mercoledì 29 settembre 2010

Il Nobel Kandel: studio un'alleanza tra neuroscienze e psicanalisi

Sigmund Freud sperava che la scienza, prima o poi, avrebbe confermato le sue teorie, immergendosi nei territori alieni dell’inconscio. Oggi un altro viennese come lui - naturalizzato americano - esplora questa possibilità. Si chiama Eric Kandel, ha vinto il Nobel per la Medicina nel 2000 e a 81 anni continua l’avventura nei meccanismi reconditi della mente, iniziata oltre mezzo secolo fa alla New York University Medical School.

Freud ascoltava signore e gentiluomini della borghesia fin de siècle, Kandel deve la celebrità alle osservazioni su una lumachina di mare, la Aplysia, e oggi su topolini e serpenti. Ma al lontano maestro deve l’interesse - quasi l’ossessione - per la memoria e i suoi meccanismi. Siamo fatti prima di tutto di ciò che ricordiamo - sostiene - e si dice sicuro che le incursioni su geni e sinapsi di animaletti in apparenza tanto lontani da noi possano spalancare nuove prospettive sulla mente umana e sulle logiche che fanno funzionare cellule e circuiti.

Professore, lei sarà a BergamoScienza il 3 ottobre per una lezione: è davvero possibile costruire un ponte tra neuroscienze e psicanalisi?
«Mi faccia fare un esempio: si tratta della tecnologia che consente di visualizzare l’attività cerebrale - identificando specifiche aree - coinvolta per esempio in alcune malattie. Le ricerche di Helen Mayberg hanno rivelato come l’area 25 - localizzata tra i lobi frontali e il sistema limbico - sia connessa con la depressione: quando i pazienti rispondono in modo positivo alla psicoterapia, si osserva che l’attività anomala di questa zona si riduce. Penso che sia la prima volta nella storia in cui disponiamo di strumenti oggettivi per valutare gli effetti delle cure psichiatriche».

Come considera Freud? Scienziato a tutti gli effetti o no?
«Difficile dire. Non era uno scienziato “vero”, nel senso che non realizzò esperimenti empirici e non sviluppò un metodo che testasse le sue teorie. Ma era allo stesso tempo un clinico straordinario, dotato di enormi capacità, e ha tentato sempre di essere scientifico. Ecco perché tocca alla nuova generazione di psichiatri e psicanalisti capire quali delle sue idee si siano rivelate giuste e quali no».

Lei è uno degli studiosi di punta: qual è un esempio?
«Molta della nostra vita mentale è inconscia: Freud è stato uno dei primi a rendersene conto e sappiamo che non è solo una forma di pensiero, ma definisce la dinamica stessa della mente. Oggi siamo in grado di testare queste caratteristiche sperimentalmente, analizzando le zone del cervello che si attivano».

Perché l’inconscio ci affascina così tanto?
«Kant riteneva che qualunque decisione razionale dovesse escludere le emozioni. Ora, invece, abbiamo la prova del contrario: ogni decisione complessa coinvolge la parte emozionale. Sono le emozioni a darci la carica: pulsioni che ci spingono fortemente verso qualcosa e limitano altri comportamenti in modo prepotente, togliendoci quella libertà assoluta che rimane limitata a un campo ristretto. In realtà è la compassione il sentimento che ha avuto e ha un ruolo fondamentale per la sopravvivenza».

Lei è celebre per gli studi sulla memoria: l’ha definita come un insieme in perenne evoluzione piuttosto che una «biblioteca» di contenuti fissi: è così?
«La memoria ha una componente stabile, ma può essere modificata ogni volta che i suoi contenuti vengono richiamati: a volte, così, ricordiamo un evento in modo corretto e in altri momenti in modo non corretto».

Su quali problemi si concentrano le sue ricerche?
«Studio come la memoria si perpetua, anche per l’intera vita di un individuo. Abbiamo identificato una proteina che regola le risposte delle sinapsi e, quindi, la forza dei ricordi: è una scoperta molto eccitante».

Pensa che renderà possibile la sperimentazione di nuovi farmaci, da quelli per rafforzare la memoria a quelli per combattere l’Alzheimer?
«E’ certamente possibile».

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