mercoledì 30 novembre 2011
Watching the Women's World Cup reminded me of when I was first learning the controls to FIFA.
Watching the Women's World Cup reminded me of when I was first learning the controls to FIFA.
martedì 29 novembre 2011
Morte radical chic
ALLA FINE la telefonata è arrivata. Sì, tutto finito. Ora si rientra in Italia. Alle pompe funebri aveva provveduto lo stesso Lucio Magri, poco prima di partire per la Svizzera. Era il suo ultimo viaggio, così voleva che fosse. Non ce la faceva a morire da solo, così il suo amico medico l'avrebbe aiutato. Là il suicidio assistito è una pratica lecita, anche se poi bisogna vedere nei dettagli, se ci sono proprio le condizioni. Ma ora che importa? Che volete sapere? Non fate troppi pettegolezzi, l'aveva già detto qualcun altro ma in questi casi non conta l'originalità.
S'era raccomandato con i suoi amici più cari, quelli d'una vita, i compagni del Manifesto. Non voglio funerali, per carità, tutte quelle inutili commemorazioni. Necrologi manco a parlarne. Luciana si occuperà della gestione editoriale dei miei scritti. Per gli amici e compagni lascio una lettera, ma dovete leggerla quando sarà tutto finito. Sì, ora è finito. La notizia può essere resa pubblica. Lucio Magri, fondatore del Manifesto, protagonista della sinistra eretica, è morto in Svizzera all'età di 79 anni. Morto per sua volontà, perché vivere gli era diventato intollerabile.
A casa di Lucio Magri, in attesa della telefonata decisiva. È tutto in ordine, in piazza del Grillo, nel cuore della Roma papalina e misteriosa, a due passi dalla magione dove morì Guttuso, pittore amatissimo ma anche avversario
sentimentale. Niente sembra fuori posto, il parquet chiaro, i divani bianchi, i libri sulla scrivania Impero, la collezione del Manifesto vicina a quella dei fascicoli di cucina, si sa che Lucio è un cuoco raffinato. Intorno al tavolo di legno chiaro siede la sua famiglia allargata, Famiano Crucianelli e Filippo Maone, amici sin dai tempi del Manifesto, Luciana Castellina, compagna di sentimenti e di politica per un quarto di secolo. No, Valentino non c'è, Valentino Parlato lo stiamo cercando, ma presto ci raggiungerà. In cucina Lalla, la cameriera sudamericana, prepara il Martini con cura, il bicchiere giusto, quello a cono, con la scorza di limone. Cosa stiamo aspettando? Che qualcuno telefoni, e ci dica che Lucio non c'è più.
Da questa casa Magri s'è mosso venerdì sera diretto in Svizzera, dal suo amico medico. Non è la prima volta, l'aveva già fatto una volta, forse due. Però era sempre tornato, non convinto fino in fondo. Ora però è diverso. Domenica mattina rassicura gli amici: "Ma no, non preoccupatevi, torno domani". La sera il tono cambia, si fa più affannato, indecifrabile, chissà. Il lunedì mattina appare sereno, lucido, determinato. Ha scelto, e dunque il più è fatto. Bisogna solo decidere, e poi basta chiudere gli occhi. L'ultima telefonata nel pomeriggio, verso le sedici. Poi il silenzio.
Una depressione vera, incurabile. Un lento scivolare nel buio provocato da un intreccio di ragioni, pubbliche e private. Sul fallimento politico - conclamato, evidentissimo - s'era innestato il dolore privato per la perdita di una moglie molto amata, Mara, che era il suo filtro con il mondo. "Lucio non sapeva usare il bancomat né il cellulare", racconta una giovane amica. Mara che oggi sorride dalle tante fotografie sugli scaffali, vestita color ciclamino nel giorno delle nozze. Un vuoto che Magri riempie in questi anni con le ricerche per il suo ultimo libro, una possibile storia del Pci che certo non a caso titola Il sarto di Ulm, il sarto di Brecht che si sfracella a terra perché non sa volare. Ucciso da un'ambizione troppo grande, così almeno appare ai suoi contemporanei. Anche Magri voleva volare, voleva cambiare il mondo, e il mondo degli ultimi anni gli appariva un'insopportabile smentita della sua utopia, il segno intollerabile di un fallimento, la constatazione amarissima della separazione tra sé e la realtà. Così le ali ha deciso di tagliarsele da sé, ma evitando agli amici lo spettacolo del sangue sul selciato.
Aspettando l'ultima telefonata, a casa Magri. Lalla, la cameriera peruviana, va a fare la spesa per il pranzo, vi fermate vero a colazione? E' affettuosa, Lalla, ha ricevuto tutte le ultime disposizioni dal padrone di casa. No, non ha bisogno di soldi per il pranzo, ci sono ancora quelli vecchi che lui le ha lasciato. È stata lei ad assistere Mara nei tre anni di agonia per il brutto tumore, e poi ha visto spegnersi lui, sempre più malinconico, quasi blindato in casa. Ogni tanto qualche amico, compagno della prima ora. Ma dai, reagisci, che fai, ti lasci andare proprio ora? Ora che esce l'edizione inglese del tuo libro? E poi quella argentina, e quella spagnola? Dai, ripensaci, c'è ancora da fare. Ma lui non era convinto. Non poteva fare più nulla. Lucido e razionale, fino alla fine. E poi s'era spenta la sua stella, così scrive anche nell'ultima lettera ai compagni.
Sembra tutto surreale, qui in piazza del Grillo, tra squilli di telefono e porte che si aprono. Arriva Valentino, invecchiato improvvisamente di dieci anni. Lo accolgono con calore. No, non sappiamo ancora niente. Aspettiamo. Ricordi privati e ricordi pubblici, lui grande giocatore di scacchi, lui grande sciatore, lui politico generoso che preparava i documenti e nascondeva la sua firma. Ma attenzione a come ne scrivete, non era un vanesio, non era un mondano. Dalle fotografie sui ripiani occhieggia lui, bellissimo e ancora giovane, un'espressione tra il malinconico e il maledetto. Dietro la foto più seducente, una dedica asciutta. "A Emma, il suo nonno". Neppure Emma, la bambina di sua figlia Jessica, è riuscito a fermarlo.
Poi la telefonata, quella che nessuno avrebbe voluto mai ricevere. Ora davvero è finita. Le pompe funebri andranno a prelevarlo in Svizzera, tutto era stato deciso nel dettaglio. L'ultimo viaggio, questo sì davvero l'ultimo, è verso Recanati, dove sarà seppellito vicino alla sua Mara, nella tomba che lui con cura aveva predisposto dopo la morte della moglie. Luciana Castellina s'appoggia allo stipite della porta, tramortita: "Non avrei mai immaginato che finisse così". Il tempo dell'attesa è concluso, comincia quello del dolore.
http://www.repubblica.it/politica/2011/11/29/news/magri_suicidio_assistito-25763126/
Un'intervista di Marta Marzotto in cui parla di Lucio Magri
S'era raccomandato con i suoi amici più cari, quelli d'una vita, i compagni del Manifesto. Non voglio funerali, per carità, tutte quelle inutili commemorazioni. Necrologi manco a parlarne. Luciana si occuperà della gestione editoriale dei miei scritti. Per gli amici e compagni lascio una lettera, ma dovete leggerla quando sarà tutto finito. Sì, ora è finito. La notizia può essere resa pubblica. Lucio Magri, fondatore del Manifesto, protagonista della sinistra eretica, è morto in Svizzera all'età di 79 anni. Morto per sua volontà, perché vivere gli era diventato intollerabile.
A casa di Lucio Magri, in attesa della telefonata decisiva. È tutto in ordine, in piazza del Grillo, nel cuore della Roma papalina e misteriosa, a due passi dalla magione dove morì Guttuso, pittore amatissimo ma anche avversario
sentimentale. Niente sembra fuori posto, il parquet chiaro, i divani bianchi, i libri sulla scrivania Impero, la collezione del Manifesto vicina a quella dei fascicoli di cucina, si sa che Lucio è un cuoco raffinato. Intorno al tavolo di legno chiaro siede la sua famiglia allargata, Famiano Crucianelli e Filippo Maone, amici sin dai tempi del Manifesto, Luciana Castellina, compagna di sentimenti e di politica per un quarto di secolo. No, Valentino non c'è, Valentino Parlato lo stiamo cercando, ma presto ci raggiungerà. In cucina Lalla, la cameriera sudamericana, prepara il Martini con cura, il bicchiere giusto, quello a cono, con la scorza di limone. Cosa stiamo aspettando? Che qualcuno telefoni, e ci dica che Lucio non c'è più.
Da questa casa Magri s'è mosso venerdì sera diretto in Svizzera, dal suo amico medico. Non è la prima volta, l'aveva già fatto una volta, forse due. Però era sempre tornato, non convinto fino in fondo. Ora però è diverso. Domenica mattina rassicura gli amici: "Ma no, non preoccupatevi, torno domani". La sera il tono cambia, si fa più affannato, indecifrabile, chissà. Il lunedì mattina appare sereno, lucido, determinato. Ha scelto, e dunque il più è fatto. Bisogna solo decidere, e poi basta chiudere gli occhi. L'ultima telefonata nel pomeriggio, verso le sedici. Poi il silenzio.
Una depressione vera, incurabile. Un lento scivolare nel buio provocato da un intreccio di ragioni, pubbliche e private. Sul fallimento politico - conclamato, evidentissimo - s'era innestato il dolore privato per la perdita di una moglie molto amata, Mara, che era il suo filtro con il mondo. "Lucio non sapeva usare il bancomat né il cellulare", racconta una giovane amica. Mara che oggi sorride dalle tante fotografie sugli scaffali, vestita color ciclamino nel giorno delle nozze. Un vuoto che Magri riempie in questi anni con le ricerche per il suo ultimo libro, una possibile storia del Pci che certo non a caso titola Il sarto di Ulm, il sarto di Brecht che si sfracella a terra perché non sa volare. Ucciso da un'ambizione troppo grande, così almeno appare ai suoi contemporanei. Anche Magri voleva volare, voleva cambiare il mondo, e il mondo degli ultimi anni gli appariva un'insopportabile smentita della sua utopia, il segno intollerabile di un fallimento, la constatazione amarissima della separazione tra sé e la realtà. Così le ali ha deciso di tagliarsele da sé, ma evitando agli amici lo spettacolo del sangue sul selciato.
Aspettando l'ultima telefonata, a casa Magri. Lalla, la cameriera peruviana, va a fare la spesa per il pranzo, vi fermate vero a colazione? E' affettuosa, Lalla, ha ricevuto tutte le ultime disposizioni dal padrone di casa. No, non ha bisogno di soldi per il pranzo, ci sono ancora quelli vecchi che lui le ha lasciato. È stata lei ad assistere Mara nei tre anni di agonia per il brutto tumore, e poi ha visto spegnersi lui, sempre più malinconico, quasi blindato in casa. Ogni tanto qualche amico, compagno della prima ora. Ma dai, reagisci, che fai, ti lasci andare proprio ora? Ora che esce l'edizione inglese del tuo libro? E poi quella argentina, e quella spagnola? Dai, ripensaci, c'è ancora da fare. Ma lui non era convinto. Non poteva fare più nulla. Lucido e razionale, fino alla fine. E poi s'era spenta la sua stella, così scrive anche nell'ultima lettera ai compagni.
Sembra tutto surreale, qui in piazza del Grillo, tra squilli di telefono e porte che si aprono. Arriva Valentino, invecchiato improvvisamente di dieci anni. Lo accolgono con calore. No, non sappiamo ancora niente. Aspettiamo. Ricordi privati e ricordi pubblici, lui grande giocatore di scacchi, lui grande sciatore, lui politico generoso che preparava i documenti e nascondeva la sua firma. Ma attenzione a come ne scrivete, non era un vanesio, non era un mondano. Dalle fotografie sui ripiani occhieggia lui, bellissimo e ancora giovane, un'espressione tra il malinconico e il maledetto. Dietro la foto più seducente, una dedica asciutta. "A Emma, il suo nonno". Neppure Emma, la bambina di sua figlia Jessica, è riuscito a fermarlo.
Poi la telefonata, quella che nessuno avrebbe voluto mai ricevere. Ora davvero è finita. Le pompe funebri andranno a prelevarlo in Svizzera, tutto era stato deciso nel dettaglio. L'ultimo viaggio, questo sì davvero l'ultimo, è verso Recanati, dove sarà seppellito vicino alla sua Mara, nella tomba che lui con cura aveva predisposto dopo la morte della moglie. Luciana Castellina s'appoggia allo stipite della porta, tramortita: "Non avrei mai immaginato che finisse così". Il tempo dell'attesa è concluso, comincia quello del dolore.
http://www.repubblica.it/politica/2011/11/29/news/magri_suicidio_assistito-25763126/
Un'intervista di Marta Marzotto in cui parla di Lucio Magri
Essere rapinato a Napoli
Nella vita di una persona la dimensione del successo consiste nell'andare a Napoli, essere rapinato, ma poi ricevere tutto indietro su decisione della camorra, come per Lavezzi
Guido ceronetti e' un caffè Mulassano ambulante
Diventare vecchi per finalmente ricordare un passato che non abbiamo mai vissuto
L'irrefrenabile desiderio di poesia che coglie tutti quelli con la tosse
Il primo passo per il divorzio e' l'iscrizione al corso di latino americano
Perché il viale del tramonto si percorre ballando il tango
L'irrefrenabile desiderio di poesia che coglie tutti quelli con la tosse
Il primo passo per il divorzio e' l'iscrizione al corso di latino americano
Perché il viale del tramonto si percorre ballando il tango
lunedì 28 novembre 2011
indice di emarginazione
per il calcolo del mio indice di emarginazione, aver vissuto all'estero e collaborare attivamente con un sito web hanno una rilevanza altissima. Aggiungeteci un bmi non lunsinghiero ed è fatta.
domenica 27 novembre 2011
sabato 26 novembre 2011
venerdì 25 novembre 2011
Ristorazione Sociale, Alessandria
Allora è un posto agli Orti. Ci arrivi passando in mezzo ad un campo tutto diviso ad orti affittati ai vecchietti di AL che li tengono benissimo, tipo tanti giardinetti. Ognuno lo personalizza con recinzioni, siepi, e speci di finocchi diversi nonchè cavoli colorati e sgargianti.
