guerre mondiali che per due volte hanno distrutto l’Europa. Fanno i gradassi ma hanno finito di pagare (anche all’Italia) solo un anno fa (settembre 2010) il risarcimento dei danni provocati dal primo conflitto: 70 milioni di un debito che era di 125 miliardi. Ci hanno messo 92 anni e nel frattempo anche noi poverelli li abbiamo aiutati prima a difendersi dall’Unione Sovietica, poi a pagare il conto dell’unificazione delle due Germanie. 


 Questi tedeschi sono ancora oggi arroganti e pericolosi per l’Europa. Se Dio vuole non tuonano più i cannoni, ma l’arma della moneta non è meno pericolosa. Per questo non dobbiamo vergognarci. Noi avremmo pure uno Schettino, ma a loro Auschwitz non gliela toglierà mai nessuno.


Zio Tibia Sallusti

 L'articolo di Sallusti è in risposta al seguente articolo di  Jan Fleischhauer su Der Spiegel 



Il carattere di un popolo é un’invenzione ormai superata, lo si apprende già a scuola, gli sterotipi sulle nazioni hanno fatto il loro corso. Ma é davvero così? Pensieri anacronistici sull’odissea di un capitano italiano


Mano sul cuore: qualcuno si é meravigliato del fatto che lo sfortunato capitano di “Costa Concordia” sia italiano? Qualcuno riesce ad immaginare un capitano di marina tedesco o piuttosto inglese facendo una tale manovra, compresa la fuga finale?


Questi tipi li abbiamo conosciuti durante le vacanze al mare: un uomo dalle imprese eroiche che usa troppo le mani mentre parla. In principio sembra innocuo, basta non lasciarlo avvicinare a macchinari pesanti, come dimostrato. Fare una “bella figura” é ormai lo sport nazionale italiano, che consiste nell’impressionare gli altri. Anche Francesco Schettino ha voluto fare una bella figura, peccato che si é trovato davanti una roccia.


Va bene, non é stato per niente corretto. Da molto tempo abbiamo perso l’abitudine di scomodare gli stereotipi culturali per esprimere giudizi sui nostri vicini. E’ una cosa da ignoranti o ancora peggio da razzisti (anche se, tanto per rimanere in tema, non é molto chiaro fino a che punto esista la razza italiana).


Il carattere nazionale é un po’ come le differenze tra i generi. Ovviamente é scomparso da tempo, ma nella vita di tutti i giorni continuiamo comunque ad incrociarlo. Basta trascorrere un pomeriggio all’asilo, per dubitare di tutto ciò che la pedagogia illuminata ci insegna sulla differenza dei generi come costrutto sociale.


Tatsächlich lebt eine ganze Schattenindustrie sehr auskömmlich vom Unterschied zwischen Mars und Venus und wie man am besten damit zurechtkommt. Das Pendant zu solchen Anleitungen ist der Reiseführer, der einen in die Eigenheiten und damit Typologie fremder Kulturen einführt.


In realtà esiste un’intero mercato clandestino che si mantiene anche abbastanza bene trattando delle differenze tra Marte e Venere e dei modi migliori per affrontarle.


Pendant a tale introduzione é la guida turistica, che ci guida tra le caratteristiche e perciò le tipologie di culture differenti.


In qualche modo, dal punto di vista mediatico almeno, ancora oggi l’unno si nasconde in ognuno di noi


Sono soprattutto i tedeschi ad avere qualche problemino con le attribuzioni culturali. Ad esempio ancora oggi gli Inglesi pensano che siamo dotati di poco humor – nonstante anni di sforzi da parte di grandi della comicità come Mario Barth, Achtung Kabarett e Hagen Rether. I Francesi a loro volta prendono in giro la cucina inglese e i Belgi l’avarizia degli Olandesi.


Conosciamo il carattere di un popolo solo nelle sue varianti negative, come autoaccusa. Appena spuntano fuori dei ragazzi con delle stupidità, allora compare sui giornali l’investigatore dei conflitti Wilhelm Heitmeyer che ci spiega perché la pace sociale sia in pericolo (“una situazione esplosiva”) e si trovi sull’orlo del precipizio.


