L'ascesa di Mario Scaramella, combattente ambientale, iniziò molto presto. Nel marzo del 1989, a soli 19 anni, fondò i Nuclei agenti di sicurezza civile, o Nasc, un microgruppo di 9 componenti legato a un'organizzazione ambientalista di destra, il Gruppo di ricerca ecologica. Pochi mesi dopo, il 12 settembre '89, firmò un protocollo d'intesa con l'assessorato all'Ambiente della Provincia di Napoli. Ma il colpo grosso lo fece quando ottenne una lettera dell'Alto commissariato antimafia in cui si raccomandava alla prefettura il rilascio del porto d'armi per gli operatori dei Nasc al servizio del "commissario Scaramella". A firmare quella lettera fu Luciana Villa, un'amica di famiglia dirigente del ministero dell'Interno.
Dopodiché, agitando a distanza il tesserino di guardia ittico-venatoria provinciale, il "commissario Scaramella" si presentò a due sostituti della procura di Santa Maria Capua Vetere per ottenere l'assistenza della polizia giudiziaria nelle sue attività di sequestro. Con l'appoggio dei funzionari a lui affidati, Scaramella fu protagonista di un'attività frenetica di sequestri. «Può sembrare incredibile, ma con il suo nucleo fece il bello e il cattivo tempo nelle province di Napoli e di Caserta dall'89 a metà del '91», ricorda Rosaria Capacchione, la cronista del “Mattino” che all'epoca scrisse una straordinaria serie di articoli. «Arrivò a sequestrare edifici abusivi, alberghi, ristoranti, bar, un caseificio e persino un ippodromo clandestino del boss Nuvoletta».
A porre fine alle bravate dei Nasc fu un brigadiere dei carabinieri insospettito dal fatto che, al momento della firma dei verbali, Scaramella trovava il modo di defilarsi. Nel luglio del '91, fu messo sotto processo per usurpazione di titolo e di pubbliche funzioni. La sentenza di condanna fu depositata il 31 dicembre 1994, dopo un procedimento in cui vennero chiamati a testimoniare sia i due sostituti ingannati che l'Alto commissario antimafia Domenico Sica.
In quell'occasione si manifestò un fenomeno che avrebbe accompagnato la carriera di Scaramella: la presa di distanza di chi gli aveva dato legittimità. Ecco che cosa scrive l'allora pretore Roberto de Falco nella sua sentenza: «Larghe zone d'ombra sono rimaste, anche in conseguenza della retromarcia... da parte di molti organi istituzionali che avevano appoggiato lo Scaramella e i Nasc... retromarcia evidenziata dal contenuto chiaramente minimizzatore, se non reticente, di molte delle deposizioni dei pubblici funzionari escussi in dibattimento».
La condanna venne poi annullata in appello con una motivazione definita oggi da de Falco «in punto di diritto»: fu stabilito che quello di "commissario" era un termine atecnico e che Scaramella lo aveva usato in quanto presidente di una commissione dei Nasc.
SCARAMELLA SCOPRE L'AMERICA
Gli eventi giudiziari costrinsero Scaramella a chiudere i Nasc. Ma non lo scoraggiarono. Avendo terreno bruciato vicino casa, guardò oltre i confini nazionali, puntando su sigle in inglese e contatti al di là dell'Atlantico.
Nacque così lo Special research monitoring center (Srmc), entità virtuale che dichiarava collegamenti con centri spaziali e universitari americani ma non aveva neppure una vera e propria sede. Con esso irruppe sulla scena Filippo Marino, un ex ufficiale dell'esercito italiano esperto in materia di sicurezza che aveva fatto corsi di addestramento all'uso delle armi al gruppo di Scaramella. Marino si era trasferito a San Francisco nei primi anni 90. Lì aveva conosciuto Periklis Papadopoulos, un ricercatore di origine greca che lavorava per la Eloret, una società di ricerca spaziale subappaltatrice della Nasa. Per Scaramella era la chiave di volta per riacquistare legittimità.
Grazie ai suoi collegamenti internazionali, decise di cimentarsi nel campo delle consulenze peritali. Trovò subito incarichi presso la procura di Verona e di Reggio Calabria. Ad affidargli la consulenza a Reggio fu il sostituto Francesco Neri, ex braccio destro di Agostino Cordova a Palmi, che all'epoca conduceva un'indagine su navi sospettate di essere state affondate per smaltire scorie radioattive. Emerse una perizia allarmistica in cui vennero indicati decine di affondamenti sospetti nel Mediterraneo. La ricerca di questi relitti poteva essere un business di miliardi. Scaramella ricostruì la vicenda in un'intervista all'”Espresso”: «Era il 1996, quando i magistrati calabresi mi contattarono per una delicata missione. Volevano individuare una delle navi affondate nel Mediterraneo sospettate di trasportare rifiuti radioattivi, dunque attivai i miei contatti». Scaramella si riferiva alla Eloret. «Era una struttura perfetta per le nostre esigenze, ma troppo esposta per accettare l'incarico», spiegò. La sua proposta fu di utilizzare l'Srmc, presentato come rappresentante della Eloret in Italia.