Qui sorge una casupola. E' affittata ad una coperativa che cucina le cose prodotte dietro la casupola. Il luogo piace perchè pur essendo poverissimo non è sciatto. Il cibo è tanto da nonna di campagna. prezzi ultrabassi. I commensali sono muratori tatuati con cappelli da scaricatore di porto, vecchie segretarie dei vicini uffici della provincia e saltuari agenti immobiliari con il cravattone.
Voto: 6
Ristorazione Sociale
Centro d’Incontro Comunale Orti
viale Milite ignoto 1/A
Alessandria
0131 223355
334/1951774
Qui sorge una casupola. E' affittata ad una coperativa che cucina le cose prodotte dietro la casupola. Il luogo piace perchè pur essendo poverissimo non è sciatto. Il cibo è tanto da nonna di campagna. prezzi ultrabassi. I commensali sono muratori tatuati con cappelli da scaricatore di porto, vecchie segretarie dei vicini uffici della provincia e saltuari agenti immobiliari con il cravattone.
Voto: 6
Ristorazione Sociale
Centro d’Incontro Comunale Orti
viale Milite ignoto 1/A
Alessandria
0131 223355
334/1951774
giovedì 24 novembre 2011
intellettuali contro questa italia allo sbando
Alba Rohrwacher parla del film il comandante e la cicogna, feat. sterilgarda
Francesco Bianconi minaccia di andarsene dall'italia per pubblicizzare il suo ultimo disco con i baustelle
Si Alba&Francesco, se me lo dite voi anche io mi sento spaesato in questa italia assurda, in questo paese allo sbando, sommerso dalla tv spazzatura, dal riflusso di un velinismo di ritorno e da un governo che è un comitato d'affari di banchieri massoni.
E in fondo, per riassumere il senso di smarrimento di Alba Rohrwacher e Francesco Bianconi, basta usare le parole del loro maître à penser, Ruggero de Ceglie: ma che paese è questo, Gianluca, che paese è? Dai, cazzo!
Francesco Bianconi minaccia di andarsene dall'italia per pubblicizzare il suo ultimo disco con i baustelle
Si Alba&Francesco, se me lo dite voi anche io mi sento spaesato in questa italia assurda, in questo paese allo sbando, sommerso dalla tv spazzatura, dal riflusso di un velinismo di ritorno e da un governo che è un comitato d'affari di banchieri massoni.
E in fondo, per riassumere il senso di smarrimento di Alba Rohrwacher e Francesco Bianconi, basta usare le parole del loro maître à penser, Ruggero de Ceglie: ma che paese è questo, Gianluca, che paese è? Dai, cazzo!
la 500 negli stati uniti non batte chiodo
Mentre Chrysler, parte del gruppo Fiat, ha chiuso il terzo trimestre con un utile netto di 212 milioni di dollari, la Fiat 500 continua a faticare ad affermarsi sul mercato americano. Secondo i dati pubblicati da Automotive News, da quando l'utilitaria è stata lanciata negli Stati Uniti nel marzo 2011 fino a ottobre ne sono state vendute 15.826 e lo scorso mese quasi un quarto dei 130 punti vendita Fiat americani non ne ha venduta neppure una.
Questo mese sono cominciati gli incentivi per l'acquisto, e i tagli alla produzione: comprando una Cinquecento si ottiene subito un rimborso di 500 dollari, mentre 65 operai dello stabilimento di Dundee, in Michigan (che produce i motori), sono stati licenziati o ricollocati. Sembra dunque impensabile che entro la fine dell’anno si raggiunga il target annuale di 50.000 unità previsto da Sergio Marchionne, a.d. di Chrysler e Fiat, che ha giustificato le scarse vendite con un ritardo organizzativo nella distribuzione.
“La rete di distribuzione è probabilmente sei mesi in ritardo”, ha dichiarato Marchionne la scorsa settimana durante un meeting a Toledo, in Ohio. “Dobbiamo continuare a lavorare su questo fronte”. A occuparsi delle vendite e del marketing, sulla rete dei concessionari e dell'assistenza negli Stati Uniti, è ora Timothy Kuniskis, che la scorsa settimana ha preso il posto di Laura Soave, dimessasi dal ruolo di responsabile di Fiat per Chrysler.
Una delle strategie che sta adottando l'azienda torinese per incentivare le vendite è investire maggiormente negli showroom. Invece di lasciare che vengano aperte delle sezioni dedicate alla Cinquecento all'interno dei concessionari Chrysler, Fiat chiede che vengano stipulati dei contratti di franchising indipendenti ed eventualmente aperti degli showroom appositi, ipotizzando un investimento che può raggiungere 3 milioni di dollari.
Inoltre Fiat sta investendo anche sulla pubblicità: lo scorso ottobre ha lanciato un nuovo spot con Jennifer Lopez alla guida di una Cinquecento per le strade di Manhattan e a settembre ha presentato a New York una serie limitata di vetture realizzate in collaborazione con Gucci.
Secondo Olivier François, capo del brand Fiat e responsabile dell'ufficio marketing di Chrysler, è solo questione di tempo: "Un marchio in fase di lancio non è lo stesso di uno presente sul mercato da 85 anni", ha spiegato. Fiat è infatti tornata sul mercato americano con la Cinquecento dopo un'assenza di decenni.
Alcuni venditori americani sostengono invece che si tratti di un problema legato al tipo di macchina e ai potenziali acquirenti.
“Abbiamo clienti che pensano che la macchina sia molto bella, chiedono di vederla, ma poi dicono che non vogliono comprare una macchina così piccola”, ha detto David Rovny, responsabile delle vendite in un concessionario Fiat in Pennsylvania: “La gente si aspetta che la macchina costi meno perché è più piccola”. Secondo Rovny, l'utilitaria negli Stati uniti si vende alle famiglie più benestanti come terzo veicolo, e non ai giovani e agli studenti a cui puntava Chrysler.
Secondo i dati pubblicati da Automotive News, la Cinquecento si vende principalmente nella zona sud-est del paese e in California, mentre nell'area centrale, tra l'Ohio e il Colorado, le vendite sono dimezzate: nel mese di ottobre i concessionari californiani hanno venduto una media di 29 veicoli, contro i 13 dell'Ohio.
Sebbene le vendite siano più basse delle aspettative, Reid Bigland, amministratore delegato del marchio Dodge, sostiene che la Fiat stia aiutando Chrysler. "La Fiat non compete con altri prodotti Chrysler, Dodge, Jeep o Ram. Non può che costituire un incremento", ha detto. "Dipende se si guarda il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno".
http://america24.com/news/la-fiat-500-che-non-conquista-l-america
mercoledì 23 novembre 2011
Grandi vini: Madonna Nera
La prima operazione risale al 2007, quando Borgogni acquista una tenuta agricola a Montalcino. Cola gli suggerisce di chiedere un finanziamento alla sua banca svizzera depositando a garanzia una cifra analoga; basterà poi non restituire la cifra (dovrebbero essere 600 mila euro) e la banca procederà a incamerare il deposito. Nel 2009, però, Borgogni ha l’esigenza di ingrandire il vigneto e comprare nuove attrezzature. Gli occorrono altri 800 mila euro. Cola anticiperà di tasca sua i primi 200 mila euro; altri 600 mila li metterà il compiacente Iannilli. Il trucco è raffinato: tra Borgogni e Iannilli si firma un finto compromesso e subito Borgogni intasca 600 mila euro di caparra. Ma siccome è inteso che l’atto di vendita non sarà mai perfezionato davanti a un notaio, la caparra resterà nelle tasche di Borgogni. Ma di sicuro Iannilli non ci rimette: a questo servivano le tre fatture false da 800 mila euro ammesse ieri, a far sborsare i soldi da Selex.
Il vino del G8
Per la cronaca, i cinque ettari di vigneto del signor Borgogni producono un eccellente brunello, il «Madonna Nera», che fu selezionato unico vino non abruzzese - per le tavole del G8 dell’Aquila, molto apprezzato dagli illustri commensali, celebrato dalla stampa di settore e venduto da due anni a scatola chiusa in tutto il mondo.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/431252/
Nel Giro del vino molti erano a conoscenza della storia del Madonna Nera...
Domenica scorsa su Il Giornale Paolo Marchi firmava un articolo bello e commovente sull’amore per Montalcino e la Toscana, osannando un vino bevuto da tutti i big del mondo al G8: Madonna Nera, “affascinante” supertuscan di sangiovese, merlot e cabernet.
Se volete credere alla favole, quello è un misterioso e buonissimo supertuscan made in Montalcino per mano di un grande winemaker. Oppure, se volete la verità, a noi pare un modo parecchio cool di declassare un po’ di Brunello taroccato.
Ci è anche capitato di degustarlo, nemmeno tre mesi fa, e sapendo pure con buona certezza da quale azienda “misteriosa” provenga ci stupiamo che il vino arrivi a malapena a 76 punti.
Molto meglio allora il BelNero di Banfi [83], altra etichetta comparsa in tempi più che sospetti, che si lascia bere con certa soddisfazione, anche se disturba che il vino venga presentato come “espressione del forte ed indissolubile legame dell’azienda con il terroir del Brunello”.
Insomma piano piano il mercato si sta riempiendo dei famosi Brunello declassati a IGT. Voi quanti ne avete assaggiati? E se foste un produttore ilcinese, come vendereste le casse di vino che non potete più etichettare come Brunello di Montalcino?
http://www.intravino.com/assaggi/il-nero-a-montalcino-come-ti-declasso-con-stile-il-brunello/
Mentre invece il Giornale ne tesseva le lodi, ignorando il Produttore...
Si sprecano nel mondo cristiano le statue e le icone che celebrano la Madonna Nera, da quella di Loreto nelle Marche a quella polacca di Czestochowa, fino alla Madonna Nera che non ti aspetti e che tutti abbiamo scoperto grazie al recente G8 dell'Aquila.
E, attenti, non è affatto un oggetto di culto (e se lo diventerà sarà di natura pagana), bensì di meditato e consapevole consumo. La Madonna Nera offerta ai capi di stato nel vertice abruzzese è un vino, un rosso che arriva dalla Toscana, da una Montalcino che, fatte le debite proporzioni, ha vissuto anch'essa le sue traversie legate alla terra, a quel Brunello che il disciplinare impone di sola uva Sangiovese e che alcuni produttori hanno mischiato a uve cosiddette internazionali per renderlo più appetibile sul mercato americano.
La Madonna Nera nasce nella perla del Senese ma non è un Brunello, tutt'altro e tutto dichiarato. Il millesimo servito meno di un mese fa, il 2007, si pavoneggia di un 60 per cento di Sangiovese, di un 30 di Merlot e del restante 10 di Cabernet, un Supertuscan per chi ancora ama questo abusatissimo termine che abbraccia tutti quei rossi nati lontano dai territori del Chianti e del Brunello, anche se ormai sono così tanti da non sortire più l'effetto di un tempo.
Piuttosto è singolare notare come del Madonna Nera, proposto in Abruzzo accanto a mostro sacri come le bollicine trentine del Ferrari e il Barolo di Giacosa sui quali la letteratura si spreca, si sa ben poco. Nemmeno il nome del titolare della cantina da cui esce. Arcistranoto invece il suo papà, quel Carlo Ferrini che è enologo, nato a Firenze 55 anni fa, un paio di simpatici baffi su un viso sincero. Noi italiani, grazie al Gambero Rosso, lo abbiamo incoronato «enologo dell'anno» nel 2000, gli statunitensi ovvero il mondo hanno fatto altrettanto con Wine Enthusiast due anni fa.
I suoi clienti hanno blasoni luccicanti come l'oro al sole. Alcuni perché hanno antiche radici in vigna, come Donatella Cinelli Colombini, la Barone Ricasoli e il Castello di Fonterutoli in Toscana, Tasca d'Almerita e Donnafugata in Sicilia fino al sublime San Leonardo dei Marchesi Guerrieri Gonzaga in Trentino, altri perché a un certo punto della vita si regalano la cantina ultimo grido come, a certi livelli, si fa come le ville e i maxi-yacht. Ecco così il Pollenza del petroliere Aldo Brachetti Peretti e la Tenuta degli Dei (la modestia...) di Tommaso Cavalli, figlio dello stilita Roberto.
La Madonna Nera appartiene al secondo caso, ma non si va oltre i si dice. La certezza è una sola: è un vino di Ferrini, uno che fa le fortune di tanti e la cui fatica è ancora lontana dall'essere compiuta perché la tenuta misteriosa, nata tre anni fa dalla somma di due piccole aziende, ha un'estenzione di appena 4 ettari che nel 2012 daranno vita anche a un Brunello. Parliamo di alcune migliaia di bottiglie, a un prezzo da affare: 11 euro.
