La Triennale ha organizzato con Gillo Dorfles una grande esposizione dedicata al kitsch. Non sono ancora riuscito a visitarla, ma già tremo pensando a ciò che accadrà tra molte Mediocri Redattrici. Il femminile è d’obbligo, perché sono soprattutto le signore a usare il termine kitsch, accompagnandolo con un grazioso arricciamento dei nasini spesso innaturali.
Condivido pienamente la definizione che del kitsch diede Kundera nell’Insostenibile leggerezza dell’essere: il kitsch è la rimozione delle brutture dalla nostra vita. Kundera scriveva rimozione della merda. Ho addolcito il termine proprio per compiere un atto kitsch.
Ogni volta che compiamo quella rimozione operiamo in realtà una addizione. Per rendere meno volgare un oggetto lo rendiamo ancora più volgare aggiungendovi una patina di presunte bellezza, ricchezza, dignità che tali non sono.
Il mio kitsch è quindi ben diverso da quello che molti considerano tale. Un servizio da tè barocchetto che la Mediocre Redattrice definirebbe kitsch con un sorrisino di compatimento è in realtà figlio di una preciso gusto legato a un’epoca. La Mediocre Redattrice non ha la cultura necessaria per eseguire la giusta attribuzione delle produzioni artistiche e solitamente condivide con i teen ager l’idea che tutto ciò che è vecchio è equiparabile al brutto. A meno che qualche altra Mediocre Redattrice appena più potente non decida di usare il bollino Vintage. Così nascono gli errori, l’idea che kitsch sia sinonimo di cattivo gusto e che quel cattivo gusto appartenga sempre a un’altra epoca e, soprattutto, ad altri esseri umani.
Invece il kitsch nasce proprio quando si gioca a fare la donna à la page, nascondendo le proprie brutture naturali, e quindi giustificabili, con altre brutture artificiali, e quindi condannabili. Decorare un fondo schiena cellulitico con un tatuaggio tribale è kitsch perché cerca di rimuovere la bruttura, creandone però un’altra.
Come avviene per certe rappresentazioni popolari dei soggetti religiosi. Il Cristo dai boccoli biondi o la Madonnina vestita d’azzurro sono prodotti kitsch in quanto rimuovono da quelle immagini il sangue, la sofferenza e lo sporco che ricopriva gli abitanti della Palestina di 2000 anni fa. Tutte cose che in un milieu per bene non possono essere mostrate.
Certe immagini sacre tridimensionali vendute per strada dai pakistani, quelle in cui il volto di Gesù si trasforma in una colomba, non sono kitsch, benché la solita Mediocre Redattrice potrebbe definirle tali. Sono soltanto bizzarria, una categoria del tutto diversa.
Ma quando non si hanno gli strumenti necessari per analizzare tutto finisce nello stesso calderone del kitsch o, peggio, del trash. La Mediocre Redattrice non concepisce la regola base del kitsch, ovvero la riduzione di qualunque cosa al livello del grazioso. In quarta di copertina del volume Kitsch, curato dallo stesso Gillo Dorfles, c’è una tazza dal bordo oro zecchino, decorata con la svastica nazista. Ecco il kitsch: l’orrore al massimo livello, l’ideologia nazista, reso grazioso perché applicato sulla tazza da tè con finiture in oro zecchino che richiama eleganti consessi di signore perbene.
La ripulitura dello sgradevole attraverso una patina di grazioso e di sentimentalismo rendono davvero kitsch prodotti come il musical West Side Story, i romanzi di Federico Moccia, la visione del popolo nelle pubblicità della Coop, le sfide di Amici, la musica di Giovanni Allevi, il mondo candito delle troppe mamme-giornaliste.
Dal 1968, anno della prima edizione del libro di Dorfles, a oggi nulla è cambiato. Il kitsch ha conservato la sua meccanica immutabile di parolina magica che aiuta persone mediocri a trasformarsi in paladine del buongusto. Al massimo si è notato un certo atteggiamento che porta a esporre oggetti strani, particolari, imbarazzanti sottolineando però numerose volte che lo si fa per gioco, per spettacolarità. Che niente di tutto ciò rientra nell’ambito reale del proprio gusto. Chi ha letto l’ormai lontano Andy Warhol era un coatto (e ogni volta chiedo scusa per il titolo che non è opera mia) ricorderà che questo atteggiamento è propriamente camp.
tommaso labranca
Condivido pienamente la definizione che del kitsch diede Kundera nell’Insostenibile leggerezza dell’essere: il kitsch è la rimozione delle brutture dalla nostra vita. Kundera scriveva rimozione della merda. Ho addolcito il termine proprio per compiere un atto kitsch.