Il piano dell'Srmc prevedeva un esborso di 1 miliardo e 400 milioni di lire. Il procedimento venne poi trasferito al sostituto procuratore antimafia Alberto Cisterna che, insospettito, bloccò tutto. «Se non erro la perizia di Scaramella ipotizzava l'esistenza di correnti sottomarine dell'ordine di centinaia di chilometri orari che avrebbero potuto impedire il ritrovamento dei relitti», ricorda oggi Cisterna. «Poiché nel Mediterraneo le correnti sottomarine possono arrivare al massimo ai 10 nodi, quell'asserzione contribuì a suscitare in me gravi perplessità su tutta l'attività peritale svolta, perplessità segnalate anche in sede di audizione parlamentare».
L'ENVIRONMENTAL CRIME
Gli allarmi di Cisterna non bastarono a frenare l'attività di Scaramella. Anzi lo spinsero a irrobustire il proprio curriculum internazionale. Ecco allora il salto definitivo: l'organismo intergovernativo. Nel marzo del 1997, assieme al fido Marino, Scaramella fondò l'Environmental Crime Prevention Program, il Programma per la prevenzione del crimine ambientale. Veniva spacciato per un organismo di diritto internazionale ma era una scatola vuota che non risulta essere stata registrata in alcun Paese del mondo.
L'Ecpp nasce già... nato, con la «II Conferenza Plenaria» che si tiene a Napoli. La prima conferenza non risulta essere mai stata fatta. Probabilmente perché la migliore strada per convincere qualcuno a farsi coinvolgere era di presentare un programma intergovernativo già esistente. Dovendo creare una parvenza d'internazionalità, Scaramella decise di nominare tre “special assistants”, che in un comunicato presentò come «John Graham Taylor (Uk), Christian Trentolà (France) and Phillip Marino (Germany)». Il primo era un inesperto collaboratore di nazionalità inglese. Il secondo un giovane napoletano di madre francese il cui cognome era in realtà scritto senza accento finale. Il terzo, il suo socio Filippo Marino.
Con alle spalle null'altro che una sigla, Scaramella iniziò a tessere la sua tela. Nel dicembre 1998, l'Ecpp fece domanda per ottenere lo stato di "osservatore" presso la London Convention, organismo legato all'International Maritime Organization. Gli fu concessa quella qualifica in modo prima provvisorio e poi definitivo senza farsi scrupolo di verificare l'effettiva natura e consistenza dell'organizzazione. Scaramella e i suoi vennero così invitati a partecipare alle riunioni annuali della Convenzione, un riconoscimento puntualmente pubblicizzato.
Un ulteriore tassello nell'opera di legittimazione dell'Ecpp venne dalla Nato. Con stupefacente sfrontatezza, Scaramella chiese fondi e sponsorizzazione dello Science Program della Nato per una conferenza sulla sicurezza ambientale da svolgersi in Lituania in collaborazione col Governo locale. Ottenne il tutto e fu così co-organizzatore del workshop della Nato. Quando abbiamo chiesto all'attuale direttore del programma Nato, Chris De Wispelaere, come possa essere successo, la sua risposta è stata: «La sua proposta evidentemente fu ritenuta valida».
Un'operazione simile venne condotta nei confronti del Segretariato della Convenzione di Basilea per la difesa dell'ambiente, organismo sotto l'egida dell'Onu di base a Ginevra. In questo caso, Scaramella riuscì addirittura a firmare un accordo di collaborazione. Anche qui, nessuno si prese mai la briga di verificare nulla. Era bastata l'autocertificazione dell'Ecpp che citava la «IV Conferenza Plenaria», che risultava essersi tenuta a New York negli uffici dell'agenzia dell'ambiente americana, l'Epa.
A fargli avere la disponibilità di quegli uffici nel novembre del 2000 era stato Michael Penders, un funzionario dell'ufficio legale dell'Epa che di lì a pochi mesi avrebbe lasciato l'amministrazione statale per fondare una propria società di consulenza e quindi era interessato a crearsi una rete di contatti internazionali. Adesso Penders minimizza: «Gli demmo un ufficio per un'ora». Ma un'ora era quanto bastava a Scaramella. E comunque lo stesso Penders aderì all'organizzazione. «Ho solo accettato di dare supporto al gruppo di lavoro legale», si giustifica.
