martedì 2 novembre 2010

tahar ben jelloun legge la carta e il territorio

questa recensione di tahar ben jelloun sembra scritta da houellebecq come allegato al libro, per delineare un cretino colossale

Non so se Teresa Cremisi, direttore delle Edizioni Flammarion in Francia, ami la letteratura; quel che è certo è che ha il senso del marketing. Sta curando il lancio dell' ultimo libro di Michel Houellebecq con maestria. La carte et le territoire è il decimo romanzo di questo autore che fa il personaggio misterioso e gestisce la sua carriera con brio, assicurandosi una copertura mediatica che lo proietta quasi sistematicamente in cima alle c l a s s i f i c h e d e l l e vendite. Inoltre non perde occasione per farci sapere di non essere benvoluto e di avere nemici dappertutto, specialmente nell' ambiente letterario parigino. In qualità di membro dell' Académie Goncourt, ho avuto il privilegio di ricevere per corriere espresso una copia del libro. E l' ho letto, matita alla mano. 427 pagine lette e commentate come ai tempi in cui insegnavo e correggevo i compiti degli studenti. Qui non ho corretto nulla, ma ho annotato alcune farneticazioni che mi hanno disturbato e infastidito. La prima è l' idea di inserire se stesso tra i personaggi del proprio romanzo. Michel Houellebecq parla di sé autoproclamandosi un autore importante, tradotto in tutto il mondo, poco amato dalla critica e soprattutto incompreso dal suo tempo. E vuol farsi testimone del suo tempo. Per questo convoca altri personaggi, alcuni inventati, come il pittore Jed Martin, e altri esistenti, che interpretano se stessi nel testo, come lo scrittore Frédéric Beigbeder, Teresa Cremisi e Philippe Sollers (che fa giusto una comparsata per il ristorante La Closerie des Lilas). Arruola come personaggi anche dei giornalisti della televisione francese come Jean-Pierre Pernaut, che fuori dalla Francia è totalmente sconosciuto. La storia narrata nel romanzo poteva essere convenzionale, ma Houellebecq non fa le cose come gli altri. Ha bisogno di parlar bene di se stesso e lo fa mettendo i complimenti in bocca agli altri - d' altronde ci si serve meglio da soli. Jed Martin è un pittore che si dedica alla fotografia. Conduce una vita solitaria, piuttosto modesta, si interessa alle cartine stradali della Michelin, le incorpora nel suo lavoro creativo, ha una storia con Olga, una bella russa che cura la sua carriera artistica. Per il suo catalogo, Franz, il gallerista, gli suggerisce di chiedere qualche pagina al grande scrittore Michel Houellebecq. Accetterà? Perché è uno scrittore di tale livello che non avrà tempo da perdere con un artista sconosciuto. Eppure Houellebecq accetta e Jed va a fargli visita in Irlanda. Il narratore ci fa capire che lo scrittore è l' alter ego dell' artista. Vivono in condizioni simili, Jed ha rapporti complicati con il padre architetto, Houellebecq ne ha avuti di pessimi con la madre. Il libro si legge facilmente, ma non ne ho individuato lo scopo. Di che si tratta? Di comunicarci la sua visione del mondo. Sarà, ma non è poi così interessante. Personalmente m' importa ben poco di quello che pensa Houellebecq degli imperi industriali, dell' architettura moderna o della pittura, tanto più che fa un discorso odioso e delirante su Picasso. Per farvene un' idea, leggete qua (pagina 176): «Ad ogni modo Picasso fa schifo, dipinge un mondo orrendamente deformato perché ha un' anima orrenda e questo è tutto ciò che si può dire di Picasso, non c' è alcun motivo di continuare a incentivare l' esposizione delle sue tele, non ha niente da dare, non c' è nessuna luce in lui, nessuna innovazione nell' organizzazione dei colori o delle forme, insomma non c' è assolutamente niente in Picasso che meriti di essere segnalato, se non una stupidità estrema e uno scarabocchiare priapico che può sedurre qualche sessantenne con un ricco conto in banca». Le Corbusier - il padre di Jed è architetto e si suiciderà senza essere riuscito a realizzare i suoi sogni - viene attaccato nello stesso modo (pagina 220): «Le Corbusier ci sembra uno spirito totalitario e brutale, animato da un intenso gusto per la bruttezza». E ancora, a pagina 223: «Costruiva instancabilmente spazi concentrazionari, divisi in celle identiche, accettabili giusto <...