In qualche modo, dal punto di vista mediatico almeno, ancora oggi l’unno si nasconde in ognuno di noi.


Non c’è bisogno di scomodare la genetica per capire che le nazioni sono diverse una dall’altra. Le cause sono climatiche e anche la lingua gioca un suo ruolo. Di norma questo non ha grande importanza, basterebbe solo non basare la politica sulla supposizione che i confini significano ancora solo nel loro senso figurato.


Difetto congenito dell’Euro? Essere la camicia di forza di culture differenti


Se ora si parla dappertutto solo delle diverse capacità dei Paesi dell’Eurozona, questo é il modo certo per dire che alucni stereotipi hanno la loro legittimità. Il difetto congenito dell’Euro é stato stringere culture economiche tanto diverse con la camicia di forza di una stessa moneta.


Per capire che questo non avrebbe mai potuto funzionare, non erano necessari studi di economia politica, una visita a Napoli o nel Peloponneso sarebbero state sufficienti. Adesso si cerca disperatamente una soluzione. La risposta della Cancelliera é che tutti diventino come noi. Vedremo se avrà successo. Le nazioni possono cambiare, e questa é una consolazione. 2000 anni fa gli Italiani avevano un impero che si estendeva dall’Inghilterra all’Africa. I Tedeschi, nel frattempo, si danno da fare per salvaguardare il sistema ferroviaro da troppa neve e ghiaccio. A volte ci vuole molto tempo per sfatare gli stereotipi. A volte ci vogliono generazioni.

Se non ti ama non te lo meriti

meritocrazia by ildeboscio

Se non ti ama non te lo meriti

giovedì 26 gennaio 2012

La differenza tra Nobiltà e borghesia

Principe Emanuele Filiberto Matteo Cambi

mercoledì 25 gennaio 2012

BEPPE GRILLO NEL BLOCCO IDENTITARIO



Dopo un lungo rincorrersi di annunci e smentite, finalmente è ufficiale: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo alle prossime elezioni farà cartello con Lega Nord e Forza Nuova. La coalizione è stimata attualmente dai sondaggi intorno al 15%, con un margine di crescita ulteriore del 5%. Gli sponsor musicali saranno Radio Bandiera Nera - Liberi Belli e Ribelli, e Steven Patrick Morrissey, che durante la campagna elettorale suonerà per loro The National Front Disco. Resta solo da stabilire il nome della coalizione. Al momento le ipotesi sono queste:

- UNITI PER LA TERZA VIA
- ABBIAMO PAZIENTATO 40 ANNI, ORA BASTA
- NÉ ROSSI NÉ NERI, SOLO LIBERI PENSIERI
- NÉ DESTRA NÉ SINISTRA, RIVOLUZIONE FASCISTA

Nel caso dovesse riuscire l'apparentamento con il Movimento dei Forconi, inoltre, si aggiungerebbe una quinta opzione:

- SOLO CHI HA IL CAOS DENTRO DI SÉ PUO' PARTORIRE UNA STALLA DANZANTE

martedì 24 gennaio 2012

CI HANNO DAVVERO PRESO TUTTO








Dopo una lunga serie di sdoganamenti, CasaPound Italia sarà intitolata per un giorno a Carmelo Bene.




Secondo fonti ben informate, saranno questi i volti che troveremo sui prossimi manifesti di CasaPound:

- Ascanio Celestini
- Malcolm X
- Enrico Brignano
- Banksy
- Mario Balotelli
- Franco Battiato
- Er Pelliccia
- Giovanni Lindo Ferretti
- Skrillex
- Luciana Littizzetto
- Jorge Luis Borges
- Vinicio Capossela
- Aldo Giovanni & Giacomo

