mercoledì 18 aprile 2012
labranca dice la sua sul salone del mobile
Durante le feste patronali era d’obbligo ripetere ogni anno gli stessi gesti: la processione con il santo rivestito di ex voto, l’andirivieni sul corso principale, le giostre, le luminarie, le bancarelle profane, i forestieri incuriositi che arrivavano dai paesini dei dintorni. Dopo il trasferimento in città, gli Alieni, giunti dai più remoti villaggi in cui si svolgono ancora i riti patronali, credono di essersi liberati di quelle tradizioni. Poi finiscono per celebrare le stesse cose, negli stessi termini, con la stessa noia.
In fondo, il milanese Fuorisalone non è che una festa patronale. Ci sono le luminarie (però ecosostenibili, solo a LED e create da cartoni riciclati del latte), ci sono le bancarelle profane (dagli energy drink ai cracker: non hanno nulla a che vedere con il design, ma l’importante è esserci), ci sono le giostre (la parte più ludica del design, come i cucchiani tedeschi fatti di una misteriosa plastica che nel tè bollente si rammollisce e puoi farci dei gioielli alternativi se scampi all’intossicazione), ci sono i forestieri incuriositi che giungono in massa dal Pakistan o dal Belucistan e da mille altre nazioni lanciate come la terra promessa del nuovo design.
Ma il design è una portata che arriva oltre il dessert, qualcosa cui si pensa solo quando si è ormai sazi e che non può soddisfare una fame basica. Sembra strano che qualcuno, in Paesi instabili e magari senza strade, pensi a produrre comodini cool. Poi scopri che i presunti uzbeki o sud-sudanesi abitano in Gran Bretagna da decenni e il Paese natio l’hanno visto solo nei tg.
Una truffa in stile Vandana Shiva, la fighetta col sari che nei suoi libri piange sulle sete dell’India stando su un treno di lusso e che, mentre a casa sua muoiono di fame, da noi è vicepresidente di Slow Food.
Sto divagando. Ma solo perché c’è poco da dire su Zona Tortona e dintorni che ho visitato ieri prima della folla che giungerà sabato e domenica. Non è snobismo, ma disoccupazione.
Poche cose da vedere, molti show room temporanei chiusi. Tanta carta buttata per la strada. Come sempre buona la presenza di Alieni con occhialoni da mosca e sciarpone al collo con diametri da gorgiera elisabettiana. E i segnali della prossima fine di questo evento: l’ingresso agli show room era spesso vietato ai comuni mortali. Ieri pomeriggio, per vedere una serie di tazze da cesso messe in mostra in un ambiente oscuro era necessario l’invito. Questa ridicola esclusività è stata all’origine della morte della moda a Milano. La cosa bella di Zona Tortona era il senso di sagra paesana, di partecipazione collettiva. Allora sopportavi anche i ragionieri creativi che, usciti dall’ufficio, si scompigliavano i capelli e si mettevano gli occhiali da vista finti per sembrare parte della massa creativa.
Nel week end è prevista pioggia. Un motivo in più per non andare a deprimersi tra gli eventi del Fuorisalone 2012.
(Lo so. Questo post contiene elementi già presenti in “Astrakhan – La Zia e l’Estetica Perbenista”. Non potete pretendere che mi metta a scrivere cose inedite per una manifestazione che di inedito ormai non ha più niente.)
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