Nel Trattato di sociologia generale, apparso nel 1916, Pareto mette sotto analisi l'irrazionalità del comportamento umano, trascurandone la razionalità, già trattata a fondo nei testi di economia da lui scritti. Tuttavia, contrariamente a quanto fa Veblen negli Stati Uniti, egli non opera il distacco dalla teoria economica ma ne integra le astrazioni per arrivare, attraverso lo strumento sociologico e psicologico, alla spiegazione di quelle manifestazioni del comportamento umano che l'analisi economica non è riuscita a penetrare. Pareto, insomma, vuole separare in modo concettuale le componenti razionali dell'azione dalle componenti non razionali.
Un politicante è spinto a propugnare la teoria della 'solidarietà' dal desiderio di conseguire quattrini, onori, poteri. (...) É manifesto che se il politicante dicesse 'Credete a questa teoria perché ciò mi torna conto' farebbe ridere e non persuaderebbe alcuno; egli deve dunque prendere le mosse da certi principi che possono essere accolti da chi l'ascolta. (...) Spesso chi vuol persuadere altrui principia col persuadere sé medesimo; e, anche se è mosso principalmente dal proprio tornaconto, finisce col credere di essere mosso dal desiderio del bene altrui.
Nel distinguere i fatti umani, Pareto individua un nucleo costante costituito da manifestazioni di istinti, sentimenti, interessi che egli definisce residuo, e un nucleo variabile, costituito da tentativi di giustificare razionalmente l'irrazionale: la derivazione. Su questa distinzione Pareto costruisce l'edificio della sua sociologia e arriva alla formulazione della teoria dell'equilibrio sociale. A somiglianza di quella dell'equilibrio economico, questa teoria appoggia sui fattori individuali prima accennati e sui fenomeni d'insieme, di gruppo, ai quali i fattori individuali danno vita. Quando Pareto passa al settore politico, conclude che la società ha una struttura elitaria, che le masse sono incapaci di governarsi, che le élites sono destinate ad ascendere e a decadere (teoria della circolazione delle élites).
I popoli, sostiene Pareto sulla Rivista italiana di sociologia del luglio 1900, a eccezione di brevi periodi di tempo, sono sempre guidati da un'aristocrazia, intendendo questo termine come indicativo dei più forti, energici, capaci sia nel positivo sia nel negativo. Ma per legge fisiologica le aristocrazie non reggono e perciò la storia umana é storia di una serie continua di avvicendamenti di questa aristocrazia.
Mentre una gente sale, l'altra cala. Tale è il fenomeno reale, benché spesso a noi appaia sotto altra forma. La nuova aristocrazia, che vuole cacciare l'antica o anche solo esser partecipe del potere e degli onori di questa, non esprime schiettamente tale intendimento, ma si fa capo a tutti gli oppressi, dice di voler procacciare non il bene proprio ma quello dei più: e muove all'assalto non già in nome dei diritti di una ristretta classe, bensì in quello dei diritti di quasi tutti i cittadini. S'intende che, quando ha vinto, ricaccia sotto il giogo gli alleati o al massimo fa loro qualche concessione di forma. Tale è la storia delle contese dell'aristocrazia della plebe, e dei patres a Roma; tale, e fu ben notata dai socialisti moderni, é la storia della vittoria della borghesia sull'aristocrazia di origine feudale.
Un politicante è spinto a propugnare la teoria della 'solidarietà' dal desiderio di conseguire quattrini, onori, poteri. (...) É manifesto che se il politicante dicesse 'Credete a questa teoria perché ciò mi torna conto' farebbe ridere e non persuaderebbe alcuno; egli deve dunque prendere le mosse da certi principi che possono essere accolti da chi l'ascolta. (...) Spesso chi vuol persuadere altrui principia col persuadere sé medesimo; e, anche se è mosso principalmente dal proprio tornaconto, finisce col credere di essere mosso dal desiderio del bene altrui.
Nel distinguere i fatti umani, Pareto individua un nucleo costante costituito da manifestazioni di istinti, sentimenti, interessi che egli definisce residuo, e un nucleo variabile, costituito da tentativi di giustificare razionalmente l'irrazionale: la derivazione. Su questa distinzione Pareto costruisce l'edificio della sua sociologia e arriva alla formulazione della teoria dell'equilibrio sociale. A somiglianza di quella dell'equilibrio economico, questa teoria appoggia sui fattori individuali prima accennati e sui fenomeni d'insieme, di gruppo, ai quali i fattori individuali danno vita. Quando Pareto passa al settore politico, conclude che la società ha una struttura elitaria, che le masse sono incapaci di governarsi, che le élites sono destinate ad ascendere e a decadere (teoria della circolazione delle élites).
I popoli, sostiene Pareto sulla Rivista italiana di sociologia del luglio 1900, a eccezione di brevi periodi di tempo, sono sempre guidati da un'aristocrazia, intendendo questo termine come indicativo dei più forti, energici, capaci sia nel positivo sia nel negativo. Ma per legge fisiologica le aristocrazie non reggono e perciò la storia umana é storia di una serie continua di avvicendamenti di questa aristocrazia.
Mentre una gente sale, l'altra cala. Tale è il fenomeno reale, benché spesso a noi appaia sotto altra forma. La nuova aristocrazia, che vuole cacciare l'antica o anche solo esser partecipe del potere e degli onori di questa, non esprime schiettamente tale intendimento, ma si fa capo a tutti gli oppressi, dice di voler procacciare non il bene proprio ma quello dei più: e muove all'assalto non già in nome dei diritti di una ristretta classe, bensì in quello dei diritti di quasi tutti i cittadini. S'intende che, quando ha vinto, ricaccia sotto il giogo gli alleati o al massimo fa loro qualche concessione di forma. Tale è la storia delle contese dell'aristocrazia della plebe, e dei patres a Roma; tale, e fu ben notata dai socialisti moderni, é la storia della vittoria della borghesia sull'aristocrazia di origine feudale.
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