Le ragioni del Movimento dei Forconi

le ragioni del Movimento dei Forconi

LANA DEL REY-BLUE JEANS

La vera vittima di Kindle? Billy. IKEA si aggiorna, l'editoria un po' meno


Che il libro stia vivendo una profonda trasformazione lo si evince dall'evoluzione degli scaffali e delle librerie, ivi intese come mobilio e non come esercizi commerciali. Se il medium è il messaggio, come ci ricorda Marshall McLuhan, gli effetti delle nuove tecnologie della comunicazione si manifestano in primo luogo a livello di interior design. Qualche settimana fa, IKEA ha annunciato una anuova versione di Billy, una delle più vendute librerie al mondo. La smaterializzazione del libro ha costretto l'azienda svedese a ripensare la celebre struttura di compensato, la cui profondità è stata incrementata per consentire agli utenti di stipare oggetti differenti da quei solidi di carta, inchiostro e colla altrimenti noti come libri. E se l'aggiunta di vetrate da un lato protegge dalla polvere, dall'altro trasforma la libreria in un grosso contenitore. Billy 2.0 sarà disponibile da ottobre.

La progressiva scomparsa della carta dagli scaffali domestici segna la fine del processo di smaterializzazione delle merci culturali cominciato oltre una decade fa. I primi a scomparire sono stati i compact disc, convertiti in file MP3 (introdotto nel 1993) e parcheggiati prima sugli hard-drive e quindi nella nuvola, dove lo streaming di Spotify, Zune, Mog, Rhapsody, Rdio e quindi Amazon e Google ha affiancato e, per molti utenti sostituito, la collezione privata, con buona pace di Simon Reynolds. Successivamente, servizi come Netflix, Amazon Instant Video, Vudu e Hulu hanno reso obsoleti DVD e Blu-ray, contribuendo alla progressiva liberazione degli spazi domestici dalla massa confusa e caotica di plastica. Infine Xbox Live, PlayStation Network e OnLive - senza dimenticare Zynga e soci -  hanno reso superfluo il possesso del videogame su disco: download, streaming e social network, a seconda dei casi, hanno rivoluzionato la nozione stessa di consumo. In tutti i casi, l'accesso è diventato più importante del possesso. [E il fenomeno si è esteso anche ai mezzi di trasporto oltre a quelli di comunicazione. Il modello del car-sharing di Zipcar, negli Stati Uniti, è esemplare, senza dimenticare il successo del bike sharing in Europa. Chiusa parentesi]. In tutti i casi, le merci culturali hanno mutato forma e funzione: da prodotto sono diventate un vero e proprio servizio, accessibile on-demand e just-in-time, rendendo arcaiche forme tradizionali di acquisto e formule di consumo predefinito a monte (cfr. la pay-tv). Non parliamo poi del concetto di palinsesto che, al pari del medium televisivo nel suo complesso, appartiene a un'epoca concettualmente, storicamente e ideologicamente conclusa.

Da qualche anno a questa parte, il libro sta attraversando un analogo processo. La svolta risale al 2007, con l'introduzione di Kindle negli Stati Uniti. Ma se la trasmutazione del compact disc e del dvd è stata rapida e indolore, quella del libro è tortuosa e sofferta (almeno per molti editori), per una serie di motivi di natura sociale, culturale e tecnologica. I sostenitori della carta e della celluloide a oltranza tendono a dimenticare che il libro, in quanto tale, è una tecnologia. Una tecnologia sorprendentemente longeva e robusta, flessibile e versatile, ma pur sempre una tecnologia e, come tale, suscettibile a fenomeni di obsolescenza, pianificata o meno. Amazon e Google hanno dato inizio a processi di radicale trasformazione del libro: Kindle e Google Books rappresentano progetti ambiziosi per quanto concerne la diffusione di idee e informazioni nelle società digitali. Progetti che sono stati accolti con timore e tremore, se non apertamente osteggiati per motivi validi (tra i tanti: la poderosa concentrazione di risorse intellettuali in poche mani, in questo caso, quelle di una manciata di corporation della West Coast) e meno validi (la difesa degli interessi economici dei publisher, la salvaguardia del diritto di copyright per ragioni puramente commerciali etc.)

