In un pamphlet di grande efficacia – La coscienza di un liberal, Laterza 2009 – il Nobel per l'economia Paul Krugman sosteneva che la grande crescita economica del dopoguerra negli Stati Uniti passò attraverso una riduzione della disuguaglianza dei redditi; e di questa forbice che si restringeva si avvantaggiò soprattutto il ceto medio. Sviluppo ed espansione della democrazia (ricordiamo il movimento per i diritti civili degli anni 60 e la Great Society di Lyndon Johnson) sono andati di pari passo per i "trenta gloriosi". Questo binomio virtuoso non vale solo per gli Usa. Più in generale, è al ceto medio che si fa appello per introdurre o rafforzare i sistemi democratici. Di tutti i fattori che determinano l'instaurazione e il consolidamento della democrazia, l'esistenza di una classe media non esigua, corollario di una contenuta disparità nella distribuzione del reddito, è il più potente.
Quando questa classe si riduce, la democrazia scricchiola. Accade in tutto l'Occidente. Da almeno due decenni il ceto medio è in un processo di ridimensionamento sia in termini numerici sia in termini di rilevanza politico-sociale. La diminutio si deve, anche, a una "scomposizione", da parte dei politici e degli opinion leader, delle sue due classiche componenti: quella salariata impiegatizia e quella autonoma attiva nel commercio, nelle professioni e nella produzione. I dipendenti a reddito fisso venivano penalizzati economicamente e simbolicamente delegittimando la loro attività in quanto "protetta" e, sotto sotto, parassitaria; la componente autonoma veniva esaltata come uno dei motori dello sviluppo, affiancandola all'interlocutore privilegiato delle élite politiche e del sistema mediatico, la borghesia imprenditoriale. Questa decostruzione e riconfigurazione simbolica ha avuto la sua massima espressione in Italia: l'esaltazione dell'homo faber, sub-specie di piccolo imprenditore del Nord-Est e incarnato dalla multiforme figura di Silvio Berlusconi, non ha pari nel resto d'Europa. Del resto, come ricordava Carlo Carboni sul Sole 24 Ore del 3 agosto, il nostro Paese ha 8 milioni di partite Iva, un numero decisamente più alto di Francia, Germania e Gran Bretagna. E corrispettivamente, la quota dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, in Italia è di gran lunga inferiore rispetto ai grandi Paesi europei. Inoltre, il ceto medio autonomo ha trovato una sua rappresentazione politica in Forza Italia e nella Lega; nessuno si è assunto una consapevole ed esplicita rappresentanza di quello salariato, benché i suoi consensi vadano prevalentemente a sinistra. Anzi, come dimostrano le più recenti ricerche di Marco Pisati, Voto di classe. Posizione sociale e preferenze politiche in Italia, e di Paolo Bellucci e Paolo Segatti, 1968-2008 dall'appartenenza alla scelta (entrambi pubblicati nel 2010 da Il Mulino), sono proprio le due facce del ceto medio a esprimere la maggior polarizzazione del comportamento elettorale: esprimono preferenze politiche più nette rispetto a ogni altro segmento sociale, con i colletti bianchi orientati a sinistra e i lavoratori autonomi (più la borghesia imprenditoriale) orientati a destra. In altri termini, è dentro il ceto medio che passa la frattura politica. Questa divaricazione non poteva che indebolirne la voce. Quando emergono difficoltà economiche che investono anche il ceto medio, la polarizzazione politica al suo interno impedisce la creazione di un fronte comune per difenderne le posizioni. Il suo schiacciamento in termini economici e di status – specie per il pubblico impiego, vituperato senza tregua in questi anni – può innescare tensioni a livello sistemico e indebolire ulteriormente la già scarsa fiducia nel sistema democratico.
Finora il consenso a posizioni populiste e potenzialmente antisistemiche allignava nelle componenti più "periferiche" della società italiana, quelle con minor grado d'istruzione, più anziane e ai margini delle attività produttive. Ora, invece, la seduzione populista ha già conquistato settori del ceto medio "autonomo", spaventati dal processo di globalizzazione. Il divampare della crisi, coniugata con un deficit di rappresentanza, può sospingere porzioni sempre più ampie di questa classe nel suo insieme verso atteggiamenti protestatari, indirizzati verso l'élite politica, l'establishment, e i "poteri forti" indistintamente. È proprio per la tenuta del sistema che vanno ascoltate e comprese le esigenze del ceto medio, oltre che, ovviamente, dei colletti blu e degli strati socio-economicamente più svantaggiati. Sorgono in fretta apprendisti stregoni pronti a sollecitare le ansie e le frustrazioni di fasce sociali deboli o indebolite.
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-08-05/democrazia-scricchiola-senza-ceti-063832.shtml?uuid=AanUlrtD
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