La raccolta di liste delle dieci cose per cui vale la pena vivere promossa da Saviano è una lettura insostenibile. Un viaggio dantesco senza redenzione e senza contrappasso. E' una via crucis nel dolore sotterraneo dell'umanità. Un mantra collettivo e spontaneo (naturale come le lingue) generato non creato nella Babele del web, ulteriore come la non-vita. La raccolta delle liste è una performance sistemica: il tutto è più delle somma delle parti e si anima di vita propria. Come il DNA con le quattro basi azotate combinate all'incalcolabile che danno vita alla vita, che poi è sempre quella e sempre citeriore, emerge il mostro dei nostri tempi, lo spirito storico, il purgatorio personale dell'uomo. De Andrè, Saviano, il mare, i figli. I figli, Saviano, De Andrè, il mare. E' la ruota che gira e ci stritola, è la dimostrazione che l'infinito si svolge perfettamente ed assurge solo nel finito. Repubblica inconsapevole ci ha donato la più grande performance artistica. Perfetta perché spontanea e automatica, eppure artificiale, la fusione perfetta tra natura e cultura, tra fusis e nomos. Il brodo primordiale, il bianco dell'iride che gira. Una preghiera collettiva che bestemmia qualsiasi possibilità di un dio, in una vertigine regressiva che riassume la vita al contrario esaurendosi nel vagito primigenio. Tale è il racconto di cui l'uomo è capace di sè, tale la natura micragnosa della nostra narrazione. La raccolta delle liste fa il rumore delle manette dei detenuti sbattute contro le sbarre, è un frinire indistinto di cicale lontane, è il pianto cosmico che ci lega così forsennatamente a quest'atomo opaco del male.
Riccardo C. Mauri
1 commento:
dovevate scriverlo come se fosse una lista
Posta un commento