Ma al di là delle irrazionali ansie tecnofobiche e delle legittime preoccupazioni (essenzialmente economiche) di editori e autori, l'idea di poter accedere a una libreria planetaria globale rappresenta il coronamento dei sogni e delle fantasie utopiche dei pionieri e dei precursori della rete, da Ted Nelson allo stesso Marshall McLuhan, tra i primi a profetizzare la trasformazione del libro da merce, oggetto culturale, a servizio. Non a caso, Amazon sta valutando da tempo la possibilità di offrire ai suoi abbonati Prime l'accesso incondizionato ai libri attraverso Kindle con la formula del buffet (all-you-can-eat) rispetto a quella dell'acquisto à la carte. Con $79 dollari l'anno si potrebbe accedere a un catalogo che farebbe impallidire quello della leggendaria biblioteca di Alessandria. Si tratta, de facto, di applicare il modello di Netflix all'editoria, eventualità che una parte dell'industria considera "eretico" e "blasfemo". Faccio ricorso a una terminologia religiosa perché il dibattito sul futuro del libro è spesso caratterizzato dal fanatismo tipico della retorica integralista, una retorica che rinuncia a priori a interrogarsi sulla legittimità di modelli, formule e principi. In queta ottica, il libro - inteso come oggetto cartaceo - viene idolatrato, venerato come un feticcio, mentre l'ebook viene dipinto come il male assoluto, la fine della cultura, l'apocalisse della lettura.

Nel frattempo, Amazon ha recentemente stipulato un accordo con oltre diecimila biblioteche sparse per il territorio nordamericano per consentire agli utenti Kindle di prendere a prestito libri in formato digitale, previo possesso di una tessera della biblioteca e di un account Kindle, manovra che le librerie hanno accolto con scarso entusiasmo (sorpresa!). Dopo il tracollo del gigante Borders e il declino inarrestabile di megastore e multistore vari, la Vecchia Guardia fa barricate per resistere alla tsunami dell'ebook. I numeri parlano da soli: nel 2011, negli Stati Uniti le vendite di ebook hanno superato quelle degli hardcover. E da qualche tempo, all'acquisto di carta su Amazon si e' sostituito il download. L'azienda di Bezos controlla il 60-70% delle vendite di ebook negli Stati Uniti (e fino al 90% in Gran Bretagna). Detto altrimenti, stiamo assistendo a un vero e proprio cambio di paradigma. La smaterializzazione del libro ha implicazioni profonde non solo sull'aspetto dei nostri appartamenti, ma anche sul design e, soprattutto, sulla funzione delle librerie. Negli Stati Uniti, i bookstore stanno progressivamente scomparendo dal tessuto cittadino - fenomeno che non mi preoccupa particolarmente dato che alle librerie ho sempre preferito le biblioteche, che, ironicamente, godono di buona salute. Se la passano meglio le librerie indipendenti e specializzate, che stanno convertendo i loro spazi per eventi speciali. Qualche giorno fa ho assistito alla presentazione di Reamde, il nuovo straordinario romanzo di Neal Stephenson. Ho sganciato la bellezza di $25 dollari per assistere all'evento nella mia libreria preferita, The Booksmith. Tutto esaurito a una settimana dallo show, bagarini all'ingresso e biglietti su eBay... Ma Stephenson non ha deluso. Stephenson non delude mai. Stephenson è una rockstar. Il libro lo posso acquistare da qualunque parte del mondo in qualunque momento. Schiaccio un pulsante e, bingo!, le 1044 pagine si materializzano sul mio schermo. Ma l'apparizione dello sciamano Stephenson è un evento. Che richiede, gosh, la presenza fisica.

Ne consegue che nel nuovo scenario del libro polverizzato, la libreria si trasforma in un club, in una sala conferenze, in uno spazio multifunzione da usare per occasioni speciali. La vendita dei libri viene dopo. Anzi, ipotizzo l'avvento di librerie senza libri. Il modello è quello dell'Apple Store, che offre seminari, workshop, presentazioni - servizi importanti tanto quanto la vendita dei prodotti in quanti tali (quelli si possono sempre acquistare online). Così come le band musicali oggi si guadagnano la pagnotta prevalentemente attraverso tour e concerti - come avveniva prima dell'avvento dei supporti di registrazione e dei rispettivi "lettori" (dal grammofono al cd) - è lecito prevedere che le librerie svilupperanno modelli di business alternativi per contenere la progressiva diminuzione delle vendite del cartaceo. Le principali catene si daranno battaglia per assicurarsi le superstar della penna, pardon, del word processor, fenomeno facilitato in Italia dal fatto che alcuni grandi editori possiedono anche catene e punti vendita sul territorio - in questi casi si parla di "integrazione verticale" o di conflitto di interessi, a seconda delle scuole di pensiero.

