martedì 24 gennaio 2012

La vera vittima di Kindle? Billy. IKEA si aggiorna, l'editoria un po' meno


Che il libro stia vivendo una profonda trasformazione lo si evince dall'evoluzione degli scaffali e delle librerie, ivi intese come mobilio e non come esercizi commerciali. Se il medium è il messaggio, come ci ricorda Marshall McLuhan, gli effetti delle nuove tecnologie della comunicazione si manifestano in primo luogo a livello di interior design. Qualche settimana fa, IKEA ha annunciato una anuova versione di Billy, una delle più vendute librerie al mondo. La smaterializzazione del libro ha costretto l'azienda svedese a ripensare la celebre struttura di compensato, la cui profondità è stata incrementata per consentire agli utenti di stipare oggetti differenti da quei solidi di carta, inchiostro e colla altrimenti noti come libri. E se l'aggiunta di vetrate da un lato protegge dalla polvere, dall'altro trasforma la libreria in un grosso contenitore. Billy 2.0 sarà disponibile da ottobre.

La progressiva scomparsa della carta dagli scaffali domestici segna la fine del processo di smaterializzazione delle merci culturali cominciato oltre una decade fa. I primi a scomparire sono stati i compact disc, convertiti in file MP3 (introdotto nel 1993) e parcheggiati prima sugli hard-drive e quindi nella nuvola, dove lo streaming di Spotify, Zune, Mog, Rhapsody, Rdio e quindi Amazon e Google ha affiancato e, per molti utenti sostituito, la collezione privata, con buona pace di Simon Reynolds. Successivamente, servizi come Netflix, Amazon Instant Video, Vudu e Hulu hanno reso obsoleti DVD e Blu-ray, contribuendo alla progressiva liberazione degli spazi domestici dalla massa confusa e caotica di plastica. Infine Xbox Live, PlayStation Network e OnLive - senza dimenticare Zynga e soci -  hanno reso superfluo il possesso del videogame su disco: download, streaming e social network, a seconda dei casi, hanno rivoluzionato la nozione stessa di consumo. In tutti i casi, l'accesso è diventato più importante del possesso. [E il fenomeno si è esteso anche ai mezzi di trasporto oltre a quelli di comunicazione. Il modello del car-sharing di Zipcar, negli Stati Uniti, è esemplare, senza dimenticare il successo del bike sharing in Europa. Chiusa parentesi]. In tutti i casi, le merci culturali hanno mutato forma e funzione: da prodotto sono diventate un vero e proprio servizio, accessibile on-demand e just-in-time, rendendo arcaiche forme tradizionali di acquisto e formule di consumo predefinito a monte (cfr. la pay-tv). Non parliamo poi del concetto di palinsesto che, al pari del medium televisivo nel suo complesso, appartiene a un'epoca concettualmente, storicamente e ideologicamente conclusa.

Da qualche anno a questa parte, il libro sta attraversando un analogo processo. La svolta risale al 2007, con l'introduzione di Kindle negli Stati Uniti. Ma se la trasmutazione del compact disc e del dvd è stata rapida e indolore, quella del libro è tortuosa e sofferta (almeno per molti editori), per una serie di motivi di natura sociale, culturale e tecnologica. I sostenitori della carta e della celluloide a oltranza tendono a dimenticare che il libro, in quanto tale, è una tecnologia. Una tecnologia sorprendentemente longeva e robusta, flessibile e versatile, ma pur sempre una tecnologia e, come tale, suscettibile a fenomeni di obsolescenza, pianificata o meno. Amazon e Google hanno dato inizio a processi di radicale trasformazione del libro: Kindle e Google Books rappresentano progetti ambiziosi per quanto concerne la diffusione di idee e informazioni nelle società digitali. Progetti che sono stati accolti con timore e tremore, se non apertamente osteggiati per motivi validi (tra i tanti: la poderosa concentrazione di risorse intellettuali in poche mani, in questo caso, quelle di una manciata di corporation della West Coast) e meno validi (la difesa degli interessi economici dei publisher, la salvaguardia del diritto di copyright per ragioni puramente commerciali etc.)

