Cos’è il romanzo oggi? Quale genere narrativo sa raccontare meglio la realtà? Quali sono o saranno le forme espressive dominanti del XXI secolo? Dov’è il limite tra citazione e plagio? Chi stabilisce se un autore, appropriandosi di una parte dell’opera altrui, sta costruendo un nuovo orizzonte di senso o sta solo copiando?
Queste sono alcune delle domande che pone e si pone David Shields: autore di opere narrative e saggistiche di successo, tra cui “Black Planet” (finalista al National Book Critics Circle Award), tradotte in dodici lingue, e di racconti e saggi brevi su varie testate (come, ad esempio, «New York Times Magazine», «Harper’s Magazine», «The Village Voice», «McSweeney’s» e «The Believer»).
Shields, per la verità, è andato oltre. Non si è limitato a porre (più o meno implicitamente) domande, ma ha pubblicato un libro (in Italia è stato appena pubblicato dalla Fazi) intitolato “Fame di realtà. Un manifesto”, dove – tra le altre cose – contesta l’utilità del genere romanzo così come è classicamente inteso. Per Shield (trascrivo dalla scheda del libro) “il romanzo del Terzo Millennio deve nascere dalla rifusione di vecchi materiali letterari, mescolati fino a perdere le tracce della fonte originaria e a fondersi in una forma ibrida tra saggistica e narrativa”. D’altra parte il testo che propone in “Fame di realtà” è composto da 618 citazioni suddivise in capitoli e riportate in una sequenza ordinata e sistematizzata secondo certi criteri che lui stesso ha prescelto, ma… senza indicare l’autore e la fonte (alla fine del libro l’editore, per evitare possibili ritorsioni legali riguardanti la violazione del diritto d’autore, ha imposto l’inserimento di una scheda con l’indicazione degli autori delle citazioni utilizzate).
Ecco cosa scrive Shield (qui nella foto) alla fine del volume, come appendice.
“Questo libro contiene centinaia di citazioni delle quali nel corpo del testo non viene menzionata la fonte. Sto cercando di rivendicare una libertà che gli scrittori da Montaigne a Burroughs davano per scontata e che noi abbiamo perso. La vostra incertezza sugli autori delle parole che avete appena letto non è un difetto ma una virtù.
Uno dei temi centrali di “Fame di realtà” è il furto e il plagio e cosa queste parole vogliano dire. Non sarei riuscito ad affrontare l’argomento senza lasciarmi invischiare. Sarebbe come scrivere un libro sulla menzogna e non poter mentire. Oppure scrivere un libro su come abbattere il capitalismo ma sentirsi rispondere che non verrà pubblicato perché potrebbe danneggiare l’industria editoriale.
Tuttavia l’ufficio legale di Random House ha deciso che fosse meglio allegare un elenco completo delle citazioni (…). Se volete ripristinare la forma originaria in cui il libro andava letto, vi basta prendere un paio di forbici o una lametta o un taglierino e staccare le pagine che vanno dalla 248 alla 262 tagliando lungo la linea tratteggiata.
Di chi sono le parole? Di chi è la musica e tutto il resto della nostra cultura? È nostra, di tutti, anche se per ora non tutti lo sanno. Non si può imporre un diritto d’autore alla realtà.”
Questo libro ha scatenato un ricco e articolato dibattito negli States e in altri paesi, anche perché tra i sostenitori del volume – e delle tesi di Shields – figura il Premio Nobel per la Letteratura 2003 J. M. Coetzee, il quale ha dichiarato quanto segue: “Fame di realtà è un manifesto per la nuova generazione di scrittori e artisti, una pietra miliare per questo secolo, un assalto frontale a tutte le convenzioni, particolarmente a quelle che definiscono il romanzo perfetto. David Shields ci conduce in un viaggio intellettuale affascinante ed esilarante”.
Un’opinione di peso, quella di Coetzee… a cui hanno fatto seguito quelle di Jonathan Safran Foer [«Fame di realtà non è soltanto un libro che fa riflettere, ma è anche uno dei più belli che abbia letto da molto tempo a questa parte»] e Jonathan Lethem [«Ho appena finito di leggere Fame di realtà e mi ha illuminato, intossicato, entusiasmato, sopraffatto. È un vetro attraverso cui guardare il mondo (come lo mostrano letteratura, musica, video), e allo stesso tempo uno specchio in cui vederci riflessi, là in mezzo. Un libro urgente, oltraggioso, e anche un'opera che si compone leggendola»].
Mentre Zadie Smith ha affermato: è «intrigante da leggere, anche se disapprovo la maggior parte di quello che dice».
Non mancano i pareri favorevoli di quotidiani di grido come il New York Times («Il libro di Shields stabilisce i canoni dominanti dell’arte degli anni e dei decenni a venire». The New York Times Book Review) e The Guardian («Intelligente, stimolante e aforistico. Un manifesto provocatorio e divertente»).
Il dibattito si sta diffondendo un po’ ovunque tra gli appassionati di letteratura e ha raggiunto anche il nostro paese. Di questo libro ne hanno già parlato Matteo Sacchi (su Il Giornale), Alfonso Berardinelli (su Il Corriere della Sera), Mariarosa Mancuso (su Il Foglio), Stefano Salis – che ha anche firmato la prefazione del libro – e Nicola Lagioia (sulle pagine culturali de Il Sole24Ore).
Di seguito potrete leggere la prefazione di Salis (ringrazio sia Stefano, sia la Fazi per avermi autorizzato a pubblicarla). Nei prossimi giorni metterò a vostra disposizione altri contributi.
I giudizi di Sacchi, Mancuso e Berardinelli non sono molto favorevoli all’operazione.
Alfonso Berardinelli nel suo articolo sul Corriere scrive – con severità – “Se c’è qualcuno che non si perdona, è proprio chi dice qualcosa che abbiamo pensato e scritto per anni, ma lo dice male, noiosamente e nel tono sbagliato. Mi capita questo leggendo il libro di David Shields “Fame di realtà. Un manifesto” (Fazi) nel quale si annuncia dagli Stati Uniti, patria, fabbrica e paradiso del bestseller programmato, che in verità il romanzo è un genere fuorviante, abusato, quasi sempre un po’ fasullo; e che invece l’ aforisma, il saggio, le scritture fuori genere, gli zibaldoni di pensieri e i diari sono molto meglio: sono più onesti, più appassionanti, dicono cose più vere di quante ne dice un romanzo normale e «ben fatto». Condivido molto di ciò che Shields dice nel suo libro. Ma non riesco a condividere né l’entusiasmo del prefatore, Stefano Salis, né tantomeno le solenni affermazioni di J. M. Coetzee, secondo il quale Fame di realtà sarebbe «un manifesto per la nuova generazione di scrittori e artisti, una pietra miliare per questo secolo…».
Mi preme, poi, evidenziare questo passaggio del pensiero di Berardinelli (spiegherò il perché): “L’aforisma 538 suona così: «Mi ritrovo a dire, succintamente e prosaicamente, che è molto più importante essere se stessi che chiunque altro». Dalle note in fondo al libro si viene a sapere che una tale stupidaggine l’ha scritta Virginia Woolf nel suo famoso saggio “Una stanza tutta per sé”. Che cosa è avvenuto? La frase, che nel suo contesto era al posto giusto, è stata trasformata da Shields in una comica sciocchezza, che starebbe benissimo e sarebbe una cosa seria nel diario di un adolescente, ma nel manifesto estetico di un cinquantenne colto e ambizioso fa cascare le braccia”.
Massimo MaugeriFame di realtà, David Shields
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