In ogni caso, è cominciata una fase molto delicata per l'editoria. Chi auspicava scelte illuminate - specie dopo gli errori lapalissiani commessi dai CEO delle etichette musicali e dell'home video che hanno a lungo osteggiato la distribuzione in formato digitale delle proprie merci favorendo indirettamente fenomeni come Napster e The Pirate Bay - è rimasto deluso. I danni inferti dai "pirati" sono la prevedbile conseguenza dell'atteggiamento miope e reazionario di un'industria incapace di aggiornarsi e ripensare le proprie formule e modelli in uno scenario inedito. Come ci ricorda il Matt Mason di Punk Capitalismo. Come e perché la pirateria crea innovazione (Feltrinelli, 2009), nella maggior parte dei casi, quelli che chiamiamo atti di pirateria sono piuttosto la risposta dell'utenza alle deficienze e alle lacune logistiche del "mercato ufficiale". Tradotto in soldoni: considerando che i margini di guadagno sugli ebook per gli editori sono nettamente più alti, era lecito attendersi prezzi di vendita inferiori a quelli del libro di carta. Mantenere gli stessi prezzi o aumentarli significa promuovere una distribuzione sotterranea. La diffusione di servizi di scannerizzazione di libri a bassissimo costo potrebbe infatti dare vita a un mercato editoriale parallelo e alternativo, un mercato fondato sulla logica del dono e dello scambio (cfr. Mauss), invece della transazione economica. Un mercato chiaramente illegale, beninteso, ma non per questo meno florido.

Eppure la smaterializzazione del libro elimina problemi che affliggono da sempre l'editoria: dai resi alla necessità della ristampa. L'ebook non soffre della patologia tipica dell'era analogica, i.e., la scarsità. I bit occupano poco spazio, sono facilmente riproducibili, non si deteriorano, si trasportano facilmente, si prestano a manipolazioni, non ingialliscono, non si sbiadiscono, non accumulano polvere. I bit sono fluidi, gli atomi sono statici. Con l'introduzione di Kindle, Amazon ha suggerito un prezzo di vendita degli ebook di $9.99. Svariati editori, tuttavia, si sono ribellati imponendo i propri prezzi. Ora, uniformare il prezzo di un ebook a quello del libro brossurato (in media, $25, che su Amazon si traducono in $16 grazie agli sconti praticati) è assai rischioso, perché rischia di alienare quella parte dell'utenza sufficientemente intelligente per ravvisare, in questa manovra, l'evidente speculazione. Faccio un esempio: che
Utopic Dreams and Apocalyptic Fantasies: Critical Approaches to Researching Video Game Play costi $59 in formato cartaceo e $54 in formato elettronico è demenziale.

Il problema è culturale, prima ancora che economico: per gli editori, un prezzo di vendita al pubblico di $9.99 riduce il "valore" della merce-libro, a prescindere dal formato. "Svaluta il capitale intellettuale dell'Autore". "Impoverisce il brand del publisher". Gli editori non vogliono saperne di accettare le condizioni di Amazon. E non sono solo gli editori a lanciare anatemi. Il 12 settembre 2011, la Authors Guild - il sindacato degli scrittori- ha fatto causa ad alcune delle più importanti università statunitensi - nella fattispecie, University of Michigan, the University of California, the University of Wisconsin, Indiana University e Cornell University - per aver digitalizzato i loro enormi archivi cartacei senza ottenere il consenso. In realta', un po' tutte le istituzioni accademiche americane hanno avviato processi sistematici di scannerizzazione in piena autonomia - Stanford in primis, le cui bilioteche ospitano sempre meno libri. In breve, si sta combattendo una battaglia senza esclusione di colpi. Una battaglia in cui interessi economici e culturali si fondono e si confondono. A farne le spese sono i "clienti", gli "utenti", i "lettori". L'industria musicale ha perso il braccio di ferro con Apple, accettando le condizioni dell'azienda di Cupertino per tamponare - quando il paziente era ormai in condizioni disperate - l'emorragia del peer-to-peer. La recente svolta - Amazon diventa editore a tutti gli effetti - potrebbe avere effetti destabilizzanti sul mercato editoriale. Non va poi dimenticato che Kindle è prima di tutto una piattaforma, non un semplice strumento tecnologico: grazie a Kindle Direct-Publishing, Amazon detiene il totale monopolio nel settore delle pubblicazioni fai-da-te.

