martedì 6 marzo 2012

Diana Vreeland


di Annamaria Sbisà per "Vanity Fair"
Diana VreelandDIANA VREELAND
Ultima apparizione a Venezia, nel documentario The Eye Has To Travel presentato da Tod's al Festival del Cinema. Prossima apparizione a Venezia, nella mostra Diana Vreeland After Diana Vreeland (Palazzo Fortuny, dal 10 marzo al 25 giugno), di cui VicenzaOro e Mauro Grifoni sono sostenitori.
Lo stilista ha esposto un'anticipazione della retrospettiva per l'inaugurazione dello spazio fotografico Corridor and Stairs a Milano, presentando una serie limitata di T-shirt con le 5 parole che danno il titolo alla presentazione: Bizarre, Colorquake, Flamboyant, Personalites, Allure, buona sintesi del Vreeland pensiero.
Diana VreelandDIANA VREELAND
Autrice del più celebre Vogue America della storia, poi di spettacolari mostre al Metropolitan Museum of Art di New York, Diana Vreeland ha trascinato il mondo tra le pagine del suo gusto, a partire dagli anni di Harper's Bazaar, in un visionario incedere domiciliato a New York. Il segreto del suo stile, ineguagliato, forse risiede nell'infanzia: negli occhi della madre. Tutto il resto - magnifica reazione - è di sua creazione.
Eccone un ritratto attraverso le sue frasi più celebri (e un paio dei figli). Partenza. «La prima cosa da fare è cercare di nascere a Parigi. Quasi tutto poi segue naturalmente». Educazione. «Non certo la scuola. Ho imparato dal mondo». Cavalli. «Da bambina ho visto l'incoronazione di George V a Londra, era tutto meraviglioso, ma i più eleganti erano i cavalli». Madre. «Ne ammiravo la bellezza, ma non eravamo in sintonia. Diceva: "Con una sorella così bella, peccato che tu sia tanto brutta". Sono sempre stata il suo piccolo mostro». Motore. Il figlio Frederick: «La sua forte personalità si è formata allora, sentendosi chiamare brutto anatroccolo».
diana vreeland portraitDIANA VREELAND PORTRAIT
Genitori. «In casa circolavano pochissime emozioni visibili». Istruzione. «Mi hanno mandato alla Brearley School. Ho resistito tre mesi». Espulsa per totale mancanza d'attenzione, Diana ha studiato balletto in una scuola russa di New York. Tunnel. «C'è solo una vita: quella che vuoi per te, e che riesci a ottenere». Come? «Da giovane devi stare molto con te stesso e con le tue sofferenze». Rinascita. «Per me la New York anni Venti. Ero una teenager che ballava e basta, frequentando gigolò argentini e messicani. Mia madre disapprovava».
Matrimonio. «Non sono mai stata a mio agio con me stessa, fino al giorno in cui ho incontrato Thomas Reed Vreeland. Da quel momento è stato tutto perfetto, romantico: mi faceva sentire bellissima». Londra. I coniugi ci vanno nel 1929, Diana balla con le Tiller Girls e conosce Cecil Beaton. «Ho imparato tutto in Inghilterra: l'inglese, ma la migliore cosa di Londra è certamente Parigi».
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Lingerie. Anni vissuti tra le due capitali, e con Coco Chanel. La Vreeland disegna biancheria intima, fatta dalle suore di un convento in Spagna. Wallis Simpson è grande cliente: «Il mio piccolo negozio ha travolto il trono». Figli. Tim Vreeland: «Ci voleva originali. Dovevi essere il primo o l'ultimo della classe, mai in mezzo. Sono cresciuto sognando una madre diversa».

Il biografo George Plimpton le chiede della famiglia, Diana risponde: «Perché parlarne? Passiamo a qualcosa di più eccitante». Soldi. «Tornata a New York avevo con i soldi il rapporto che un alcolista ha con il whisky. Non ne avevamo così tanti, ho dovuto lavorare. Non mi sarebbe mai venuto in mente, sono molto pigra». Casa. All'architetto Billy Baldwin: «Vorrei una casa che sembri un giardino, ma un giardino all'inferno». Il rosso è stato il suo colore.
Reputazione. «Dicono che sono difficile, ma io sono molto facile. Semplicemente mi aspetto che gli altri lavorino quanto me». Giappone. «Ogni ragazza dovrebbe studiare da geisha. Il Giappone non ha petrolio né diamanti, ma il senso dello stile».
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Classe. «Se non ce l'hai, non sei nessuno. E non parlo di vestiti, è la vita che stai vivendo dentro il vestito, che conta». Ricetta: «Pelle, postura, modo di muoversi, un'educazione interessante».Difetti. «Esasperarli. Di un grande naso, farne una firma». Noia. A Veruschka: «Non raccontare una storia vera, se è noiosa: inventala». Ù
Il figlio Tim le chiede se si sente un fatto - a fact - o una fiction: «Sono una faction». Pubblico. «La gente non ha un punto di vista. Ha bisogno che tu glielo dia, da te se lo aspetta». Artificio. «La naturalezza è noiosissima». Passato: «Avrei voluto vivere nel XVI secolo, forse facendo la regina Elisabetta».
La Vreeland passava la mattinata in bagno, preparandosi come in una cerimonia, interrotta da telefonate e dalla scrittura dei celebri memo, appunti per la redazione. Acqua. «Sono pazza dell'acqua, m'interessa il suo schema. Avrei voluto essere un surfer, sono dispiaciuta di non averlo fatto». Femminismo. In un'intervista tivù: «Non so nemmeno di cosa stia parlando».
Diana Vreeland con ValentinoDIANA VREELAND CON VALENTINO
Moglie. «Dopo 40 anni di matrimonio ero ancora molto timida, volevo sempre presentarmi al meglio». Dopo il funerale del marito, si presenta al lunch in Park Avenue vestita di bianco. Russia. «Non l'ho mai vista, non ne so niente, ma la Russia è ciò che preferisco». Sintesi. «Non so quando morirò, ma sarò molto giovane». Il nipote Alexander: «Mia nonna non è più una persona. È un aggettivo».

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