Ha detto Ferrini: «Di certo non spaventa, è un prezzo onesto che garantisce un reddito che copre le spese. Chi ha voluto Madonna Nera non cerca il guadagno. Bisogna distinguere tra chi è nel vino da generazioni e chi arriva come novizio. Con il primo è più facile lavorare perché conosce questo mondo, però in genere è chiuso ai consigli. Il personaggio nuovo, forte dei soldi fatti in altri settori, ha fretta di arrivare, mentre in vigna bisogna avere calma. Quando mi avvicina un neofita l'avviso subito che la prima bottiglia arriverà dopo sette anni, cinque per avere l'uva e due perché diventi vino. Non è una birra o una mozzarella che si consumano subito». E, infine, l'anonimato della proprietà in un'epoca dove tutti vogliono apparire: «Lo trovo un tratto affascinante, sparire per non apparire. Io stesso tendo a far parlare i miei vini».
http://www.ilgiornale.it/gastronomia/madonna_nera_g8_tavola_dellestate/vino-enoteca-madonna_nera-montalcino-carlo_ferrini-sangiovese/03-08-2009/articolo-id=371609-page=0-comments=1
lunedì 21 novembre 2011
l'orologio di pulp fiction
Questo orologio che ho qui fu visto e acquistato dal tuo grande bisnonno durante la Prima Guerra Mondiale. Fu comprato in un negozio di cianfrusaglie a Knoxville, nel Tennessee, prodotto della prima ditta che abbia mai fatto orologi da polso – fino ad allora si portavano solamente orologi da taschino. Sì, è stato comprato dal valoroso patriota Errayn Coolidge il giorno in cui si è imbarcato per Parigi. Il tuo bisnonno aveva questo qua durante la guerra: non se n'è mai staccato fino alla fine dei combattimenti. E dopo aver fatto il suo dovere, tornò a casa dalla tua bisnonna, si tolse l'orologio dal polso, lo mise in un barattolo da caffè ed è lì che è rimasto finché tuo nonno Dane Coolidge non fu chiamato dal suo Paese perché andasse di nuovo a servire la patria. E... era la Seconda Guerra Mondiale questa volta. Il tuo bisnonno ha dato quest'orologio a tuo nonno per buona sorte. Sfortunatamente, a Dane è andata peggio che al suo vecchio padre. Lui era un marine ed è rimasto ucciso con tutti gli altri marines nella battaglia di Wake Island. Tuo nonno stava affrontando la morte: lui lo sapeva. Nessuno di loro poteva illudersi che avrebbe mai lasciato quell'isola da vivo. Così, tre giorni prima che i giapponesi prendessero l'isola, tuo nonno chiese a un artigliere addetto all'aviazione militare, di nome Winacki, un uomo mai visto prima in vita sua, di consegnare al suo figlioletto – da lui mai visto in carne ed ossa, il suo orologio d'oro. Tre giorni dopo tuo nonno rimase ucciso, ma Winacki mantenne la sua parola. Alla fine della guerra, andò a fare visita a tua nonna, per consegnare a tuo padre, bambino, l'orologio d'oro del suo papà: quest'orologio. Tuo padre l'aveva ancora al polso quando è stato abbattuto sopra Hanoi. L'hanno catturato e messo in un campo di prigionia vietnamita. Sapeva che se quelli avessero visto il suo orologio gliel'avrebbero confiscato, eh, portato via. Per come la vedeva tuo padre, quest'orologio era tuo di diritto, che fosse dannato se quei musi gialli mettevano le manacce sui beni di suo figlio. Così l'ha nascosto nel solo posto dove sapeva di poterlo fare: nel sedere, per cinque lunghi anni ha tenuto l'orologio infilato nel sedere. Poi è morto di dissenteria, mi ha dato l'orologio. Ho nascosto questo scomodo pezzo di metallo nel sedere per due anni. Poi, finalmente, sono stato rimandato a casa dalla mia famiglia. Adesso, giovanotto, consegno a te l'orologio.
George Carlin, Filthy Words
Aruba-du, ruba-tu, ruba-tu. I was thinking about the curse words and the swear words, the cuss words and the words that you can't say, that you're not supposed to say all the time, ['cause] words or people into words want to hear your words. Some guys like to record your words and sell them back to you if they can, (laughter) listen in on the telephone, write down what words you say. A guy who used to be in Washington knew that his phone was tapped, used to answer, Fuck Hoover, yes, go ahead. (laughter) Okay, I was thinking one night about the words you couldn't say on the public, ah, airwaves, um, the ones you definitely wouldn't say, ever, [']cause I heard a lady say bitch one night on television, and it was cool like she was talking about, you know, ah, well, the bitch is the first one to notice that in the litter Johnie right (murmur) Right. And, uh, bastard you can say, and hell and damn so I have to figure out which ones you couldn't and ever and it came down to seven but the list is open to amendment, and in fact, has been changed, uh, by now, ha, a lot of people pointed things out to me, and I noticed some myself. The original seven words were, shit, piss, fuck, cunt, cocksucker, motherfucker, and tits. Those are the ones that will curve your spine, grow hair on your hands and (laughter) maybe, even bring us, God help us, peace without honor (laughter) um, and a bourbon. (laughter) And now the first thing that we noticed was that word fuck was really repeated in there because the word motherfucker is a compound word and it's another form of the word fuck. (laughter) You want to be a purist it doesn't really -- it can't be on the list of basic words. Also, cocksucker is a compound word and neither half of that is really dirty. The word -- the half sucker that's merely suggestive (laughter) and the word cock is a half-way dirty word, 50% dirty -- dirty half the time, depending on what you mean by it. (laughter) Uh, remember when you first heard it, like in 6th grade, you used to giggle. And the cock crowed three times, heh (laughter) the cock -- three times. It's in the Bible, cock in the Bible. (laughter) And the first time you heard about a cock-fight, remember -- What? Huh? naw. It ain't that, are you stupid? man. (laughter, clapping) It's chickens, you know, (laughter) Then you have the four letter words from the old Anglo-Saxon fame. Uh, shit and fuck. The word shit, uh, is an interesting kind of word in that the middle class has never really accepted it and approved it. They use it like, crazy but it's not really okay. It's still a rude, dirty, old kind of gushy word. (laughter) They don't like that, but they say it, like, they say it like, a lady now in a middle-class home, you'll hear most of the time she says it as an expletive, you know, it's out of her mouth before she knows. She says, Oh shit oh shit, (laughter) oh shit. If she drops something, Oh, the shit hurt the broccoli. Shit. Thank you. (footsteps fading away) (papers ruffling)
Read it! (from audience)
Shit! (laughter) I won the Grammy, man, for the comedy album. Isn't that groovy? (clapping, whistling) (murmur) That's true. Thank you. Thank you man. Yeah. (murmur) (continuous clapping) Thank you man. Thank you. Thank you very much, man. Thank, no, (end of continuous clapping) for that and for the Grammy, man, [']cause (laughter) that's based on people liking it man, yeh, that's ah, that's okay man. (laughter) Let's let that go, man. I got my Grammy. I can let my hair hang down now, shit. (laughter) Ha! So! Now the word shit is okay for the man. At work you can say it like crazy. Mostly figuratively, Get that shit out of here, will ya? I don't want to see that shit anymore. I can't cut that shit, buddy. I've had that shit up to here. I think you're full of shit myself. (laughter) He don't know shit from Shinola. (laughter) you know that? (laughter) Always wondered how the Shinola people feel about that (laughter) Hi, I'm the new man from Shinola. (laughter) Hi, how are ya? Nice to see ya. (laughter) How are ya? (laughter) Boy, I don't know whether to shit or wind my watch. (laughter) Guess, I'll shit on my watch. (laughter) Oh, the shit is going to hit de fan. (laughter) Built like a brick shit-house. (laughter) Up, he's up shit's creek. (laughter) He's had it. (laughter) He hit me, I'm sorry. (laughter) Hot shit, holy shit, tough shit, eat shit, (laughter) shit-eating grin. Uh, whoever thought of that was ill. (murmur laughter) He had a shit-eating grin! He had a what? (laughter) Shit on a stick. (laughter) Shit in a handbag. I always like that. He ain't worth shit in a handbag. (laughter) Shitty. He acted real shitty. (laughter) You know what I mean? (laughter) I got the money back, but a real shitty attitude. Heh, he had a shit-fit. (laughter) Wow! Shit-fit. Whew! Glad I wasn't there. (murmur, laughter) All the animals -- Bull shit, horse shit, cow shit, rat shit, bat shit. (laughter) First time I heard bat shit, I really came apart. A guy in Oklahoma, Boggs, said it, man. Aw! Bat shit. (laughter) Vera reminded me of that last night, ah (murmur). Snake shit, slicker than owl shit. (laughter) Get your shit together. Shit or get off the pot. (laughter) I got a shit-load full of them. (laughter) I got a shit-pot full, all right. Shit-head, shit-heel, shit in your heart, shit for brains, (laughter) shit-face, heh (laughter) I always try to think how that could have originated; the first guy that said that. Somebody got drunk and fell in some shit, you know. (laughter) Hey, I'm shit-face. (laughter) Shitface, today. (laughter) Anyway, enough of that shit. (laughter) The big one, the word fuck that's the one that hangs them up the most. [']Cause in a lot of cases that's the very act that hangs them up the most. So, it's natural that the word would, uh, have the same effect. It's a great word, fuck, nice word, easy word, cute word, kind of. Easy word to say. One syllable, short u. (laughter) Fuck. (Murmur) You know, it's easy. Starts with a nice soft sound fuh ends with a kuh. Right? (laughter) A little something for everyone. Fuck (laughter) Good word. Kind of a proud word, too. Who are you? I am FUCK. (laughter) FUCK OF THE MOUNTAIN. (laughter) Tune in again next week to FUCK OF THE MOUNTAIN. (laughter) It's an interesting word too, [']cause it's got a double kind of a life -- personality -- dual, you know, whatever the right phrase is. It leads a double life, the word fuck. First of all, it means, sometimes, most of the time, fuck. What does it mean? It means to make love. Right? We're going to make love, yeh, we're going to fuck, yeh, we're going to fuck, yeh, we're going to make love. (laughter) we're really going to fuck, yeah, we're going to make love. Right? And it also means the beginning of life, it's the act that begins life, so there's the word hanging around with words like love, and life, and yet on the other hand, it's also a word that we really use to hurt each other with, man. It's a heavy. It's one that you have toward the end of the argument. (laughter) Right? (laughter) You finally can't make out. Oh, fuck you man. I said, fuck you. (laughter, murmur) Stupid fuck. (laughter) Fuck you and everybody that looks like you. (laughter) man. It would be nice to change the movies that we already have and substitute the word fuck for the word kill, wherever we could, and some of those movie cliches would change a little bit. Madfuckers still on the loose. Stop me before I fuck again. Fuck the ump, fuck the ump, fuck the ump, fuck the ump, fuck the ump. Easy on the clutch Bill, you'll fuck that engine again. (laughter) The other shit one was, I don't give a shit. Like it's worth something, you know? (laughter) I don't give a shit. Hey, well, I don't take no shit, (laughter) you know what I mean? You know why I don't take no shit? (laughter) [']Cause I don't give a shit. (laughter) If I give a shit, I would have to pack shit. (laughter) But I don't pack no shit cause I don't give a shit. (laughter) You wouldn't shit me, would you? (laughter) That's a joke when you're a kid with a worm looking out the bird's ass. You wouldn't shit me, would you? (laughter) It's an eight-year-old joke but a good one. (laughter) The additions to the list. I found three more words that had to be put on the list of words you could never say on television, and they were fart, turd and twat, those three. (laughter) Fart, we talked about, it's harmless It's like tits, it's a cutie word, no problem. Turd, you can't say but who wants to, you know? (laughter) The subject never comes up on the panel so I'm not worried about that one. Now the word twat is an interesting word. Twat! Yeh, right in the twat. (laughter) Twat is an interesting word because it's the only one I know of, the only slang word applying to the, a part of the sexual anatomy that doesn't have another meaning to it. Like, ah, snatch, box and pussy all have other meanings, man. Even in a Walt Disney movie, you can say, We're going to snatch that pussy and put him in a box and bring him on the airplane. (murmur, laughter) Everybody loves it. The twat stands alone, man, as it should. And two-way words. Ah, ass is okay providing you're riding into town on a religious feast day. (laughter) You can't say, up your ass. (laughter) You can say, stuff it! (murmur) There are certain things you can say its weird but you can just come so close. Before I cut, I, uh, want to, ah, thank you for listening to my words, man, fellow, uh space travelers. Thank you man for tonight and thank you also. (clapping whistling)
Read it! (from audience)