Nella maggior parte dei casi, l'industria culturale ha reagito alle sfide del digitale con pachidermica lentezza. Soprattutto, si è dimostrata incapace di comprendere che nel momento in cui rende la vita eccessivamente complicata a un utente che desidera acquistare legalmente una merce culturale, si rischia di perderlo per sempre. L'avvento dell'ebook non segna la fine della cultura, nè, tanto meno, la morte del libro di carta. Rappresenta, semmai, l'inizio di una nuova era per la scrittura e la lettura. Ma anche per l'architettura, l'interior design, l'interaction design e, soprattutto, per la material culture, disciplina che studia il rapporto tra gli artefatti e le relazioni sociali che essi rendono possibili. Una storia tutta da scrivere.

Matteo Bittanti

http://blog.wired.it/misterbit/2011/09/28/la-vera-vittima-di-kindle-billy-ikea-si-aggiorna-leditoria-un-po-meno.html?cs=awaiting#cs

grazie al movimento dei forconi

Grazie al Movimento dei Forconi finalmente sappiamo quali sono le fasce sociali che votano Forza Nuova: camionisti, contadini e pescivendoli.

lunedì 23 gennaio 2012

Beppe Grillo è dalla tua parte

beppe grillo

L'evasione fiscale in Italia si compra. Evadere le tasse i è un investimento. Può valere dai 100.000 ai 200.000 euro. Non si possono cancellare i risparmi di una vita con un decreto, con la parola "legalità". Che significato ha poi questa parola? La situazione italiana è gravissima, per dirla alla Draghi, e la priorità è diventata l'evasione? Chi evade può essere un padre che ha corrotto funzionari per dare un futuro al figlio. Se si vuole legalizzare, vanno prima rimborsati. Oggi vengono a prendere gli evasori, domani i notai, dopodomani i farmacisti, la settimana prossima i fruttivendoli. L'unica categoria che non vanno mai a prendere è quella dei politici. I responsabili della catastrofe che tutto giustifica, che sta azzerando ogni diritto, guardano dall'alto la bolgia infernale che sta diventando l'Italia. Tutti contro tutti e loro sopra a ogni cosa. Suonano l'arpa come Nerone mentre il Paese brucia, da Sud a Nord. La caccia all'untore, alla singola categoria sociale, è iniziata. Una battuta dopo l'altra con i media a demonizzare i redditi degli evasori o degli avvocati. Gli evasori ricchi sono rari come i politici onesti. E' un lavoro che si sono comprati con i loro soldi, non attraverso raccomandazioni, conoscenze, leccate di culo. La loro reazione, che può apparire esagerata, incomprensibile "Ma cosa vogliono questi evasori?" è dettata dal baratro della povertà che gli si spalanca davanti. Il mutuo da pagare, la retta della scuola dei figli. Questo governissimo, sostenuto da Pdl e Pdmenoelle all'unisono, non ha il senso della realtà. Vive in un universo dove i diritti dei cittadini e i doveri delle Istituzioni sono teorie astratte. Pezzi di lego da montare e smontare a piacere. Un'immagine descrive la situazione. Cacciari viene insultato a Genova per strada dagli evasori, si sorprende e chiede "Ma che vi ho fatto io?" con la mano. Già, che responsabilità hanno i politici? Viviamo ormai alla giornata, non siamo in guerra, ma è come se lo fossimo. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure, Ci vediamo in Parlamento se non fanno una legge elettorale per impedirlo.