Ma al di là delle irrazionali ansie tecnofobiche e delle legittime preoccupazioni (essenzialmente economiche) di editori e autori, l'idea di poter accedere a una libreria planetaria globale rappresenta il coronamento dei sogni e delle fantasie utopiche dei pionieri e dei precursori della rete, da Ted Nelson allo stesso Marshall McLuhan, tra i primi a profetizzare la trasformazione del libro da merce, oggetto culturale, a servizio. Non a caso, Amazon sta valutando da tempo la possibilità di offrire ai suoi abbonati Prime l'accesso incondizionato ai libri attraverso Kindle con la formula del buffet (all-you-can-eat) rispetto a quella dell'acquisto à la carte. Con $79 dollari l'anno si potrebbe accedere a un catalogo che farebbe impallidire quello della leggendaria biblioteca di Alessandria. Si tratta, de facto, di applicare il modello di Netflix all'editoria, eventualità che una parte dell'industria considera "eretico" e "blasfemo". Faccio ricorso a una terminologia religiosa perché il dibattito sul futuro del libro è spesso caratterizzato dal fanatismo tipico della retorica integralista, una retorica che rinuncia a priori a interrogarsi sulla legittimità di modelli, formule e principi. In queta ottica, il libro - inteso come oggetto cartaceo - viene idolatrato, venerato come un feticcio, mentre l'ebook viene dipinto come il male assoluto, la fine della cultura, l'apocalisse della lettura.

Nel frattempo, Amazon ha recentemente stipulato un accordo con oltre diecimila biblioteche sparse per il territorio nordamericano per consentire agli utenti Kindle di prendere a prestito libri in formato digitale, previo possesso di una tessera della biblioteca e di un account Kindle, manovra che le librerie hanno accolto con scarso entusiasmo (sorpresa!). Dopo il tracollo del gigante Borders e il declino inarrestabile di megastore e multistore vari, la Vecchia Guardia fa barricate per resistere alla tsunami dell'ebook. I numeri parlano da soli: nel 2011, negli Stati Uniti le vendite di ebook hanno superato quelle degli hardcover. E da qualche tempo, all'acquisto di carta su Amazon si e' sostituito il download. L'azienda di Bezos controlla il 60-70% delle vendite di ebook negli Stati Uniti (e fino al 90% in Gran Bretagna). Detto altrimenti, stiamo assistendo a un vero e proprio cambio di paradigma. La smaterializzazione del libro ha implicazioni profonde non solo sull'aspetto dei nostri appartamenti, ma anche sul design e, soprattutto, sulla funzione delle librerie. Negli Stati Uniti, i bookstore stanno progressivamente scomparendo dal tessuto cittadino - fenomeno che non mi preoccupa particolarmente dato che alle librerie ho sempre preferito le biblioteche, che, ironicamente, godono di buona salute. Se la passano meglio le librerie indipendenti e specializzate, che stanno convertendo i loro spazi per eventi speciali. Qualche giorno fa ho assistito alla presentazione di Reamde, il nuovo straordinario romanzo di Neal Stephenson. Ho sganciato la bellezza di $25 dollari per assistere all'evento nella mia libreria preferita, The Booksmith. Tutto esaurito a una settimana dallo show, bagarini all'ingresso e biglietti su eBay... Ma Stephenson non ha deluso. Stephenson non delude mai. Stephenson è una rockstar. Il libro lo posso acquistare da qualunque parte del mondo in qualunque momento. Schiaccio un pulsante e, bingo!, le 1044 pagine si materializzano sul mio schermo. Ma l'apparizione dello sciamano Stephenson è un evento. Che richiede, gosh, la presenza fisica.

Ne consegue che nel nuovo scenario del libro polverizzato, la libreria si trasforma in un club, in una sala conferenze, in uno spazio multifunzione da usare per occasioni speciali. La vendita dei libri viene dopo. Anzi, ipotizzo l'avvento di librerie senza libri. Il modello è quello dell'Apple Store, che offre seminari, workshop, presentazioni - servizi importanti tanto quanto la vendita dei prodotti in quanti tali (quelli si possono sempre acquistare online). Così come le band musicali oggi si guadagnano la pagnotta prevalentemente attraverso tour e concerti - come avveniva prima dell'avvento dei supporti di registrazione e dei rispettivi "lettori" (dal grammofono al cd) - è lecito prevedere che le librerie svilupperanno modelli di business alternativi per contenere la progressiva diminuzione delle vendite del cartaceo. Le principali catene si daranno battaglia per assicurarsi le superstar della penna, pardon, del word processor, fenomeno facilitato in Italia dal fatto che alcuni grandi editori possiedono anche catene e punti vendita sul territorio - in questi casi si parla di "integrazione verticale" o di conflitto di interessi, a seconda delle scuole di pensiero.