Shit! (laughter) I won the Grammy, man, for the comedy album. Isn't that groovy? (clapping, whistling) (murmur) That's true. Thank you. Thank you man. Yeah. (murmur) (continuous clapping) Thank you man. Thank you. Thank you very much, man. Thank, no, (end of continuous clapping) for that and for the Grammy, man, [']cause (laughter) that's based on people liking it man, yeh, that's ah, that's okay man. (laughter) Let's let that go, man. I got my Grammy. I can let my hair hang down now, shit. (laughter) Ha! So! Now the word shit is okay for the man. At work you can say it like crazy. Mostly figuratively, Get that shit out of here, will ya? I don't want to see that shit anymore. I can't cut that shit, buddy. I've had that shit up to here. I think you're full of shit myself. (laughter) He don't know shit from Shinola. (laughter) you know that? (laughter) Always wondered how the Shinola people feel about that (laughter) Hi, I'm the new man from Shinola. (laughter) Hi, how are ya? Nice to see ya. (laughter) How are ya? (laughter) Boy, I don't know whether to shit or wind my watch. (laughter) Guess, I'll shit on my watch. (laughter) Oh, the shit is going to hit de fan. (laughter) Built like a brick shit-house. (laughter) Up, he's up shit's creek. (laughter) He's had it. (laughter) He hit me, I'm sorry. (laughter) Hot shit, holy shit, tough shit, eat shit, (laughter) shit-eating grin. Uh, whoever thought of that was ill. (murmur laughter) He had a shit-eating grin! He had a what? (laughter) Shit on a stick. (laughter) Shit in a handbag. I always like that. He ain't worth shit in a handbag. (laughter) Shitty. He acted real shitty. (laughter) You know what I mean? (laughter) I got the money back, but a real shitty attitude. Heh, he had a shit-fit. (laughter) Wow! Shit-fit. Whew! Glad I wasn't there. (murmur, laughter) All the animals -- Bull shit, horse shit, cow shit, rat shit, bat shit. (laughter) First time I heard bat shit, I really came apart. A guy in Oklahoma, Boggs, said it, man. Aw! Bat shit. (laughter) Vera reminded me of that last night, ah (murmur). Snake shit, slicker than owl shit. (laughter) Get your shit together. Shit or get off the pot. (laughter) I got a shit-load full of them. (laughter) I got a shit-pot full, all right. Shit-head, shit-heel, shit in your heart, shit for brains, (laughter) shit-face, heh (laughter) I always try to think how that could have originated; the first guy that said that. Somebody got drunk and fell in some shit, you know. (laughter) Hey, I'm shit-face. (laughter) Shitface, today. (laughter) Anyway, enough of that shit. (laughter) The big one, the word fuck that's the one that hangs them up the most. [']Cause in a lot of cases that's the very act that hangs them up the most. So, it's natural that the word would, uh, have the same effect. It's a great word, fuck, nice word, easy word, cute word, kind of. Easy word to say. One syllable, short u. (laughter) Fuck. (Murmur) You know, it's easy. Starts with a nice soft sound fuh ends with a kuh. Right? (laughter) A little something for everyone. Fuck (laughter) Good word. Kind of a proud word, too. Who are you? I am FUCK. (laughter) FUCK OF THE MOUNTAIN. (laughter) Tune in again next week to FUCK OF THE MOUNTAIN. (laughter) It's an interesting word too, [']cause it's got a double kind of a life -- personality -- dual, you know, whatever the right phrase is. It leads a double life, the word fuck. First of all, it means, sometimes, most of the time, fuck. What does it mean? It means to make love. Right? We're going to make love, yeh, we're going to fuck, yeh, we're going to fuck, yeh, we're going to make love. (laughter) we're really going to fuck, yeah, we're going to make love. Right? And it also means the beginning of life, it's the act that begins life, so there's the word hanging around with words like love, and life, and yet on the other hand, it's also a word that we really use to hurt each other with, man. It's a heavy. It's one that you have toward the end of the argument. (laughter) Right? (laughter) You finally can't make out. Oh, fuck you man. I said, fuck you. (laughter, murmur) Stupid fuck. (laughter) Fuck you and everybody that looks like you. (laughter) man. It would be nice to change the movies that we already have and substitute the word fuck for the word kill, wherever we could, and some of those movie cliches would change a little bit. Madfuckers still on the loose. Stop me before I fuck again. Fuck the ump, fuck the ump, fuck the ump, fuck the ump, fuck the ump. Easy on the clutch Bill, you'll fuck that engine again. (laughter) The other shit one was, I don't give a shit. Like it's worth something, you know? (laughter) I don't give a shit. Hey, well, I don't take no shit, (laughter) you know what I mean? You know why I don't take no shit? (laughter) [']Cause I don't give a shit. (laughter) If I give a shit, I would have to pack shit. (laughter) But I don't pack no shit cause I don't give a shit. (laughter) You wouldn't shit me, would you? (laughter) That's a joke when you're a kid with a worm looking out the bird's ass. You wouldn't shit me, would you? (laughter) It's an eight-year-old joke but a good one. (laughter) The additions to the list. I found three more words that had to be put on the list of words you could never say on television, and they were fart, turd and twat, those three. (laughter) Fart, we talked about, it's harmless It's like tits, it's a cutie word, no problem. Turd, you can't say but who wants to, you know? (laughter) The subject never comes up on the panel so I'm not worried about that one. Now the word twat is an interesting word. Twat! Yeh, right in the twat. (laughter) Twat is an interesting word because it's the only one I know of, the only slang word applying to the, a part of the sexual anatomy that doesn't have another meaning to it. Like, ah, snatch, box and pussy all have other meanings, man. Even in a Walt Disney movie, you can say, We're going to snatch that pussy and put him in a box and bring him on the airplane. (murmur, laughter) Everybody loves it. The twat stands alone, man, as it should. And two-way words. Ah, ass is okay providing you're riding into town on a religious feast day. (laughter) You can't say, up your ass. (laughter) You can say, stuff it! (murmur) There are certain things you can say its weird but you can just come so close. Before I cut, I, uh, want to, ah, thank you for listening to my words, man, fellow, uh space travelers. Thank you man for tonight and thank you also. (clapping whistling)
domenica 20 novembre 2011
sabato 19 novembre 2011
sushi & champagne
ricontattalo, torna da lui, fai gesti di amore definitivo. portalo a bere e dopo che ti ha trombato e vuole lasciarti come un cane al bordo della strada tu urlagli: DI NUOVO!! E IO STUPIDA CHE HO ANCHE FATTO L'AMORE CON TE
e piangi a dirotto
e piangi a dirotto
venerdì 18 novembre 2011
7 canzoni insospettabili dedicate alla bamba
1. Alice, Per Elisa
2. Sixpence None the Richer, There She Goes
3. Enrico Ruggeri, Polvere
4. Fiorella Mannoia, L'altra madre
5. Champagne Molotov, C'è la neve
6 Ligabue, Certe notti
7 Los Lobos, La Bamba
2. Sixpence None the Richer, There She Goes
3. Enrico Ruggeri, Polvere
4. Fiorella Mannoia, L'altra madre
5. Champagne Molotov, C'è la neve
6 Ligabue, Certe notti
7 Los Lobos, La Bamba
giovedì 17 novembre 2011
mercoledì 16 novembre 2011
i commenti de i lettori de il Giornale: primo governo Monti
Siamo lieti, in occasione della nomina del primo governo Monti, di inaugurare questa rubrica in cui riporteremo i commenti dei lettori de il Giornale sulle vicende di cronaca del nostro tempo, commenti che si contraddistinguono sempre per pacatezza e ponderatezza.
#29 Palladino (643) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:58 scrive:
...l'unto del Signore esce dal suo albergo alle 10,45. La maggior parte degli italiani a quell'ora ha già lavorato tre ore. Mi sembra che questo Monti se la prenda con comodo,ma non dovevamo fare in fretta. Signori è tutta una grande fregatura, il vero leader è il comunista Napolitano. Questo algido stoccafisso non risolverà un bel niente. Anzi riuscirà ad aggravare la situazione.
#28 Trasimacus (23) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:57 scrive:
Ornaghi all'Università: il prezzo pagato da Monti a una delle più potenti lobby che ha brigato per rimuovere Berlusconi e per piazzare un altro al suo posto: il VATICANO! E' scandaloso (ripeto: scandaloso) che il Rettore di una Università privata sia nominato ministro dell'Università pubblica. I sinistri e sinistrati sostenitori di Monti hanno di che meditare...
#27 Snoopy59 (486) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:57 scrive:
Ornaghi!!?? Non c'è che dire il monti ridens sta mettendo su una bella squadra forse per vincere il torneo di briscola. Meno male che in Italia c'è molta terra incolta...la cicoria è assicurata.
#26 Snoopy59 (486) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:49 scrive:
Catricalà e passera ....sarebbero stati più idonei Greggio e iacchetti almeno questi in qualche modo fanno ridere. Certo che se le risorse umane a disposizione del neo salvatore della patria sono come questi due siamo messi proprio bene!
#24 renzokiwi (203) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:41 scrive:
Dal Pdl e PD: Monti può farcela solo se non tocca gli Ordini professionali, quelli che pagano le tasse. 27 sono gli ordini professionali due milioni di persone protetti da caste che l’Europa eliminerà. Monti: La lista dei ministri è quasi pronta e ogni ceto sociale avrà i suoi rappresentanti Artigiani e Operai quelli che mantengono tutti pagando le tasse entreranno in parlamento x le pulizie.
#17 MMARTILA (1516) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:15 scrive:
"Ha lasciato l'hotel alle 10:45" ... beh, per essere uno che dice esserci tanto da lavorare se l'è presa comoda, il signorino! Va bene che guadagna poco, solo 25.000 miseri euro al mese.
#16 perSilvio46 (215) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:04 scrive:
Lacrime e sangue per i cittadini, pensioni mai più, banche sugli scudi. Il bello che non servirà a niente. Il problema, E LO DICONO A CHIARE LETTERE OBAMA E MERKEL, non è SE l'Italia fallirà, ma QUANDO. Ed il QUANDO dipende dagli accordi di spartizione che i due stanno facendo. Certi settori sono strategici per gli USA (Libia ecc.) mentre la Merkel ha un approccio diverso e vede l'Italia nel suo complesso come un Gau da gestire sia come località di svago (litorale adriatico) sia come mercato condizionato. Soluzione ? bruciarli sul tempo e dichiarare SUBITO default, qualcosa si salverebbe.
#29 Palladino (643) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:58 scrive:
...l'unto del Signore esce dal suo albergo alle 10,45. La maggior parte degli italiani a quell'ora ha già lavorato tre ore. Mi sembra che questo Monti se la prenda con comodo,ma non dovevamo fare in fretta. Signori è tutta una grande fregatura, il vero leader è il comunista Napolitano. Questo algido stoccafisso non risolverà un bel niente. Anzi riuscirà ad aggravare la situazione.
#28 Trasimacus (23) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:57 scrive:
Ornaghi all'Università: il prezzo pagato da Monti a una delle più potenti lobby che ha brigato per rimuovere Berlusconi e per piazzare un altro al suo posto: il VATICANO! E' scandaloso (ripeto: scandaloso) che il Rettore di una Università privata sia nominato ministro dell'Università pubblica. I sinistri e sinistrati sostenitori di Monti hanno di che meditare...
#27 Snoopy59 (486) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:57 scrive:
Ornaghi!!?? Non c'è che dire il monti ridens sta mettendo su una bella squadra forse per vincere il torneo di briscola. Meno male che in Italia c'è molta terra incolta...la cicoria è assicurata.
#26 Snoopy59 (486) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:49 scrive:
Catricalà e passera ....sarebbero stati più idonei Greggio e iacchetti almeno questi in qualche modo fanno ridere. Certo che se le risorse umane a disposizione del neo salvatore della patria sono come questi due siamo messi proprio bene!
#24 renzokiwi (203) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:41 scrive:
Dal Pdl e PD: Monti può farcela solo se non tocca gli Ordini professionali, quelli che pagano le tasse. 27 sono gli ordini professionali due milioni di persone protetti da caste che l’Europa eliminerà. Monti: La lista dei ministri è quasi pronta e ogni ceto sociale avrà i suoi rappresentanti Artigiani e Operai quelli che mantengono tutti pagando le tasse entreranno in parlamento x le pulizie.
#17 MMARTILA (1516) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:15 scrive:
"Ha lasciato l'hotel alle 10:45" ... beh, per essere uno che dice esserci tanto da lavorare se l'è presa comoda, il signorino! Va bene che guadagna poco, solo 25.000 miseri euro al mese.
#16 perSilvio46 (215) - lettore
il 16.11.11 alle ore 12:04 scrive:
Lacrime e sangue per i cittadini, pensioni mai più, banche sugli scudi. Il bello che non servirà a niente. Il problema, E LO DICONO A CHIARE LETTERE OBAMA E MERKEL, non è SE l'Italia fallirà, ma QUANDO. Ed il QUANDO dipende dagli accordi di spartizione che i due stanno facendo. Certi settori sono strategici per gli USA (Libia ecc.) mentre la Merkel ha un approccio diverso e vede l'Italia nel suo complesso come un Gau da gestire sia come località di svago (litorale adriatico) sia come mercato condizionato. Soluzione ? bruciarli sul tempo e dichiarare SUBITO default, qualcosa si salverebbe.
per un'epistemologia di fabio volo 2
qui la prima parte dell'epistemologia di fabio volo
Il tema “Fabio Volo” è declassante dal punto di vista animale, una punizione all’esistenza e, alla base, una questione di cattivo decoro mentale.
I suoi adepti radunano i suoi frammenti alla maniera di un presocratico e li rimbalzano fra internet, spiagge, annotazioni diaristiche per anime che puzzano di evidenziatore e brillantini.
Come un elisir di eterna adolescenza, Fabio Volo è la sostanza dell’estate fra la seconda e la terza media, quando i peli pubici di tutti volgono verso una stabile fioritura in maniera inversamente proporzionale all’instabilità emotiva e rincoglionita di chi ha perso tutte le qualità del bambino e, per una congiura della fretta di esistere, ha tutti i difetti dell’adulto.
In termini analitici, è inesatto, come spesso si dice, che Fabio Volo scriva ovvietà: le sue sono distorsioni dell’ovvietà, sono il perdere di senso dell’ovvietà che, in quanto tale, è talmente sensata da non aver bisogno di essere proliferata, ripetuta. Invece è proprio nella testamentarietà scialba e stucchevole del primo sentire di chiunque, che Fabio Volo assume in sé il compito di portavoce. Ecco che la solitudine infima e bastarda di chi non è solito farsi troppe domande – malattia peraltro socialmente contagiosa – trova in lui la perfetta medicina. Ecco il maniacale sillogismo: dato che tutti siamo uguali nel nostro più basilare approccio a qualsiasi cosa, perché lui ce lo dice, e lo dice sempre riferendosi in prima persona, tutti siamo lui. Ergo, lui è tutti. La gigantografia del vuoto.
“Non stai vivendo se non sai di vivere”
“Sono sempre stato una persona malinconica con la vocazione di essere una persona allegra”
“Lei era l’emozione della mia giornata”
“Ciò che dai è tuo per sempre”
Fabio Volo è l’eccezione che conferma la regola per la sacralità della libertà di pensiero, il codice segreto per fare esplodere Voltaire; Fabio Volo è il gradino letterario sotto il bacio Perugina e il gradino sdrucciolevole sopra il plauso di chi lo gradisce; con lui si sarebbero preferite le guerre alle olimpiadi e molto probabilmente Gandhi non avrebbe mai sentito il bisogno di essere se stesso.
“Ho pensato che se un’emozione la senti, conviene viverla”
“E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità”
“Vorrei che anche nella vita e non solo in strada ci fossero i segnali, per sapere quando proseguire, quando girare o quando dare la precedenza…”
I punti di sospensione, le inutili congiunzioni all’inizio delle frasi legano e slegano da ogni vincolo razionale il linguaggio, non riuscendo nemmeno a presentarsi per la bellezza del suono: la comunicazione diventa una forma di superstizione che la stupidità fa con se stessa; la sentenza “voliana” è il paradigma dell’insulso che ha bisogno di essere comunicato e condiviso per essere redento, senza mai riuscire appunto a redimersi: la totale assenza della qualità del gioco nonsense glielo impedisce, data la serietà con cui tutto ambisce in lui a costare intorno ai nove euro ancor prima di potersi permettere qualsiasi autoironia.
