È uno Chardonnay se è di Planeta
È un grande bianco se è il Meursault di Coche Dury
È un rosso “internazionale” se è il Barolo di Rivetti
È un rosso di culto se è il Barolo di Cappellano (meglio se da vigne di piede franco)
È un vino “prevedibile” se è un rosso umbro (o laziale, o pugliese, o siculo, o francese, o danese) di Riccardo Cotarella
È un rosso di culto se è vinificato da Giulio Gambelli
Se è il Redigaffi, ha un prezzo sproporzionato e gonfiato dal gusto americanizzante.
Se è il Brunello di Soldera, ha un prezzo giusto, che ripaga le cure in vigna e in cantina.
Se è un bianco qualsiasi, è un vino squilibrato e impreciso nei tratti organolettici.
Se è un bianco di Gravner, è un vino che segue la natura.
Se è Chardonnay, è un vino banale e internazionale.
Se è Timorasso, è un vino che rappresenta la rivincita del territorio.
Se in Valpolicella si fa il ripasso, è una pratica ruffiana che strizza l’occhio alla moda dei vini iperconcentrati.
Se in Langa si fa passare Dolcetto o Freisa sulle vinacce del nebbiolo, è una pratica di grande tradizione.
Se un buon vino è fatto col concentratore, è pur sempre un vino taroccato.
Se un vino discutibile è fatto nelle anfore, è pur sempre un “vino vero”.
Se si fa un Merlot nel Chianti, è un cedimento al gusto internazionale.
Se si fa un Sangiovese a Bolgheri, è il tentativo di aprire una breccia nella roccaforte delle uve straniere.
Se è il Sassicaia, è un vino sopravvalutato.
Se è il Magma, è un vino che meriterebbe più notorietà.
Gentili & Rizzari
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