giovedì 15 luglio 2004

McKinsey,sempre lei.

Su Dagospia una lettera interessante, sempre su McKinsey...
...visto che qualche giorno fa hai pubblicato un articolo dell'Espresso in cui si parlava di McKinsey. Ecco qualche considerazione ulteriore.
Anche McK applica intelligentemente il networking, alla base delle maggiori business school americane (e che qui in Italia cerca di applicare con qualche successo solo Bocconi). Si tratta di innescare questo circolo virtuoso. Prendiamo come esempio Harvard. Questa ammette ai suoi corsi candidati che abbiano "il potenziale di diventare persone di successo".
In questo modo, un domani sarà citato sui giornali, collegato al nome del tizio X, anche Harvard: vale a dire pubblicità gratuita che tenderà a rafforzare l'idea nei candidati futuri che Harvard è la migliore business school e che il successo di X dipende anche dall'aver frequentato quell'università.
Dall'altro lato, X tenderà a circondarsi e a aiutare persone che sono anch'esse uscite da Harvard, perché la propria rivendibilità sul mercato sarà tanto maggiore quanto maggiore è il successo che globalmente gli allievi di Harvard hanno sul mercato e perché, in ogni caso, vale la vecchia regola che oggi io aiuto te, domani potresti essere tu ad aiutare me.
Per questa ragione Harvard non ammette ai suoi corsi solo persone con curriculum pesanti ma lascia sempre una piccola quota per i "figli di papà". Questi ultimi infatti saranno automaticamente classe dirigente per meriti di discendenza, finiranno certamente sui giornali, e associare anche ad essi il nome di Harvard sarà sicuramente benefico per la fama dell'università (cito a caso in Italia i nomi di Alessandro Benetton-Harvard e di Marco De Benedetti-Wharton)...
Chi è stato quindi in McK tenderà ad acquistare da McK, perché conosce ed è conosciuto e perché anche in questo caso vale la regola del oggi io aiuto te, domani potresti essere tu ad aiutare me: se le cose non vanno come previsto il ritorno fra i ranghi è un opzione da tenere sempre aperta (vedi ad esempio il caso di Gianemilio Osculati e l'esperienza nella ex Banca d'America e d'Italia).
E comunque a tutti conviene cercare di incrementare il buon nome e la notorietà della "firm". Inoltre, McK ha il problema ogni anno di spurgare dai propri ranghi almeno una decina di dipendenti ritenuti non sufficientemente adatti per posizioni di maggiore responsabilità. Gli alumni possono offrire a questi soggetti un posto nelle società di cui sono responsabili, evitando così alla firm la fastidiosa incombenza del licenziamento.
In termini di pura qualità del prodotto non ci sono grosse differenze fra le varie società concorrenti. Come penso, neppure fra la qualità globale del personale. Non a caso, McK può vantare dei casi di successo (i vari Colao, Passera, ecc.) ma anche dei fiaschi clamorosi, che sono stati prontamente dimenticati dalla stampa.
Cito come esempio in Italia, i tre fondatori di Gandalf, linea aerea quotata al nuovo mercato ormai fallita perché basata su un business model che era una vera idiozia e Luigi Orsi Carbone, fondatore della società di telecomunicazioni e-planet, anch'essa quotata al nuovo mercato e salvata in extremis dal fallimento da altri investitori, la cui prima mossa è stata ovviamente la pronta liquidazione del sopra citato fondatore.
McK, come la concorrenza, in genere non fornisce soluzioni originali né particolarmente brillanti, né, a volte, particolarmente azzeccate (vedi il fenomeno della new economy, pompato anche dai consulenti per proprio puro interesse; o gli articoli della McKinsey Quarterly, dove si propongono a volte soluzioni che negano quanto sostenuto in articoli pubblicati solo qualche numero prima).
Non va dimenticato che spesso i consulenti si limitano a ratificare decisioni già prese dal management. Ad esempio, se X pensa sia il caso di ridurre il personale di 1.000 unità, lo fa dire dai consulenti alle sue dipendenze: è più conveniente per il quieto vivere in azienda dire "non ci posso fare niente; è colpa dei consulenti; sono loro che dicono che voi siete in troppi."
O, ancora, se X ha deciso di acquisire l'azienda Y, un rapporto favorevole di un consulente aiuta X ad ottenere l'approvazione della decisione dal consiglio di amministrazione e dagli altri boss dell'azienda.
Relativamente all'aspetto monetario, il costo di un consulente McK (o di un'altra società di consulenza equivalente) dipende dal tipo di progetto e dall'esperienza acquisita dal consulente; indicativamente è nel range 1.000-2.500 euro al giorno + iva 20% + spese di trasporto e alloggio. Per quanto ne so (manco dall'ambiente da un poco) un consulente McK guadagna circa 40.000 euro all'anno se junior e nell'ordine dei 100.000 euro se manager.
I partner guadagnano in funzione degli utili fatti dalla firm. Possono ottenere cifre elevate, ma anche, come mi risulta sia avvenuto un paio di anni fa, versare soldi di tasca propria per ripianare le perdite. La retribuzione media di un consulente di 450.000 euro all'anno citata nell'articolo mi sembra quindi eccessiva, anche includendo nel conteggio i paesi esteri dove le retribuzioni sono più generose (cioè USA e UK).
Mi sa che è un dato fornito all'esterno a fini diciamo "auto-pubblicitari". In ogni caso, se anche gli stipendi possono essere ritenuti non così male, va tenuto presente che un consulente McK lavora 70-100 ore a settimana e non certo le 40 ore contrattuali. Per capirci, se uno ha moglie, la può vedere spesso solo nel week-end. Qualcuno riesce a tenere il ritmo, qualcun'altro dopo un po' scoppia, qualcun altro ricorre agli aiutini.

3 commenti:

nick ha detto...

Vedo già nascere un nuovo genere narrativo: epica delle società di consulenza. ;-)

thy.fore ha detto...

infatti lunedi' posterò un'altra bella cosa sull'argomento

Anonimo ha detto...

noi abbiamo dedicato un intero blog al MAGICO mondo della consulenza!

http://consultingpost.altervista.org/

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