Ogni volta che compiamo quella rimozione operiamo in realtà una addizione. Per rendere meno volgare un oggetto lo rendiamo ancora più volgare aggiungendovi una patina di presunte bellezza, ricchezza, dignità che tali non sono.
Il mio kitsch è quindi ben diverso da quello che molti considerano tale. Un servizio da tè barocchetto che la Mediocre Redattrice definirebbe kitsch con un sorrisino di compatimento è in realtà figlio di una preciso gusto legato a un’epoca. La Mediocre Redattrice non ha la cultura necessaria per eseguire la giusta attribuzione delle produzioni artistiche e solitamente condivide con i teen ager l’idea che tutto ciò che è vecchio è equiparabile al brutto. A meno che qualche altra Mediocre Redattrice appena più potente non decida di usare il bollino Vintage. Così nascono gli errori, l’idea che kitsch sia sinonimo di cattivo gusto e che quel cattivo gusto appartenga sempre a un’altra epoca e, soprattutto, ad altri esseri umani.
Invece il kitsch nasce proprio quando si gioca a fare la donna à la page, nascondendo le proprie brutture naturali, e quindi giustificabili, con altre brutture artificiali, e quindi condannabili. Decorare un fondo schiena cellulitico con un tatuaggio tribale è kitsch perché cerca di rimuovere la bruttura, creandone però un’altra.
Come avviene per certe rappresentazioni popolari dei soggetti religiosi. Il Cristo dai boccoli biondi o la Madonnina vestita d’azzurro sono prodotti kitsch in quanto rimuovono da quelle immagini il sangue, la sofferenza e lo sporco che ricopriva gli abitanti della Palestina di 2000 anni fa. Tutte cose che in un milieu per bene non possono essere mostrate.
Certe immagini sacre tridimensionali vendute per strada dai pakistani, quelle in cui il volto di Gesù si trasforma in una colomba, non sono kitsch, benché la solita Mediocre Redattrice potrebbe definirle tali. Sono soltanto bizzarria, una categoria del tutto diversa.
Ma quando non si hanno gli strumenti necessari per analizzare tutto finisce nello stesso calderone del kitsch o, peggio, del trash. La Mediocre Redattrice non concepisce la regola base del kitsch, ovvero la riduzione di qualunque cosa al livello del grazioso. In quarta di copertina del volume Kitsch, curato dallo stesso Gillo Dorfles, c’è una tazza dal bordo oro zecchino, decorata con la svastica nazista. Ecco il kitsch: l’orrore al massimo livello, l’ideologia nazista, reso grazioso perché applicato sulla tazza da tè con finiture in oro zecchino che richiama eleganti consessi di signore perbene.
La ripulitura dello sgradevole attraverso una patina di grazioso e di sentimentalismo rendono davvero kitsch prodotti come il musical West Side Story, i romanzi di Federico Moccia, la visione del popolo nelle pubblicità della Coop, le sfide di Amici, la musica di Giovanni Allevi, il mondo candito delle troppe mamme-giornaliste.
Dal 1968, anno della prima edizione del libro di Dorfles, a oggi nulla è cambiato. Il kitsch ha conservato la sua meccanica immutabile di parolina magica che aiuta persone mediocri a trasformarsi in paladine del buongusto. Al massimo si è notato un certo atteggiamento che porta a esporre oggetti strani, particolari, imbarazzanti sottolineando però numerose volte che lo si fa per gioco, per spettacolarità. Che niente di tutto ciò rientra nell’ambito reale del proprio gusto. Chi ha letto l’ormai lontano Andy Warhol era un coatto (e ogni volta chiedo scusa per il titolo che non è opera mia) ricorderà che questo atteggiamento è propriamente camp.
tommaso labranca
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