& per un carcere modello». Ma non tutti gli artisti sono animati dalla bruttezza. Houellebecq salva Charles Fourier e Tocqueville. Parla anche bene del suo amico Frédéric Beigbeder, il cui ultimo romanzo Un roman français, che l' anno scorso ha ottenuto il premio Renaudot, è appena stato pubblicato in edizione tascabile con una prefazione di... Michel Houellebecq! Le cose si mettono male quando il "grande scrittore" viene assassinato. Il cadavere, a pezzi, viene ritrovato nella sua casa nel Loiret, in Francia. Le indagini cominciano contemporaneamente al suo funerale nel cimitero di Montparnasse, al quale assiste anche Teresa Cremisi, che descrive così: «Con il suo aspetto da orientale, l' editrice avrebbe potuto essere una di quelle prefiche ancora impiegate recentemente in certi funerali del bacino mediterraneo». Sono presenti anche il suo amico Beigbeder e un centinaio di affezionati lettori. Delle reazioni suscitate in Francia dalla sua morte, Houellebecq scrive: «Tutti si dichiararono "sconvolti" o almeno "profondamente rattristati" e onorano la memoria "di un artista immenso, che sarà sempre presente nei nostri ricordi..."». L' inchiesta permettea Houellebecq, lo scrittore, di farci una lezione di sociologia della polizia. Impariamo qualcosa. I poliziotti sono esseri umani con qualità e debolezze. Stando a Houellebecq, dispongono di macchinette del caffè nonché di whisky "Legavulin", un whisky rarissimo che costa almeno cinquanta euro a bottiglia. Ma questo "reportage" sulla polizia serve all' autore come pretesto per comunicarci il suo disgusto per l' umanità e soprattutto per i bambini. Il libro è disseminato di marchi, sembra la maglietta di un atleta sponsorizzato. Tesse gli elogi delle automobili Audi, del supermercato Casino (di cui fornisce l' indirizzo), delle Mercedes Classe A e Classe C, delle Lexus e così via. Parla male del quotidiano Le Monde, al quale preferisce Art Press. Veniamo gratificati dell' informazione che «in Tailandia le prestazioni dei bordelli sono eccellenti o molto buone»; poco oltre «l' autore delle Particelle elementari» (così si definisce il narratore) confessa che le puttane tailandesi «succhiano senza preservativo, che è una bella cosa...». Che cosa ci offre di nuovo, allora, questo romanzo? Qualche chiacchiera sulla condizione umana, una scrittura affettata che pretende di essere pulita, tecnica, una finzione che convoca personaggi reali e li mescola con altri inventati, un po' di pubblicità per qualche prodotto di consumo e infine l' ultimo messaggio di uno scrittore che crede di essere fuori dal mucchio, al di sopra delle regole, eternamente maledetto e incompreso, e soprattutto uno che non ama la vita né le vie della felicità. Detto questo, ammetto che il capitolo sull' eutanasia del padre in una clinica di Zurigo è notevole. Peccato che lo scrittore Michel Houellebecq abbia fatto assassinare il personaggio Michel Houellebecq da un medico di una perversione del tutto gratuita. Si esce da questa lettura chiedendosi se si ha voglia di raccomandarla o di sconsigliarla. Devo dire che per parte mia non lo avrei letto se non fossi stato obbligato dalla mia appartenenza all' Académie Goncourt, e leggere quante più novità editoriali possiamo per identificare il migliore entro il prossimo 8 novembre fa parte dei nostri compiti.
Tahar Ben Jelloun
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/19/il-caso-houellebecq.html

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