mercoledì 16 novembre 2011

per un'epistemologia di fabio volo 2

qui la prima parte dell'epistemologia di fabio volo

Il tema “Fabio Volo” è declassante dal punto di vista animale, una punizione all’esistenza e, alla base, una questione di cattivo decoro mentale.

I suoi adepti radunano i suoi frammenti alla maniera di un presocratico e li rimbalzano fra internet, spiagge, annotazioni diaristiche per anime che puzzano di evidenziatore e brillantini.
Come un elisir di eterna adolescenza, Fabio Volo è la sostanza dell’estate fra la seconda e la terza media, quando i peli pubici di tutti volgono verso una stabile fioritura in maniera inversamente proporzionale all’instabilità emotiva e rincoglionita di chi ha perso tutte le qualità del bambino e, per una congiura della fretta di esistere, ha tutti i difetti dell’adulto.

In termini analitici, è inesatto, come spesso si dice, che Fabio Volo scriva ovvietà: le sue sono distorsioni dell’ovvietà, sono il perdere di senso dell’ovvietà che, in quanto tale, è talmente sensata da non aver bisogno di essere proliferata, ripetuta. Invece è proprio nella testamentarietà scialba e stucchevole del primo sentire di chiunque, che Fabio Volo assume in sé il compito di portavoce. Ecco che la solitudine infima e bastarda di chi non è solito farsi troppe domande – malattia peraltro socialmente contagiosa – trova in lui la perfetta medicina. Ecco il maniacale sillogismo: dato che tutti siamo uguali nel nostro più basilare approccio a qualsiasi cosa, perché lui ce lo dice, e lo dice sempre riferendosi in prima persona, tutti siamo lui. Ergo, lui è tutti. La gigantografia del vuoto.

“Non stai vivendo se non sai di vivere”
“Sono sempre stato una persona malinconica con la vocazione di essere una persona allegra”
“Lei era l’emozione della mia giornata”
“Ciò che dai è tuo per sempre”

Fabio Volo è l’eccezione che conferma la regola per la sacralità della libertà di pensiero, il codice segreto per fare esplodere Voltaire; Fabio Volo è il gradino letterario sotto il bacio Perugina e il gradino sdrucciolevole sopra il plauso di chi lo gradisce; con lui si sarebbero preferite le guerre alle olimpiadi e molto probabilmente Gandhi non avrebbe mai sentito il bisogno di essere se stesso.

“Ho pensato che se un’emozione la senti, conviene viverla”
“E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità”
“Vorrei che anche nella vita e non solo in strada ci fossero i segnali, per sapere quando proseguire, quando girare o quando dare la precedenza…”

I punti di sospensione, le inutili congiunzioni all’inizio delle frasi legano e slegano da ogni vincolo razionale il linguaggio, non riuscendo nemmeno a presentarsi per la bellezza del suono: la comunicazione diventa una forma di superstizione che la stupidità fa con se stessa; la sentenza “voliana” è il paradigma dell’insulso che ha bisogno di essere comunicato e condiviso per essere redento, senza mai riuscire appunto a redimersi: la totale assenza della qualità del gioco nonsense glielo impedisce, data la serietà con cui tutto ambisce in lui a costare intorno ai nove euro ancor prima di potersi permettere qualsiasi autoironia.

Tutto in lui ha l’estenuante puzza di scopate fatte grazie a un Siddharta di Herman Hesse fermo a pagina 24 sul comodino con un Buddha Bar in filodiffusione in un loft; Fabio Volo è il tizio che invita una strafica a una cena macrobiotica per fare colpo su di lei parlando di grigliate e di quanto fa schifo la cucina macrobiotica; Fabio Volo è il ragazzo degli anni ’80 che ha capito dal ragazzo anni ’70 che bisogna prendere tutto alla leggera fino al punto di diventare pesanti nel manifestarlo; Fabio Volo è il tizio al pub che beve come te e che ti dice che bevi tanto, o troppo, perché dato che dici meno stronzate, finisci prima di lui il bicchiere; Fabio Volo è il tizio che mentre fai un discorso profondo, tira fuori al massimo Milan Kundera; Fabio Volo è quel tipo di persona che ama il calcio con gli amici con rotti e birra ma che a tavola con donne ne parla solo male facendo allusioni ad infanzie passate a cogliere i fiori; Fabio Volo è l’italiano che all’estero si galvanizza quando sente qualcuno parlare italiano per strada e sgomita con la fidanzata per farglielo notare; Fabio Volo è il souvenir estivo del mare che a settembre è kitsch pur essendolo sempre stato; Fabio Volo non sarà mio figlio.

Fabio Volo è probabilmente l’unica persona felice del mondo e l’unico ad aver capito che non serve capire. Speriamo di no.


Simon F. Di Rupo

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