domenica 22 luglio 2012

la strage di denver

I ragazzi americani (non solo loro, ovviamente) crescono attraversando una misteriosa fase di adattamento alla "normalità" adulta, nel corso della quale si possono produrre pericolosi cortocircuiti. E' una terra di nessuno che si analizza con disagio, perché, questa sì, ci coinvolge tutti - genitori, educatori, comunicatori. Si arriva presto alla riflessione sui meccanismi di esclusione che regolano la sfida competitiva a cui sono sottoposti i giovani. Che riguarda in particolare quanti dispongano di opportunità - un'educazione completa, per esempio - in coincidenza col periodo dello studio e della formazione e col posizionamento nella mappa del proprio ambiente sociale e professionale. Attenzione, avvisa il canone americano: se si resta indietro, se si perdono colpi, se si tradisce la norma, se si dirazza, se si viene individuati come anelli deboli, si va incontro al fallimento. Lì capita s'inneschino rabbia e disperazione, si ecciti la solitudine, il senso di persecuzione, il desiderio di vendetta. E in quei paraggi si sistemano le biografie di buona parte dei titolari delle stragi "giovani" degli ultimi anni. Burnout, a volte visibili, ma più spesso latenti o nascosti. Ragazzi convinti di non avercela fatta - con una geografia di colpe e rivendicazioni da sanare. E' possibile che in queste psicologie il mondo cambi tinte e distorca le proprie forme.

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