Tutto in lui ha l’estenuante puzza di scopate fatte grazie a un Siddharta di Herman Hesse fermo a pagina 24 sul comodino con un Buddha Bar in filodiffusione in un loft; Fabio Volo è il tizio che invita una strafica a una cena macrobiotica per fare colpo su di lei parlando di grigliate e di quanto fa schifo la cucina macrobiotica; Fabio Volo è il ragazzo degli anni ’80 che ha capito dal ragazzo anni ’70 che bisogna prendere tutto alla leggera fino al punto di diventare pesanti nel manifestarlo; Fabio Volo è il tizio al pub che beve come te e che ti dice che bevi tanto, o troppo, perché dato che dici meno stronzate, finisci prima di lui il bicchiere; Fabio Volo è il tizio che mentre fai un discorso profondo, tira fuori al massimo Milan Kundera; Fabio Volo è quel tipo di persona che ama il calcio con gli amici con rotti e birra ma che a tavola con donne ne parla solo male facendo allusioni ad infanzie passate a cogliere i fiori; Fabio Volo è l’italiano che all’estero si galvanizza quando sente qualcuno parlare italiano per strada e sgomita con la fidanzata per farglielo notare; Fabio Volo è il souvenir estivo del mare che a settembre è kitsch pur essendolo sempre stato; Fabio Volo non sarà mio figlio.
Fabio Volo è probabilmente l’unica persona felice del mondo e l’unico ad aver capito che non serve capire. Speriamo di no.
Simon F. Di Rupo
Il tema “Fabio Volo” è declassante dal punto di vista animale, una punizione all’esistenza e, alla base, una questione di cattivo decoro mentale.
I suoi adepti radunano i suoi frammenti alla maniera di un presocratico e li rimbalzano fra internet, spiagge, annotazioni diaristiche per anime che puzzano di evidenziatore e brillantini.
Come un elisir di eterna adolescenza, Fabio Volo è la sostanza dell’estate fra la seconda e la terza media, quando i peli pubici di tutti volgono verso una stabile fioritura in maniera inversamente proporzionale all’instabilità emotiva e rincoglionita di chi ha perso tutte le qualità del bambino e, per una congiura della fretta di esistere, ha tutti i difetti dell’adulto.
In termini analitici, è inesatto, come spesso si dice, che Fabio Volo scriva ovvietà: le sue sono distorsioni dell’ovvietà, sono il perdere di senso dell’ovvietà che, in quanto tale, è talmente sensata da non aver bisogno di essere proliferata, ripetuta. Invece è proprio nella testamentarietà scialba e stucchevole del primo sentire di chiunque, che Fabio Volo assume in sé il compito di portavoce. Ecco che la solitudine infima e bastarda di chi non è solito farsi troppe domande – malattia peraltro socialmente contagiosa – trova in lui la perfetta medicina. Ecco il maniacale sillogismo: dato che tutti siamo uguali nel nostro più basilare approccio a qualsiasi cosa, perché lui ce lo dice, e lo dice sempre riferendosi in prima persona, tutti siamo lui. Ergo, lui è tutti. La gigantografia del vuoto.
“Non stai vivendo se non sai di vivere”
“Sono sempre stato una persona malinconica con la vocazione di essere una persona allegra”
“Lei era l’emozione della mia giornata”
“Ciò che dai è tuo per sempre”
Fabio Volo è l’eccezione che conferma la regola per la sacralità della libertà di pensiero, il codice segreto per fare esplodere Voltaire; Fabio Volo è il gradino letterario sotto il bacio Perugina e il gradino sdrucciolevole sopra il plauso di chi lo gradisce; con lui si sarebbero preferite le guerre alle olimpiadi e molto probabilmente Gandhi non avrebbe mai sentito il bisogno di essere se stesso.
“Ho pensato che se un’emozione la senti, conviene viverla”
“E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità”
“Vorrei che anche nella vita e non solo in strada ci fossero i segnali, per sapere quando proseguire, quando girare o quando dare la precedenza…”
I punti di sospensione, le inutili congiunzioni all’inizio delle frasi legano e slegano da ogni vincolo razionale il linguaggio, non riuscendo nemmeno a presentarsi per la bellezza del suono: la comunicazione diventa una forma di superstizione che la stupidità fa con se stessa; la sentenza “voliana” è il paradigma dell’insulso che ha bisogno di essere comunicato e condiviso per essere redento, senza mai riuscire appunto a redimersi: la totale assenza della qualità del gioco nonsense glielo impedisce, data la serietà con cui tutto ambisce in lui a costare intorno ai nove euro ancor prima di potersi permettere qualsiasi autoironia.
Tutto in lui ha l’estenuante puzza di scopate fatte grazie a un Siddharta di Herman Hesse fermo a pagina 24 sul comodino con un Buddha Bar in filodiffusione in un loft; Fabio Volo è il tizio che invita una strafica a una cena macrobiotica per fare colpo su di lei parlando di grigliate e di quanto fa schifo la cucina macrobiotica; Fabio Volo è il ragazzo degli anni ’80 che ha capito dal ragazzo anni ’70 che bisogna prendere tutto alla leggera fino al punto di diventare pesanti nel manifestarlo; Fabio Volo è il tizio al pub che beve come te e che ti dice che bevi tanto, o troppo, perché dato che dici meno stronzate, finisci prima di lui il bicchiere; Fabio Volo è il tizio che mentre fai un discorso profondo, tira fuori al massimo Milan Kundera; Fabio Volo è quel tipo di persona che ama il calcio con gli amici con rotti e birra ma che a tavola con donne ne parla solo male facendo allusioni ad infanzie passate a cogliere i fiori; Fabio Volo è l’italiano che all’estero si galvanizza quando sente qualcuno parlare italiano per strada e sgomita con la fidanzata per farglielo notare; Fabio Volo è il souvenir estivo del mare che a settembre è kitsch pur essendolo sempre stato; Fabio Volo non sarà mio figlio.
Fabio Volo è probabilmente l’unica persona felice del mondo e l’unico ad aver capito che non serve capire. Speriamo di no.
Simon F. Di Rupo
martedì 15 novembre 2011
Perché i precari votano a destra. E i pensionati centrosinistra
Berlusconi sembra essere andato via, ma ha lasciato alcune domande senza risposta. I suo potere quasi ventennale è stato il frutto dell’abilità diabolica del singolo o l’espressione di fenomeni sociali? Perché il precariato non esprime una rappresentanza politica di sinistra? Il voto dipende ancora dalla classe sociale di appartenenza?
A Firenze incontriamo Vincenzo Emanuele, ricercatore presso la locale Università, che da anni studia i flussi elettorali. Nel 2010 ha curato l’indagine Dimensione demografica e variabili sociali nell’Italia, oggi fa parte dell’equipe del Cise (Centro italiano studi elettorali, frutto di una partnership con la Luiss). L’istituto - tramite un sondaggio – sta provando ad anticipare il prossimo risultato elettorale. Il suo è un punto di vista privilegiato per comprendere il dopo Berlusconi oltre i luoghi comuni.
«Le dinamiche sociali sono fenomeni di lungo periodo– ci spiega –. Stiamo studiando le correlazioni tra macrovariabili e preferenze elettorali». La più importante è il collegamento tra classe sociale di appartenenza e preferenza elettorale. Gli occupati sono divisi in cinque gruppi: dirigenti e liberi professionisti (identificabili come “borghesia”), insegnanti e impiegati (la “classe media impiegatizia”), imprenditori, commercianti e lavoratori autonomi (“piccola borghesia urbana”), operai (la “classe operaia”) e gli atipici.
Il voto è influenzato dalla dicotomia tra rischio e garanzia. Già uno studio del 2008 di Luca Ricolfi (“Perchè le sinistre hanno perso”) dimostrava che guardano a sinistra i pensionati, i dipendenti pubblici, i dipendenti privati con contratto a tempo indeterminato, i laureati e i diplomati, gli studenti. I gruppi che preferiscono la coalizione di Berlusconi sono le casalinghe, gli autonomi, i giovani che lavorano, i precari, i disoccupati, le persone con meno anni di studio. Si tratta di due Italie contrapposte, annota Ricolfi, in cui la frattura fondamentale non è tra alto e basso, ma essenzialmente fra garantiti e non garantiti, come aveva intuito già trent’anni fa Asor Rosa: chi è dentro la società delle garanzie guarda al Pd, chi nuota nel rischio guarda al Pdl.
L’analisi sul precariato è troppo spesso limitata alla lamentela sulla condizione dei “giovani” e all’ipocrisia di chi non riconosce che si tratta di un dato strutturale, anche perché praticato da tutti, compresi sindacati e partiti di sinistra. Più che di precarizzazione bisognerebbe parlare di “autonomizzazione” del lavoro. Lavoratori con contratti brevissimi, dipendenti costretti ad aprirsi la partita Iva, impiegati con progetti che mascherano la subordinazione non temono il licenziamento perché non hanno mai avuto una vera assunzione. Vivono gomito a gomito con garantiti meno preparati, meno impegnati ma più tutelati, realizzando che neppure col pensionamento li sostituiranno. Si “autorappresentano” sempre più come autonomi. E come tali guardano alla destra degli “imprenditori” e con fastidio alla sinistra delle tasse (che non si traducono né in welfare, né in servizi, né in maggiori garanzie).
Un discorso a parte merita il voto operaio. La ricerca, come del resto molte altre, indica che una grande quantità di consenso è stata dirottata dai partiti della sinistra alla Lega. La spiegazione è molto semplice. I lavoratori hanno visto come un pericolo reale le delocalizzazioni e l’uso della forza lavoro straniera per comprimere diritti e garanzie, in particolare attraverso l’uso di esternalizzazioni. Un processo molto lungo, frenato solo dalla presenza del sindacato in fabbrica, generalmente ignorato dalla sinistra “antirazzista” che nel frattempo si consolava con il luogo comune del “fanno i lavori che gli italiani non fanno più”.
Incrociando le varie categorie, si scopre che le grandi città tendono a votare a sinistra, i piccoli centri a destra; l’Udc è forte soprattutto al Sud e le casalinghe prediligono Berlusconi. Fin qui tutto abbastanza ovvio. Sorprende invece che la grande borghesia (anche questa una sfera di garantiti) voti anche a sinistra mentre i disoccupati a destra. I pensionati, come detto, a sinistra. E sono una parte consistente dell’elettorato, forse la vera base sociale del centro-sinistra. I laureati votano tendenzialmente a sinistra. Gli studenti sono decisamente più attratti dai partiti minori, molti lavoratori classificati come atipici votano i partiti estremi, di destra e di sinistra.
Il potere berlusconiano è stato raccontato dai suoi detrattori all’interno del modello di “narrazione emotiva” (una tecnica spiegata bene da Daniele Luttazzi nel suo La guerra civile fredda). Ovvero la storia di un malfattore che entra in politica e crea un partito di plastica dal nulla, solo per salvare le sue aziende. C’è del vero, ma non spiega tutto. A parte la campagna del Pdl (la prima con un simbolo senza il nome di Berlusconi) che sembra stia andando sì benissimo, ma sul cui tesseramento ci sono comunque non pochi dubbi. E, soprattutto, non spiega che, proprio nel momento in cui sono tornati alla ribalta i temi del lavoro, la sinistra è uscita dal Parlamento.
Evidentemente si è persa la capacità di analizzare le dinamiche sociali limitandosi a raccontare la soap opera nella versione del cattivo, mentre Berlusconi raccontava la sua narrazione emotiva (l’uomo di successo che scende in campo e affronta i giudici comunisti) al pubblico di Retequattro e ai lettori di Chi, magazine di fascia bassa ma dalle altissime tirature che nel corso degli anni ha trasformato ministri anonimi in personaggi interessanti quanto attrici e calciatori. A questo ha aggiunto “narrazioni” provenienti dalla destra americana: dalla sindrome della sicurezza (spalleggiato dalla Lega) alla shock economy all’italiana, trasformando i disastri e l’inefficienza (spazzatura, alluvioni, terremoti) in occasioni di crescita della popolarità e arricchimento della “cricca”. Base sociale e tecniche di comunicazione bastano a creare un potere duraturo. Già negli anni ’90 Berlusconi aveva intuito che l’estensione dell’area di lavoro autonomo creava sempre più spazio per la destra, area politica che fino a quel momento era limitata all’estremismo neofascista.
La domanda – a questo punto – è molto semplice. La sinistra si limiterà a gestire gli spazi della garanzia (modello Bersani)? Proverà a erodere gli spazi della destra (modello Renzi)? Riuscirà a pensare un “autonomo” di sinistra?
http://www.linkiesta.it/perche-i-precari-votano-destra-e-i-pensionati-centrosinistra
A Firenze incontriamo Vincenzo Emanuele, ricercatore presso la locale Università, che da anni studia i flussi elettorali. Nel 2010 ha curato l’indagine Dimensione demografica e variabili sociali nell’Italia, oggi fa parte dell’equipe del Cise (Centro italiano studi elettorali, frutto di una partnership con la Luiss). L’istituto - tramite un sondaggio – sta provando ad anticipare il prossimo risultato elettorale. Il suo è un punto di vista privilegiato per comprendere il dopo Berlusconi oltre i luoghi comuni.
«Le dinamiche sociali sono fenomeni di lungo periodo– ci spiega –. Stiamo studiando le correlazioni tra macrovariabili e preferenze elettorali». La più importante è il collegamento tra classe sociale di appartenenza e preferenza elettorale. Gli occupati sono divisi in cinque gruppi: dirigenti e liberi professionisti (identificabili come “borghesia”), insegnanti e impiegati (la “classe media impiegatizia”), imprenditori, commercianti e lavoratori autonomi (“piccola borghesia urbana”), operai (la “classe operaia”) e gli atipici.
Il voto è influenzato dalla dicotomia tra rischio e garanzia. Già uno studio del 2008 di Luca Ricolfi (“Perchè le sinistre hanno perso”) dimostrava che guardano a sinistra i pensionati, i dipendenti pubblici, i dipendenti privati con contratto a tempo indeterminato, i laureati e i diplomati, gli studenti. I gruppi che preferiscono la coalizione di Berlusconi sono le casalinghe, gli autonomi, i giovani che lavorano, i precari, i disoccupati, le persone con meno anni di studio. Si tratta di due Italie contrapposte, annota Ricolfi, in cui la frattura fondamentale non è tra alto e basso, ma essenzialmente fra garantiti e non garantiti, come aveva intuito già trent’anni fa Asor Rosa: chi è dentro la società delle garanzie guarda al Pd, chi nuota nel rischio guarda al Pdl.