http://www.beppegrillo.it/2012/01/io_sto_con_i_ta/index.html

Un weekend postmoderno

immagini x le masse

Voglio andare all'isola del giglio
Voglio la foto con la mia ragazza con dietro la costa concordia
Voglio boicottare i libri di vespa
Voglio dire la mia
Voglio il movimento dei forconi
Voglio bloccare l'autostrada
Voglio parlare con Marco Mazzoli
Voglio abolire la bce
Voglio abolire le banche private
Voglio abolire il signoraggio
Voglio sapere cos'è il signoraggio
Voglio il signoraggio al posto del latino nelle scuole
Basta tasse
Riprendiamoci la nostra vita
Pagatevela voi la vostra crisi
Voglio l'aumento
Voglio il permesso
Voglio il congedo
Voglio andare in pensione
Voglio le rotonde al posto dei semafori
Voglio la dreambox x vederci la Juve gratis
Voglio cena argentina di coppia a 39 euro, Canotta e short anticellulite/Padelle in ceramica
Riaprite Megaupload e Megavideo, fascisti!
No alla Tav
Sì a Sharm
movimento dei forconi a torino

domenica 22 gennaio 2012

immagini x le masse

immagini x le masse

Se hai deciso di venire al caffè con noi la sera, preparati ad essere un buon esperto [...] l'ultimo cliente del nostro caffè morirebbe dalla vergogna, non oserebbe più farsi vedere se non tentasse sino alla chiusura delle serrande di sostenere il suo punto di vista. [...] Due anni fa, se non sbaglio, affondò un piroscafo nello scontro con un altro piroscafo. Noi per un mese - e anche due - ogni sera abbiamo parlato, tecnicamente, del disgraziato evento. Pur non avendo una diretta conoscenza della navigazione oceanica noi sapevamo tutto: quali luci i due piroscafi avrebbero dovuto tenere accese, che intervallo passa tra un segnale di sirena e l'altro in caso di nebbia, come si naviga in alto mare, che differenza passa tra stazza, volume e tonnellaggio, cos'è un quarto di notte, lo spessore di una lamiera, chi ha il diritto di precedenza, come si tira a galla una nave affondata. (E se vale la pena di tirarla a galla). Coll'avanzar della notte il tema, così vasto, offriva qualche gradevole estrapolazione: la cucina dei grandi transatlantici, le avventure di bordo, la varietà dei passatempi. [...] Riprendeva il suo tono (della discussione ndr) all'arrivo di un ritardatario cliente che, per esempio, diceva: "Credo di aver studiato il problema: la colpa è del timoniere". Orrore! Una frase simile equivaleva una sfida. Ognuno tirava tirava fuori la sua penna e, sui bordi bianchi dei giornali, dimostravamo che: se A procede verso est e B procede verso ovest, a rispettiva distanza di miglia X, entrambi navigando alla velocità di tanti nodi, l'azione del timone di A ritardava di 9 gradi (o centimetri, non ricordo bene) rispetto al timone di B, per effetto delle correnti termostatiche. Allora si avevano interventi di questo genere: "Lei confonde la stabilità statica con la stabilità dinamica! Oh, oh!". Oppure: "E l'angolo di sbandamento trasversale?" Interveniva allora il cameriere che, avendo onorevolmente prestato servizio in marina, si sentiva forte di una sua particolare esperienza e pacatamente ci spiegava che una nave è una nave, che bisogna esserci stati sopra, che una volta, in piena tempesta, la nave si era alzata così e tutti s'erano sentiti male, eccetto lui e uno di Formia.
Ennio Flaiano, Gli Esperti