In ogni caso, è cominciata una fase molto delicata per l'editoria. Chi auspicava scelte illuminate - specie dopo gli errori lapalissiani commessi dai CEO delle etichette musicali e dell'home video che hanno a lungo osteggiato la distribuzione in formato digitale delle proprie merci favorendo indirettamente fenomeni come Napster e The Pirate Bay - è rimasto deluso. I danni inferti dai "pirati" sono la prevedbile conseguenza dell'atteggiamento miope e reazionario di un'industria incapace di aggiornarsi e ripensare le proprie formule e modelli in uno scenario inedito. Come ci ricorda il Matt Mason di Punk Capitalismo. Come e perché la pirateria crea innovazione (Feltrinelli, 2009), nella maggior parte dei casi, quelli che chiamiamo atti di pirateria sono piuttosto la risposta dell'utenza alle deficienze e alle lacune logistiche del "mercato ufficiale". Tradotto in soldoni: considerando che i margini di guadagno sugli ebook per gli editori sono nettamente più alti, era lecito attendersi prezzi di vendita inferiori a quelli del libro di carta. Mantenere gli stessi prezzi o aumentarli significa promuovere una distribuzione sotterranea. La diffusione di servizi di scannerizzazione di libri a bassissimo costo potrebbe infatti dare vita a un mercato editoriale parallelo e alternativo, un mercato fondato sulla logica del dono e dello scambio (cfr. Mauss), invece della transazione economica. Un mercato chiaramente illegale, beninteso, ma non per questo meno florido.

Eppure la smaterializzazione del libro elimina problemi che affliggono da sempre l'editoria: dai resi alla necessità della ristampa. L'ebook non soffre della patologia tipica dell'era analogica, i.e., la scarsità. I bit occupano poco spazio, sono facilmente riproducibili, non si deteriorano, si trasportano facilmente, si prestano a manipolazioni, non ingialliscono, non si sbiadiscono, non accumulano polvere. I bit sono fluidi, gli atomi sono statici. Con l'introduzione di Kindle, Amazon ha suggerito un prezzo di vendita degli ebook di $9.99. Svariati editori, tuttavia, si sono ribellati imponendo i propri prezzi. Ora, uniformare il prezzo di un ebook a quello del libro brossurato (in media, $25, che su Amazon si traducono in $16 grazie agli sconti praticati) è assai rischioso, perché rischia di alienare quella parte dell'utenza sufficientemente intelligente per ravvisare, in questa manovra, l'evidente speculazione. Faccio un esempio: che
Utopic Dreams and Apocalyptic Fantasies: Critical Approaches to Researching Video Game Play costi $59 in formato cartaceo e $54 in formato elettronico è demenziale.

Il problema è culturale, prima ancora che economico: per gli editori, un prezzo di vendita al pubblico di $9.99 riduce il "valore" della merce-libro, a prescindere dal formato. "Svaluta il capitale intellettuale dell'Autore". "Impoverisce il brand del publisher". Gli editori non vogliono saperne di accettare le condizioni di Amazon. E non sono solo gli editori a lanciare anatemi. Il 12 settembre 2011, la Authors Guild - il sindacato degli scrittori- ha fatto causa ad alcune delle più importanti università statunitensi - nella fattispecie, University of Michigan, the University of California, the University of Wisconsin, Indiana University e Cornell University - per aver digitalizzato i loro enormi archivi cartacei senza ottenere il consenso. In realta', un po' tutte le istituzioni accademiche americane hanno avviato processi sistematici di scannerizzazione in piena autonomia - Stanford in primis, le cui bilioteche ospitano sempre meno libri. In breve, si sta combattendo una battaglia senza esclusione di colpi. Una battaglia in cui interessi economici e culturali si fondono e si confondono. A farne le spese sono i "clienti", gli "utenti", i "lettori". L'industria musicale ha perso il braccio di ferro con Apple, accettando le condizioni dell'azienda di Cupertino per tamponare - quando il paziente era ormai in condizioni disperate - l'emorragia del peer-to-peer. La recente svolta - Amazon diventa editore a tutti gli effetti - potrebbe avere effetti destabilizzanti sul mercato editoriale. Non va poi dimenticato che Kindle è prima di tutto una piattaforma, non un semplice strumento tecnologico: grazie a Kindle Direct-Publishing, Amazon detiene il totale monopolio nel settore delle pubblicazioni fai-da-te.

Nella maggior parte dei casi, l'industria culturale ha reagito alle sfide del digitale con pachidermica lentezza. Soprattutto, si è dimostrata incapace di comprendere che nel momento in cui rende la vita eccessivamente complicata a un utente che desidera acquistare legalmente una merce culturale, si rischia di perderlo per sempre. L'avvento dell'ebook non segna la fine della cultura, nè, tanto meno, la morte del libro di carta. Rappresenta, semmai, l'inizio di una nuova era per la scrittura e la lettura. Ma anche per l'architettura, l'interior design, l'interaction design e, soprattutto, per la material culture, disciplina che studia il rapporto tra gli artefatti e le relazioni sociali che essi rendono possibili. Una storia tutta da scrivere.

Matteo Bittanti

http://blog.wired.it/misterbit/2011/09/28/la-vera-vittima-di-kindle-billy-ikea-si-aggiorna-leditoria-un-po-meno.html?cs=awaiting#cs

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