L’analisi sul precariato è troppo spesso limitata alla lamentela sulla condizione dei “giovani” e all’ipocrisia di chi non riconosce che si tratta di un dato strutturale, anche perché praticato da tutti, compresi sindacati e partiti di sinistra. Più che di precarizzazione bisognerebbe parlare di “autonomizzazione” del lavoro. Lavoratori con contratti brevissimi, dipendenti costretti ad aprirsi la partita Iva, impiegati con progetti che mascherano la subordinazione non temono il licenziamento perché non hanno mai avuto una vera assunzione. Vivono gomito a gomito con garantiti meno preparati, meno impegnati ma più tutelati, realizzando che neppure col pensionamento li sostituiranno. Si “autorappresentano” sempre più come autonomi. E come tali guardano alla destra degli “imprenditori” e con fastidio alla sinistra delle tasse (che non si traducono né in welfare, né in servizi, né in maggiori garanzie).
Un discorso a parte merita il voto operaio. La ricerca, come del resto molte altre, indica che una grande quantità di consenso è stata dirottata dai partiti della sinistra alla Lega. La spiegazione è molto semplice. I lavoratori hanno visto come un pericolo reale le delocalizzazioni e l’uso della forza lavoro straniera per comprimere diritti e garanzie, in particolare attraverso l’uso di esternalizzazioni. Un processo molto lungo, frenato solo dalla presenza del sindacato in fabbrica, generalmente ignorato dalla sinistra “antirazzista” che nel frattempo si consolava con il luogo comune del “fanno i lavori che gli italiani non fanno più”.
Incrociando le varie categorie, si scopre che le grandi città tendono a votare a sinistra, i piccoli centri a destra; l’Udc è forte soprattutto al Sud e le casalinghe prediligono Berlusconi. Fin qui tutto abbastanza ovvio. Sorprende invece che la grande borghesia (anche questa una sfera di garantiti) voti anche a sinistra mentre i disoccupati a destra. I pensionati, come detto, a sinistra. E sono una parte consistente dell’elettorato, forse la vera base sociale del centro-sinistra. I laureati votano tendenzialmente a sinistra. Gli studenti sono decisamente più attratti dai partiti minori, molti lavoratori classificati come atipici votano i partiti estremi, di destra e di sinistra.
Il potere berlusconiano è stato raccontato dai suoi detrattori all’interno del modello di “narrazione emotiva” (una tecnica spiegata bene da Daniele Luttazzi nel suo La guerra civile fredda). Ovvero la storia di un malfattore che entra in politica e crea un partito di plastica dal nulla, solo per salvare le sue aziende. C’è del vero, ma non spiega tutto. A parte la campagna del Pdl (la prima con un simbolo senza il nome di Berlusconi) che sembra stia andando sì benissimo, ma sul cui tesseramento ci sono comunque non pochi dubbi. E, soprattutto, non spiega che, proprio nel momento in cui sono tornati alla ribalta i temi del lavoro, la sinistra è uscita dal Parlamento.
Evidentemente si è persa la capacità di analizzare le dinamiche sociali limitandosi a raccontare la soap opera nella versione del cattivo, mentre Berlusconi raccontava la sua narrazione emotiva (l’uomo di successo che scende in campo e affronta i giudici comunisti) al pubblico di Retequattro e ai lettori di Chi, magazine di fascia bassa ma dalle altissime tirature che nel corso degli anni ha trasformato ministri anonimi in personaggi interessanti quanto attrici e calciatori. A questo ha aggiunto “narrazioni” provenienti dalla destra americana: dalla sindrome della sicurezza (spalleggiato dalla Lega) alla shock economy all’italiana, trasformando i disastri e l’inefficienza (spazzatura, alluvioni, terremoti) in occasioni di crescita della popolarità e arricchimento della “cricca”. Base sociale e tecniche di comunicazione bastano a creare un potere duraturo. Già negli anni ’90 Berlusconi aveva intuito che l’estensione dell’area di lavoro autonomo creava sempre più spazio per la destra, area politica che fino a quel momento era limitata all’estremismo neofascista.
La domanda – a questo punto – è molto semplice. La sinistra si limiterà a gestire gli spazi della garanzia (modello Bersani)? Proverà a erodere gli spazi della destra (modello Renzi)? Riuscirà a pensare un “autonomo” di sinistra?
http://www.linkiesta.it/perche-i-precari-votano-destra-e-i-pensionati-centrosinistra
lunedì 14 novembre 2011
Silvio Berlusconi 1994-2011 remix
Non entrerò mai in politica. Scendo in campo. Il Paese che amo. Per un nuovo miracolo italiano. L’Italia come il Milan. Basta ladri di Stato. La rivoluzione liberale. Il Polo delle Libertà. Il decreto Biondi. Vendo le mie tv. Golpe giudiziario. Giuro sulla testa dei miei figli. Lasciatemi lavorare. Sono l’unto del Signore. Ribaltone. Scalfaro è comunista. Con Bossi mai più nemmeno un caffè. Mai detto che sono l’Unto del Signore. Dini è comunista. Il popolo è con me. Prodi utile idiota dei comunisti. Visco Dracula. Toghe rosse. D’Alema è comunista. L’amico Massimo. La Costituzione è comunista. La grande riforma della Costituzione. La Casa delle Libertà. Il premier non ha poteri. La grande riforma della giustizia. L’amico Vladimir. L’amico George. L’amico Muammar. Gheddafi leader di libertà. Nessun condono. Concordato fiscale. Scudo fiscale. Condono fiscale ed edilizio.
Letta è una benedizione di Dio. Romolo e Remolo. All Iberian mai sentita. Mills mai conosciuto. La proporrò per il ruolo di kapò. Turisti della democrazia. L’Islam civiltà inferiore. Meno tasse per tutti. Tutta colpa dell’euro. La mafia, poche centinaia di persone. Grandi opere. Sono stato frainteso. Tutta colpa delle torri gemelle. Lei è meglio di Cacciari, le presenterò mia moglie. Il circuito mediatico-giudiziario. Fede è un quasi eroe. L’amico Bossi. Uso criminoso della televisione pagata con i soldi di tutti. L’amico Pollari. Le rogatorie. La Piovra rovina l’Italia all’estero. L’amico Pompa. Il falso in bilancio. Mangano si comportava bene, prendeva la comunione nella cappella di Arcore. La legge Cirami. Dell’Utri è perseguitato. Legittimo sospetto. Previti è perseguitato. Il lodo Maccanico. Il Ponte sullo Stretto. Il lodo Schifani. Tutti sono uguali di fronte alla legge, ma io sono un po’ più uguale degli altri. Ciampi è comunista. Il decreto salva-Rete4. I poteri forti. La legge Gasparri. L’Economist è comunista. Che ne direbbe di una ciulatina? I direttori dei giornali devono cambiare mestiere. Bertolaso uomo della Provvidenza. La legge Cirielli. Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, anzi mandava la gente in vacanza al confino. Sempre stato assolto. La stampa estera copia da Unità e Repubblica. Napolitano è comunista. Giustizia a orologeria. L’amico Minzo. I giudici sono matti, antropologicamente diversi dal resto della razza umana.Telekom Serbia è tutta una tangente.
I brogli di Prodi. La commissione Mitrokhin. La giusta amnistia. I comunisti cinesi bollivano i bambini per farne concime. Farò sparire la spazzatura da Napoli in tre giorni. Ho 109 processi. Sarkozy ha imparato da me. Chi scrive di mafia lo strangolerei con le mie mani. Il Popolo delle Libertà. Obama abbronzato. Il miracolo della ricostruzione dell’Aquila. Evadere è un diritto naturale che è nel cuore degli uomini. Ai giudici noi insidiamo le mogli, siamo dei tombeur de femmes. Il Family Day. Che fate, ragazze, mi toccate il culo? Mille giudici si occupano di me. Agostino,trova una parte ad Antonella:è impazzita, racconta cose in giro. Lodo Alfano. La Consulta è comunista. Legittimo impedimento. Partito dell’Amore e sinistra dell’odio. Il padre di Noemi autista di Craxi. Prescrizione breve. Mai frequentato minorenni. Le mani nelle tasche degli italiani. La signora Lario mente. Processo breve. Vedi, Patrizia, tu devi toccarti. La privacy. Processo lungo. Candido Lampedusa al Nobel per la Pace. Caro dottor Fede, cioè volevo dire Vespa. Ruby nipote di Mubarak. Non chiamo Gheddafi per non disturbarlo. La legge anticorruzione. La mia fidanzatina. Siamo tutti intercettati. Solo cene eleganti. Riformare le intercettazioni. Pagavo Ruby perchè non si prostituisse. La rapina Mondadori. L’amico Lavitola. Me ne vado da questo Paese di merda. Il miglior premier degli ultimi 150 anni. Culona inchiavabile. L’amico Gianpi.Faccio il premier a tempo perso. La maggioranza è coesa. Ho i numeri alla Camera. Traditori.
domenica 13 novembre 2011
punti di vista
E' chiaro che fra un Umberto Veronesi padre di 7 (sette) figli, salvatore di vite, ma favorevole all'aborto e all'eutanasia, ed un Giuliano Ferrara ex comunista, senza figli, che non ha fatto nulla per l'umanità e ha beneficiato di 3 aborti, e (si dice) anche pederasta, ma contrario ad eutanasia e aborto, un cattolico convinto sceglie Giuliano Ferrara.
sabato 12 novembre 2011
venerdì 11 novembre 2011
Ibrahimovic, Moggi e Mino Raiola
Portarmi a Torino non sarebbe stato semplice. Io e Mino Raiola riuscimmo a incontrare Moggi in segreto una mezz’ora a Montecarlo, durante il Gran Premio di Monaco di Formula Uno, suppongo fosse lì per affari. Dovevamo vederci in una saletta vip dell’aeroporto, ma c’era un traffico pazzesco e non riuscivamo ad avanzare con la macchina. Fummo costretti a scendere e a correre, e Mino non si può definire un grande atleta. È un ciccione. Ansimava ed era fradicio di sudore. Non si era certo fatto bello per l’incontro: indossava degli shorts hawaiani, una maglietta Nike e scarpe da jogging senza calze, e ormai era completamente zuppo. Arrivammo nella famosa saletta vip dell’aeroporto e lì dentro c’era fumo dappertutto. Luciano Moggi, in un completo elegantissimo, era alle prese con un grosso sigaro; si capiva subito che era un individuo di potere. Era abituato che la gente facesse come diceva lui. Fissò Mino: «Ma come ti sei conciato?». «Sei qui per dare consigli di stile o per parlare di affari?» sibilò Mino di rimando, e fu lì che tutto cominciò.
Ibra ripercorre parole, frasi e momenti che lo portarono a rompere il suo rapporto con Pepp Guardiola, nel corso della sua biografia di cui stanno uscendo della anticipazioni attraverso il principale quotidiano svedese Aftonbladet (che ha pubblicato in primo capitolo in esclusiva).
"Bollivo dentro, chiamavo i miei amici di Malmoe e qualcuno si era anche offerto di darmi una mano fisicamente, ma non era la soluzione migliore..." scherza Zlatan. Che attribuisce a Leo Messi la colpa dei suoi problemi con Pepp. A suo dire infatti le cose erano partite nel modo giusto. Poi però l'argentino "ha cominciato a parlare, chiedendo un altro ruolo, le cose sono cambiate e Guardiola ha preferito accontentare lui".
A quel punto lo svedese chiese un incontro in cui gli disse: "Sono una Ferrari, ma mi guidi come fossi una Fiat". Parole forti per cercare di fargli capire il suo disagio. Invece da quel momento il tecnico catalano non gli rivolse nemmeno più lo sguardo. Thierry Henry, che aveva capito, una volta gli chiede scherzando sull’allenatore: ”Ciao Zlatan, ti ha guardato oggi?”. Ibra risponde: ”No, ma l’ho visto da dietro”. Il francese chiude: ”Auguri, le cose stanno migliorando!”. Un rapporto che comunque era partito male anche quando al primo incontro il tecnico gli disse che "nel Barcellona bisogna rimanere coi piedi per terra" spiegando il fastidio nel vedere giocatori che vanno all'allenamento in Porsche o Ferrari. Lo spogliatoio del Barça? Composto da studenti che non osavano disubbidire: "Io invece sono un ragazzo a cui piacciono i tipi che passano col rosso. Là diventavo troppo buono".
Ibra si lascia andare anche a rivelazioni personali: ”Guido sempre come un pazzo. Ho guidato a 325 chilometri all’ora, lasciandomi dietro la polizia. Ho fatto così tante cazzate che non oso pensarci”,. Una volta in Spagna, dopo una nevicata, ammette di essere andato a sbattere contro un muro.
Ibra ripercorre parole, frasi e momenti che lo portarono a rompere il suo rapporto con Pepp Guardiola, nel corso della sua biografia di cui stanno uscendo della anticipazioni attraverso il principale quotidiano svedese Aftonbladet (che ha pubblicato in primo capitolo in esclusiva).
"Bollivo dentro, chiamavo i miei amici di Malmoe e qualcuno si era anche offerto di darmi una mano fisicamente, ma non era la soluzione migliore..." scherza Zlatan. Che attribuisce a Leo Messi la colpa dei suoi problemi con Pepp. A suo dire infatti le cose erano partite nel modo giusto. Poi però l'argentino "ha cominciato a parlare, chiedendo un altro ruolo, le cose sono cambiate e Guardiola ha preferito accontentare lui".
A quel punto lo svedese chiese un incontro in cui gli disse: "Sono una Ferrari, ma mi guidi come fossi una Fiat". Parole forti per cercare di fargli capire il suo disagio. Invece da quel momento il tecnico catalano non gli rivolse nemmeno più lo sguardo. Thierry Henry, che aveva capito, una volta gli chiede scherzando sull’allenatore: ”Ciao Zlatan, ti ha guardato oggi?”. Ibra risponde: ”No, ma l’ho visto da dietro”. Il francese chiude: ”Auguri, le cose stanno migliorando!”. Un rapporto che comunque era partito male anche quando al primo incontro il tecnico gli disse che "nel Barcellona bisogna rimanere coi piedi per terra" spiegando il fastidio nel vedere giocatori che vanno all'allenamento in Porsche o Ferrari. Lo spogliatoio del Barça? Composto da studenti che non osavano disubbidire: "Io invece sono un ragazzo a cui piacciono i tipi che passano col rosso. Là diventavo troppo buono".