Lana Del Rey's plagio





tnx to bucknasty

sabato 21 gennaio 2012

Edward Hopper. PD Nighthawks

Edward Hopper. PD Nighthawks

Consorzio

dovessi spiegare a un alieno com'è un ristorante slow food, lo porterei al consorzio.
 Porzioni mini, prezzi tutt'altro che bassi, idee originali (sono specializzati nel quinto quarto), presentazioni belel e non standard, servizio piacevole.
E poi, come dicono loro, sono nel cuore della movida.
Voto: 7,5
Via Monte di Pietà, 23
10122 Torino
011 2767661
http://www.ristoranteconsorzio.it/

venerdì 20 gennaio 2012

Forse Italia



Lui non mi ha insegnato l'inglese, non mi ha insegnato il francese e neanche l'italiano in modo corretto. Lei non mi ha parlato di libri, della storia delle idee, nessuna politica da seguire, nessun movimento di pensiero. Lei non mi ha mostrato niente di pratico, né cucina né cucito, montare la maionese, mettere su una SRL, tener pulita la casa. Lui non sapeva molto di matematica, né l'equazione di Schrödinger, ma per essere onesto si è fatta attenzione che perfezionassi il mio rovescio a due mani, che mi piegassi bene sulle gambe. Ma questo non è rimasto, questo non è entrato. Mi è stato dato un modello liberal-democratico, poi mi è stato dato un certo disinteresse, una certa distanza dalla religione, ma lui non mi ha detto a cosa servisse il pianoforte né il cinema italiano dove però lavorava. Lei non mi ha detto come si erano sposati, traditi, lasciati, né mi ha dato altri modelli da seguire. Non mi hanno parlato di Marx, il rivale di Tocqueville, né di Weber, il nemico di Lukács. Mi hanno detto che bisognava votare. Lei non me ne ha nascosto l'esistenza ma ha taciuto su Galileo, Pirandello, Una vita violenta. Il sessantotto non fu mai materia di discussione, nessun commento sulla società dello spettacolo, ma sapevano che Balzac era pagato a riga, e che questo era disprezzabile. Non conoscevano storie di resistenza o di mafia, ma alcuni trucchi per non pagare le tasse. Ricordavano sorridendo la tessera del partito comunista dei loro padri, ma poco di Togliatti, alcune battute su Andreotti, e niente su Mussolini. Hanno conosciuto com'era il mondo senza televisione ma non ne dicevano niente. Non potevo vedere Apocalypse Now ma potevo leggere Cuore di tenebra: non l'ho letto, non mi hanno detto che era bello. Nessuno mi ha detto come fare con le ragazze, con i soldi, come fare con i morti. Bisognava capire come fare a ridere con i fratellastri, sorellastre, mezzi morti, mezze compagne, amanti e nuovi sposi, alcolizzati, stranieri. Figlio di una famiglia di sinistra tu militi, milita. Figlio di una famiglia di destra eredita, goditela. Non mi hanno picchiato, mi hanno sicuramente amato molto. Non c'era qualcosa che bisognasse fare a parte forse l'ingegnere, niente da non fare a parte forse il musicista. Lei mi ha detto che le droghe erano troppo rischiose, lui mi disse che le sigarette erano troppo costose. Lei mi disse di essere stata innamorata una volta soltanto, ma non mi disse se si trattava di mio padre. Lei non mi ha detto come si fa quando ci si sente soli, lui non mi ha detto che tra amici spesso si litiga, ci si offende e che tutto diventa confuso e complicato, che bisognerebbe farne a meno. Lei non mi ha detto niente riguardo a Freud e io ignoro Lacan. Nessun consiglio, nessuna morale, nessuna saggezza familiare, nessuna favola per addormentare i bambini, nessuna favola per far sognare gli adulti. Lui non fiatava sulla Novelle Vague né su quello che si vedeva prima, ma diceva che gli Uffizi erano interessanti. Non abbiamo parlato di Celentano ma si doveva amare Battisti. Mi hanno parlato di un concerto. In ogni caso non so nulla dei poveri, nulla della grande borghesia, niente degli attivisti di sinistra, niente dei nuovi ricchi. Non si parlava dei cattolici, né degli ebrei, né degli arabi. Non c'erano cinesi. Lei era convinta che i neri avessero un cattivo odore, e non sopportava i cattivi odori. Lui... A lui non gliene fregava niente.

Versione tradotta e adattata, ad opera di Sergio Chibbaro, di France Culture di Arnaud Fleurent-Didier.