Ibra si lascia andare anche a rivelazioni personali: ”Guido sempre come un pazzo. Ho guidato a 325 chilometri all’ora, lasciandomi dietro la polizia. Ho fatto così tante cazzate che non oso pensarci”,. Una volta in Spagna, dopo una nevicata, ammette di essere andato a sbattere contro un muro.
giovedì 10 novembre 2011
+ spritz - spread
Il piano di Berlusconi per ridurre lo spread è chiaro e si articola in tre punti:
1) come già anticipato a Cannes con la dichiarazione che i ristoranti sono sempre pieni, parte del debito pubblico verrà convertito in ticket restaurants e buoni pizza (i buoni pizza per i tedeschi);
2) il resto del debito pubblico verrà comprato dalla Mafia a fini di riciclaggio;
3) per garantire il successo delle 2 operazioni succitate verrà inviato Jovanotti con i bonghi dalla Merkel a cantare cancella il debito! cancella il debito! fino a che non si convince
1) come già anticipato a Cannes con la dichiarazione che i ristoranti sono sempre pieni, parte del debito pubblico verrà convertito in ticket restaurants e buoni pizza (i buoni pizza per i tedeschi);
2) il resto del debito pubblico verrà comprato dalla Mafia a fini di riciclaggio;
3) per garantire il successo delle 2 operazioni succitate verrà inviato Jovanotti con i bonghi dalla Merkel a cantare cancella il debito! cancella il debito! fino a che non si convince
mercoledì 9 novembre 2011
i racconti del nonno
eh sì, adesso mi vedi così, del resto per voi è tutto facile, troppo facile… io a 2 anni sono andato a fare il pastore, con mio padre e mio zio, ci siamo imbarcati a genova con tutte le pecore e abbiamo attraversato tutto l'atlantico, erano mesi duri in nave senza mai una donna, solo pecore e pecore e marinai, poi quando siamo tornati avevo 3 anni e mezzo, mi è arrivata la chiamata e sono partito per l'armir
nonno dov'è l'armir nonno?
è una regione tra la cina e l'alaska perennemente ghiacciata, noi non eravamo equipaggiati, avevamo le scarpe di pezza, le valigie di cartone, e giocavamo a pallone con delle scarpe di pezza, gli astronauti ci attaccavano con i missili laser e noi avevamo dei fucili di pezza con le pallottole di pezza, poi è finita la guerra e anche se lì in armir era pieno di fica, ma non come la fica che c'è adesso, c'erano delle fiche che ci passano dentro i treni, ma non i treni che ci sono adesso, i treni della tradotta, ma non le tradotte che ci sono adesso, che adesso traducono tutto con il computer, c'erano degli uffici di venti piani tutti pieni di traduttori, e traduttrici che erano delle gran belle fiche, io ne uscivo tre a sera, tu adesso mi vedi così come sono adesso ma io le scopavo una dietro l'altra zan zan zan e poi tornato al campo mi facevo anche una sega, poi però sono tornato a casa che c'era tua nonna ad aspettarmi, avevo 45 anni
nonno sei stato 45 anni in guerra nonno?
eh sì la guerra è finita nel 1945, non c'era più niente, per esempio novara era un quartiere di torino e c'era la menta razionata, allora ho portato tua nonna in viaggio di nozze fino a livorno a piedi, poi anche lì tua nonna allora era una gran bella donna e tutti le facevano la corte, c'era anche fernando tambroni che le faceva la corte, eravamo a genova in piazza de ferrari, allora io gli dissi tambroni tu sarai anche un gran politico ma sei anche un gran maleducato, allora lui disse adesso chiamo la polizia e io gli dissi chiama chi vuoi che io chiamo i partigiani e poi ci fu una rissa con tanti morti e comunque poi con tambroni siamo rimasti amici, lo sento ancora adesso ogni tanto.
martedì 8 novembre 2011
I piatti tipici mangiati nelle nazioni di provenienza sono sempre + delicati delle versioni che si trovano all'estero.
Un pizzaiolo di bologna a lisbona mi aveva spiegato che non avrebbe mai potuto fare la margherita, perché i locali avrebbero pensato che non era una vera pizza, per loro la pizza deve averci sopra come mnimo il salamino piccante.
stesso discorso per gli spaghetti con le polpette o le tagliatelle alla alfredo, + diffusi all'estero che in italia.
lunedì 7 novembre 2011
per fare un esempio, si stima che tra il 75% e l'80% del pesce sia affetto da anisakis, motivo per cui non va mai mangiato crudo se non è stato sottoposto ad abbattimento della temperatura a -20° per 24 ore. e questo non vuol dire che è stato surgelato, perché si tratta appunto di un abbattimento tecnico, che ha un impatto minimo sulle caratteristiche organolettiche (il pesce è intrinsecamente meno stabile della carne in caso di congelamento, per cui anche se la carica batterica rimane bassa, gusto e consistenza vengono compromessi in breve tempo).
strong buy #dimissioni berlusconi
la defezione di gabriella carlucci è un colpo da cui nemmeno un titano come berlusconi può risollevarsi.
in questo momento è in corso un vertice ad arcore con i capi mediaset per decidere il da farsi.
giuliano ferrara, presente all'incontro, ha già dichiarato che berlusconi si dimetterà domani.
il gabibbo invece non rilascia dichiarazioni.
peraltro, protezione civile, polizia e militari impegnati nell'alluvione, luna oscurata dal cielo coperto, sciopero dei benzinai alle porte, questa sera è perfetta x un colpo di stato
in questo momento è in corso un vertice ad arcore con i capi mediaset per decidere il da farsi.
giuliano ferrara, presente all'incontro, ha già dichiarato che berlusconi si dimetterà domani.
il gabibbo invece non rilascia dichiarazioni.
peraltro, protezione civile, polizia e militari impegnati nell'alluvione, luna oscurata dal cielo coperto, sciopero dei benzinai alle porte, questa sera è perfetta x un colpo di stato
rivoluzione borghese
La classe borghese offre più figli di quanti sono i mestieri borghesi richiesti dal capitalismo. Questo surplus farà le rivoluzioni. Ma rivoluzioni borghesi.
domenica 6 novembre 2011
l'unica vera grandezza dei soliti idioti è aver sintetizzato le due componenti della comicità moderna, la parolaccia e il tormentone, in un unico elemento.
http://ildeboscio.com/2011/11/07/i-soliti-tormentoni/
http://ildeboscio.com/2011/11/07/i-soliti-tormentoni/
venerdì 4 novembre 2011
Il romanzo di Faletti ad Asti
Da oggi in libreria «Tre atti e due tempi» (Einaudi): la scena clou è una partita di pallone
Il (non) thriller di Faletti scopre l'America ad Asti
E questa volta a uccidere non è un serial killer
Giorgio Faletti è come Diabolik. Si mette una maschera e diventa un'altra persona. Un serial killer che vive a Montecarlo, una bellissima donna ermafrodita, un vecchio indiano navajo. Sono i personaggi dei suoi thriller venduti a milioni di copie, spesso ambientati in America, sempre pubblicati da Baldini & Castoldi.
L'inverno scorso è cambiato qualcosa in questo fortunato meccanismo. È successo che Paolo Repetti, il personaggio più adrenalinico e ansioso del mondo editoriale italiano, ha fatto a Faletti un discorso più o meno di questo tenore. «A Natale», ha detto Repetti allo scrittore, «noi di Einaudi Stile libero abbiamo sbancato in libreria con Io e te di Niccolò Ammaniti, poco più di cento pagine, mentre gli altri editori puntavano, sbagliando, su volumoni quattro o cinque volte più grossi. Piccolo è bello ed è anche bestseller. Questo ci ha fatto pensare che forse la gente è stanca di romanzi gonfiati, imbottiti di estrogeni. A Natale prossimo vorremmo riprovarci. Ci stai a scriverci una storia di massimo 120 pagine?».
«Perché no?» ha risposto Faletti. E poi se n'è tornato a casa sua ad Asti a pensarci su. Quella casa è all'ultimo piano e ha una terrazza che affaccia su una strana piazza sbilenca. Guardandola, Faletti ha avuto l'idea. Un'idea senza serial killer, senza morti ammazzati, senza poliziotti, senza America, senza New York. «E senza grattacieli perché mi sa tanto che Repetti è uno che soffre di vertigini», ha pensato, sorridendo tra sé e sé per la battuta.
Dunque, ci voleva una storia piccola e bella. Ci voleva l'atmosfera morbida e il tempo lento di una città di provincia. Una città come Asti. Sì, andava benissimo la provincia «dove tutto arriva con calma da fuori. Una volta era la ferrovia, poi sono arrivate le automobili, la televisione, l'autostrada e ora Internet». Un posto dove si vedono ancora le facce. Perché quelli di Facebook non hanno inventato niente. In provincia Facebook c'è da sempre, in carne e ossa e non virtuale. Ma sì era ora che, come il figliol prodigo, tornasse a casa e scrivesse un romanzo ambientato in una città come Asti. Questo doveva essere il posto.
E chi doveva essere il protagonista? Faletti ha cominciato a rovistare tra le sue maschere alla Diabolik e si è imbattuto in quella di tale Silver. Era lui quello giusto. Silvano Masoero, detto Silver, ex pugile, peso medio, che sembrava destinato alla gloria ma poi si è cacciato nei guai e si è fatto anche qualche anno di galera. Si è venduto, come in un racconto di Hemingway. Ma ha pagato il suo debito con la società e, uscito dal carcere, si è sposato con Elena, una brava ragazza. Ha trovato lavoro, magazziniere nella squadra di calcio della città. Una squadra che è in serie B da una vita, forse c'è sempre stata, forse ci starà per sempre. Ma a Silver non importa, tanto lui non sarà mai più uno da serie A. Silver e Elena hanno avuto un figlio. Facendo sacrifici si sono comprati una villetta a due piani con l'orto (per lui) e il giardino (per lei, che ama i fiori, soprattutto i tulipani). Poi Elena è morta. No, niente delitti, niente serial killer, si muore anche normalmente. Silver si è chiuso a riccio in se stesso mentre il figlio, diventato un mediocre giocatore di pallone, ha preso a vagare per l'Italia passando da una squadra all'altra. I rapporti tra padre e figlio, da sempre difficili, si sono allentati ulteriormente. Silver si è rifugiato nel lavoro. Tiene lo spogliatoio lindo e pinto. Magliette, calzoncini, calzettoni e scarpette disposti con ordine quasi maniacale sulle panche e negli armadietti prima della gara. Ogni mattina fa un salto al cimitero a portare tulipani freschi sulla tomba di Elena. Gli anni passano. Una mattina Silver nota, guardando il viso sereno, dolce e sorridente della moglie nella foto sulla lapide, che Elena è ormai molto più giovane di lui, che per lei il tempo si è fermato. Si sente un sopravvissuto.
Faletti si accorge di trovarsi a suo agio nei panni di Silver, come mai gli è capitato con nessun personaggio. Perciò gli presta volentieri alcuni ricordi infantili. Gli presta sua nonna mentre legge a Giorgio/Silver bambino gli albi di Nembo Kid (il nome autarchico di Superman) che la donna, poco pratica d'inglese e di lettering fumettistico, chiamava Membo Rid. Gli presta anche il ristorante dove va spesso a pranzo, il locale di Ruè dove lo trattano come a casa sua, e qui gli fa conoscere Rosa, una cameriera bella e gentile, messa a dura prova dalla vita, che ha tirato su da sola un figlio della stessa età di quello del magazziniere. Silver e Rosa prendono a uscire assieme. Il programma è sempre uguale: cinema, pizza, gelato e passeggiata al Parco Nencini. Una sera ci scappa un bacio ma non è preludio a niente. È Silver che si tira indietro. Rosa sarà la sua partner solo per pochi minuti ogni sera verso le otto quando in tv c'è il quiz della Ghigliottina, quello dove devi indovinare la parola misteriosa. A quell'ora Silver e Rosa si sentono per telefono e, ognuno seduto davanti alle rispettive tv, giocano assieme. Vince Rosa, quasi sempre.
È arrivata l'estate e Repetti entra in ansia. La battaglia di Natale in libreria si avvicina e, vista la crisi, si preannuncia più cruenta del solito. Faletti è chiuso all'Elba a lavorare. Da lì spedisce, a mano a mano che li scrive, i capitoli a Severino Cesari, il miglior editor italiano. E Cesari giura che il tono di voce di Silver Masoero, mentre narra la sua avventura, ha un ritmo che ipnotizza. Tutto sembra procedere secondo i migliori auspici ma a un editore vengono mille paure lo stesso. Un romanzo è sempre un terno al lotto. La formula magica del bestseller non è stata ancora inventata. Si brancola nel buio. Il vero thriller è pubblicarli i romanzi. Non è che Faletti scriverà un libro troppo diverso dai suoi soliti? Non è che l'aria di casa lo farà diventare troppo sentimentale, troppo letterario? Non è che finirà per dethrillerizzarsi? E poi il titolo: Tre atti e due tempi . Buono, certo. Ma i due tempi sono quelli di una partita di calcio, la sequenza clou del romanzo. E qui c'è da entrare decisamente in fibrillazione. Perché Faletti, è notorio, di calcio non capisce quasi un'acca. E poi in Italia il calcio nei romanzi proprio non va. È una di quelle cose che non sfondano presso il grande pubblico come gli editori di lungo corso sanno bene. Il calcio fa parte della lista dei tabù editoriali nazionali. Mai storie di pallone. Mai storie di pittori. Mai copertine con l'immagine di un rettile.
Intanto, nella vita, che sembrava ormai essere una resa senza condizioni, di Silvano Masoero succedono un sacco di cose. Il figlio gioca adesso nella squadra di cui il padre è magazziniere ed è diventato un campione. Ora lo chiamano il Grinta e a suon di gol ha portato la squadra quasi in serie A. È l'idolo dei tifosi tanto che non è più conosciuto come «il figlio di Silver, il pregiudicato». Adesso è Silver che è diventato «il padre del Grinta, il goleador». Resta una partita da giocare, quella decisiva per la promozione. Basterà non perderla e il sogno che tutta la città attende da decenni si realizzerà. Ma forse è più probabile che si trasformerà in un incubo perché Silver ha scoperto per caso che il figlio si è venduto la partita scommettendo sulla sconfitta della sua squadra. Il prezzo del tradimento, si sa, è fisso ormai da 1978 anni e ammonta a trenta denari che, tradotti in valuta corrente, corrispondono esattamente a trenta milioni di euro. Silver, che non vuole che il figlio commetta lo stesso suo errore, affronta il Grinta che lo gela con tre parole: «Stanne fuori, Silver». Ma Silver decide di non starne fuori. Mancano poche ore all'inizio del match. Altro che dethrillerizzazione. Qui comincia una lotta contro il tempo di una suspense nuda, cruda, insostenibile e senza bisogno di serial killer, di pistole, di estrogeni narrativi e di effetti speciali. Anche se il morto ci scapperà.
Gli scrittori sono superstiziosi, osservano rituali scaramantici ogni volta che finiscono un libro. Stephen King, che da tempo ha smesso di bere e di fumare, si concede una coppa di champagne e una sigaretta. Faletti, per vecchia consuetudine, mi manda il pdf ancora bollente. Io leggo e gli mando un sms. Stavolta il messaggino era: «Mettiti pure l'anima in pace. Ormai sei arrivato. È il tuo capolavoro. Hai scritto il tuo libro più bello». Lui ha risposto con una parola sola: «Finora». Poi credo che abbia fatto un gesto di scongiuro.
Antonio D'Orrico
http://www.corriere.it/cultura/11_novembre_04/dorrico-faletti-thriller_56c62d2c-06af-11e1-b2db-bf661a45e1f2.shtml
Il (non) thriller di Faletti scopre l'America ad Asti
E questa volta a uccidere non è un serial killer
Giorgio Faletti è come Diabolik. Si mette una maschera e diventa un'altra persona. Un serial killer che vive a Montecarlo, una bellissima donna ermafrodita, un vecchio indiano navajo. Sono i personaggi dei suoi thriller venduti a milioni di copie, spesso ambientati in America, sempre pubblicati da Baldini & Castoldi.
L'inverno scorso è cambiato qualcosa in questo fortunato meccanismo. È successo che Paolo Repetti, il personaggio più adrenalinico e ansioso del mondo editoriale italiano, ha fatto a Faletti un discorso più o meno di questo tenore. «A Natale», ha detto Repetti allo scrittore, «noi di Einaudi Stile libero abbiamo sbancato in libreria con Io e te di Niccolò Ammaniti, poco più di cento pagine, mentre gli altri editori puntavano, sbagliando, su volumoni quattro o cinque volte più grossi. Piccolo è bello ed è anche bestseller. Questo ci ha fatto pensare che forse la gente è stanca di romanzi gonfiati, imbottiti di estrogeni. A Natale prossimo vorremmo riprovarci. Ci stai a scriverci una storia di massimo 120 pagine?».
«Perché no?» ha risposto Faletti. E poi se n'è tornato a casa sua ad Asti a pensarci su. Quella casa è all'ultimo piano e ha una terrazza che affaccia su una strana piazza sbilenca. Guardandola, Faletti ha avuto l'idea. Un'idea senza serial killer, senza morti ammazzati, senza poliziotti, senza America, senza New York. «E senza grattacieli perché mi sa tanto che Repetti è uno che soffre di vertigini», ha pensato, sorridendo tra sé e sé per la battuta.
Dunque, ci voleva una storia piccola e bella. Ci voleva l'atmosfera morbida e il tempo lento di una città di provincia. Una città come Asti. Sì, andava benissimo la provincia «dove tutto arriva con calma da fuori. Una volta era la ferrovia, poi sono arrivate le automobili, la televisione, l'autostrada e ora Internet». Un posto dove si vedono ancora le facce. Perché quelli di Facebook non hanno inventato niente. In provincia Facebook c'è da sempre, in carne e ossa e non virtuale. Ma sì era ora che, come il figliol prodigo, tornasse a casa e scrivesse un romanzo ambientato in una città come Asti. Questo doveva essere il posto.
E chi doveva essere il protagonista? Faletti ha cominciato a rovistare tra le sue maschere alla Diabolik e si è imbattuto in quella di tale Silver. Era lui quello giusto. Silvano Masoero, detto Silver, ex pugile, peso medio, che sembrava destinato alla gloria ma poi si è cacciato nei guai e si è fatto anche qualche anno di galera. Si è venduto, come in un racconto di Hemingway. Ma ha pagato il suo debito con la società e, uscito dal carcere, si è sposato con Elena, una brava ragazza. Ha trovato lavoro, magazziniere nella squadra di calcio della città. Una squadra che è in serie B da una vita, forse c'è sempre stata, forse ci starà per sempre. Ma a Silver non importa, tanto lui non sarà mai più uno da serie A. Silver e Elena hanno avuto un figlio. Facendo sacrifici si sono comprati una villetta a due piani con l'orto (per lui) e il giardino (per lei, che ama i fiori, soprattutto i tulipani). Poi Elena è morta. No, niente delitti, niente serial killer, si muore anche normalmente. Silver si è chiuso a riccio in se stesso mentre il figlio, diventato un mediocre giocatore di pallone, ha preso a vagare per l'Italia passando da una squadra all'altra. I rapporti tra padre e figlio, da sempre difficili, si sono allentati ulteriormente. Silver si è rifugiato nel lavoro. Tiene lo spogliatoio lindo e pinto. Magliette, calzoncini, calzettoni e scarpette disposti con ordine quasi maniacale sulle panche e negli armadietti prima della gara. Ogni mattina fa un salto al cimitero a portare tulipani freschi sulla tomba di Elena. Gli anni passano. Una mattina Silver nota, guardando il viso sereno, dolce e sorridente della moglie nella foto sulla lapide, che Elena è ormai molto più giovane di lui, che per lei il tempo si è fermato. Si sente un sopravvissuto.
Faletti si accorge di trovarsi a suo agio nei panni di Silver, come mai gli è capitato con nessun personaggio. Perciò gli presta volentieri alcuni ricordi infantili. Gli presta sua nonna mentre legge a Giorgio/Silver bambino gli albi di Nembo Kid (il nome autarchico di Superman) che la donna, poco pratica d'inglese e di lettering fumettistico, chiamava Membo Rid. Gli presta anche il ristorante dove va spesso a pranzo, il locale di Ruè dove lo trattano come a casa sua, e qui gli fa conoscere Rosa, una cameriera bella e gentile, messa a dura prova dalla vita, che ha tirato su da sola un figlio della stessa età di quello del magazziniere. Silver e Rosa prendono a uscire assieme. Il programma è sempre uguale: cinema, pizza, gelato e passeggiata al Parco Nencini. Una sera ci scappa un bacio ma non è preludio a niente. È Silver che si tira indietro. Rosa sarà la sua partner solo per pochi minuti ogni sera verso le otto quando in tv c'è il quiz della Ghigliottina, quello dove devi indovinare la parola misteriosa. A quell'ora Silver e Rosa si sentono per telefono e, ognuno seduto davanti alle rispettive tv, giocano assieme. Vince Rosa, quasi sempre.
È arrivata l'estate e Repetti entra in ansia. La battaglia di Natale in libreria si avvicina e, vista la crisi, si preannuncia più cruenta del solito. Faletti è chiuso all'Elba a lavorare. Da lì spedisce, a mano a mano che li scrive, i capitoli a Severino Cesari, il miglior editor italiano. E Cesari giura che il tono di voce di Silver Masoero, mentre narra la sua avventura, ha un ritmo che ipnotizza. Tutto sembra procedere secondo i migliori auspici ma a un editore vengono mille paure lo stesso. Un romanzo è sempre un terno al lotto. La formula magica del bestseller non è stata ancora inventata. Si brancola nel buio. Il vero thriller è pubblicarli i romanzi. Non è che Faletti scriverà un libro troppo diverso dai suoi soliti? Non è che l'aria di casa lo farà diventare troppo sentimentale, troppo letterario? Non è che finirà per dethrillerizzarsi? E poi il titolo: Tre atti e due tempi . Buono, certo. Ma i due tempi sono quelli di una partita di calcio, la sequenza clou del romanzo. E qui c'è da entrare decisamente in fibrillazione. Perché Faletti, è notorio, di calcio non capisce quasi un'acca. E poi in Italia il calcio nei romanzi proprio non va. È una di quelle cose che non sfondano presso il grande pubblico come gli editori di lungo corso sanno bene. Il calcio fa parte della lista dei tabù editoriali nazionali. Mai storie di pallone. Mai storie di pittori. Mai copertine con l'immagine di un rettile.
Intanto, nella vita, che sembrava ormai essere una resa senza condizioni, di Silvano Masoero succedono un sacco di cose. Il figlio gioca adesso nella squadra di cui il padre è magazziniere ed è diventato un campione. Ora lo chiamano il Grinta e a suon di gol ha portato la squadra quasi in serie A. È l'idolo dei tifosi tanto che non è più conosciuto come «il figlio di Silver, il pregiudicato». Adesso è Silver che è diventato «il padre del Grinta, il goleador». Resta una partita da giocare, quella decisiva per la promozione. Basterà non perderla e il sogno che tutta la città attende da decenni si realizzerà. Ma forse è più probabile che si trasformerà in un incubo perché Silver ha scoperto per caso che il figlio si è venduto la partita scommettendo sulla sconfitta della sua squadra. Il prezzo del tradimento, si sa, è fisso ormai da 1978 anni e ammonta a trenta denari che, tradotti in valuta corrente, corrispondono esattamente a trenta milioni di euro. Silver, che non vuole che il figlio commetta lo stesso suo errore, affronta il Grinta che lo gela con tre parole: «Stanne fuori, Silver». Ma Silver decide di non starne fuori. Mancano poche ore all'inizio del match. Altro che dethrillerizzazione. Qui comincia una lotta contro il tempo di una suspense nuda, cruda, insostenibile e senza bisogno di serial killer, di pistole, di estrogeni narrativi e di effetti speciali. Anche se il morto ci scapperà.
Gli scrittori sono superstiziosi, osservano rituali scaramantici ogni volta che finiscono un libro. Stephen King, che da tempo ha smesso di bere e di fumare, si concede una coppa di champagne e una sigaretta. Faletti, per vecchia consuetudine, mi manda il pdf ancora bollente. Io leggo e gli mando un sms. Stavolta il messaggino era: «Mettiti pure l'anima in pace. Ormai sei arrivato. È il tuo capolavoro. Hai scritto il tuo libro più bello». Lui ha risposto con una parola sola: «Finora». Poi credo che abbia fatto un gesto di scongiuro.
Antonio D'Orrico
http://www.corriere.it/cultura/11_novembre_04/dorrico-faletti-thriller_56c62d2c-06af-11e1-b2db-bf661a45e1f2.shtml
The Darjeeling Limited Soundtrack 01 Where Do You Go (To My Lovely) - Peter Sarstedt
The Darjeeling Limited sarebbe un bel film, se uno pensa che è stato girato in mezza giornata
You talk like Marlene Dietrich
And you dance like Zizi Jeanmaire
Your clothes are all made by Balmain
And there's diamonds and pearls in your hair
You live in a fancy apartment
Of the Boulevard of St Michel
Where you keep your Rolling Stones records
And a friend of Sacha Distel
You go to the embassy parties
Where you talk in Russian and Greek
And the young men who move in your circle
They hang on every word you speak, yes I do
But where do you go to my lovely
When you're alone in your bed
Tell me the thoughts that surround you
I want to look inside your head, yes I do
I've seen all your qualifications
You got from the Sorbonne
And the painting you stole from Picasso
Your loveliness goes on and on, yes it does
When you go on your summer vacation
You go to Juan-les-Pines
With your carefully designed topless swimsuit
You get an even suntan, on your back and on your legs
When the snow falls you're found in St Moritz
With the others of the jet-set
And you sip your Napoleon Brandy
But you never get your lips wet
But where do you go to my lovely
When you're alone in your bed
(Won't you) Tell me the thoughts that surround you
I want to look inside your head, yes I do
You're in-between twenty an thirty -
A very desirable age
Your body's firm and inviting
But you live on a glittering state
Your name is heard in high places
You know the Aga Khan
He sent you a racehorse for Christmas
And you keep it just for fun, for a laugh ahaha
They say that when you get married
It'll be to a millionaire
But they don't realize where you came from
And I wonder if they really care, they give a damn
Where do you go to my lovely
When you're alone in your bed
Tell me the thoughts that surround you
I want to look inside your head
I remember the back streets of Naples
Two children begging in rags
Both touched with a burning ambition
To shake off their lowly brown tags, yes they try
So look into my face Marie-Claire
And remember just who you are
Then go and forget me forever
But I know you still bear the scar, deep inside, yes you do
I know where you go to my lovely
When you're alone in your bed
I know the thoughts that surround you
`Cause I can look inside your head
martedì 1 novembre 2011
i 3 migliori ristoranti di San Paolo del Brasile
1) DOM
Rua Barão de Capanema, 549 - Cequeira Cesar São Paulo, 01411-011, Brasile
+55 11 3088-0761
2) KAA
Av. Presidente Juscelino Kubitschek, 279 São Paulo, 04543-010, Brasile
+55 11 3045-0043
3) Figueira Rubayat
Rua Haddock Lobo, 1738 São Paulo,01414-002, Brasile
+55 11 3087-1399
ps rua haddock lobo è spectacular
Rua Barão de Capanema, 549 - Cequeira Cesar São Paulo, 01411-011, Brasile
+55 11 3088-0761
2) KAA
Av. Presidente Juscelino Kubitschek, 279 São Paulo, 04543-010, Brasile
+55 11 3045-0043
3) Figueira Rubayat
Rua Haddock Lobo, 1738 São Paulo,01414-002, Brasile
+55 11 3087-1399
ps rua haddock lobo è spectacular
Iscriviti a:
Post (Atom)