IL RUOLO DI PROFESSORE
Ma come poteva un funzionario di un importante ente statale Usa associarsi a uno Scaramella? «Lo avevo incontrato al convegno della Nato in Lituania. Mi era sembrato un giovane e dinamico professore di legge che aveva messo insieme una rete di scienziati», risponde Penders. Aveva poi giovato il fatto che Scaramella aveva detto di essere anche un "magistrato antimafia". Professore universitario? Magistrato antimafia? In entrambi i casi la carica era inventata. Sulla base però di un infinitesimale granello di verità. Il 6 giugno 2001, con la benedizione del presidente del Tribunale e del Consiglio giudiziario di Napoli, e una delibera dell'Assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura, Scaramella riuscì in effetti a diventare giudice onorario di tribunale. Si trattava di una carica onoraria, che non aveva nulla a che vedere con la lotta alla mafia. Ma gli era bastata per costruire il solito castello di carta.
Anche sul fronte universitario, riuscì a procurarsi delle pezze d'appoggio. Aveva iniziato nel 1998 con il Dipartimento di scienze internazionalistiche dell'Università Federico II di Napoli. «Fui avvicinato dallo Scaramella, che mi disse di essere alla guida di un'Unità criminologica ambientale e mi chiese di stabilire un rapporto di collaborazione. Mi disse di avere contatti importanti, aggiungendo di essere cugino di due miei ex studenti, Stefano e Sergio Rastrelli, figli dell'ex presidente della Regione Campania, Antonio Rastrelli», ricorda il professor Luigi Sico, all'epoca responsabile del Dipartimento. «Redigemmo una convenzione-quadro che dava al dipartimento il compito di fornire personale per corsi di formazione. Una parte della retta dei corsi era destinata a finanziare il Dipartimento e l'Università. Ma la convenzione non trovò alcuna applicazione perché da Scaramella non ci pervenne mai alcuna richiesta».
Non ancora soddisfatto, Scaramella si fece avanti anche con il Dipartimento di scienza e ingegneria dello spazio (Disis) della Federico II. «Vantò contatti importantissimi nel mondo politico-scientifico internazionale, dicendo tra l'altro di essere professore a Stanford e adducendo che l'Ecpp aveva ricevuto un mandato dai ministri dell'Ambiente dei Paesi membri», ricorda il professor Paolo Oliviero, che poco dopo divenne direttore del dipartimento. Sembrava una proposta valida e con una delibera del 19 giugno 2000 il dipartimento decise «di istituire un programma denominato Centro di Politica spaziale». Il punto 3 della delibera diceva che «le modalità operative del Centro saranno definite con un apposito regolamento del Dipartimento» e il punto 4 che «la sede del Centro sarà presso il Dipartimento stesso». Anche questa volta era una dichiarazione di intenti a cui sarebbero dovuti seguire accordi operativi. Anche questa volta a Scaramella bastò. E scomparve.
Il suo nome riemerse un anno dopo, il 14 luglio 2001, quando il Dipartimento ricevette una lettera dei carabinieri, che «per urgenti indagini di polizia giudiziaria» chiedevano se Scaramella «è in possesso del titolo di ricercatore e formatore in politica spaziale presso codesta Università» e «se è, ovvero è stato, direttore del Centro di Politica spaziale». Le risposte furono entrambe negative. Passò poi un altro anno prima che Oliviero risentisse il nome di Scaramella. Questa volta a farglielo fu una professoressa universitaria colombiana, che il 27 marzo 2002 lo andò a trovare all'Università per mostrargli un attestato appena ricevuto. Si trattava di un diploma su carta pergamenata del «Centro di politica spaziale del Dipartimento di scienza e ingegneria dello spazio». Era firmato dal direttore del centro, il professor Mario Scaramella.
«Se ricordo bene mi disse di averlo pagato», dice Olivero, che a quel punto, dopo aver avuto l'indirizzo, decise di recarsi di persona negli uffici del Centro spaziale di Scaramella. «Era al primo piano sottoscala del palazzo del Cinema delle Palme, in Via Vetriera a Chiaia n.12», ricorda il professore. «Fuori del portone, sulla placca del campanello, trovai appiccicati due piccoli stemmi dell'Università». Oliviero scrisse una lettera di denuncia al rettore, mettendosi a disposizione dell'ufficio legale dell'Università.
Ma il 4 ottobre successivo, ricevette l'invito ufficiale a un convegno che Scaramella stava organizzando al Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira), diretto da un altro professore di ingegneria dell'Università di Napoli, Sergio Vetrella. Oliviero si preoccupò ovviamente di avvertire il collega della trappola. In un'email mandata in copia all'intero Dipartimento il 23 ottobre 2002, scrisse: «Caro Sergio, ho avuto notizia di un workshop su tecnologie spaziali... organizzato da tale Mario Scaramella presso il Cira a nome di un fantomatico Centro di politica spaziale del Disis. Ti ricordo che noi, come Dipartimento, non ci siamo mai sognati di costituire tale centro... Non abbiamo mai visionato le credenziali dello Scaramella, né delle sue iniziative. Dette iniziative devono intendersi del tutto arbitrarie e, comunque, mai autorizzate né da me né tanto meno dal Disis. Paolo Oliviero».
Una decina di giorni dopo, il Cira diffuse un comunicato annunciando il convegno in cui si diceva: «Organizzatore dell'evento è l'Ecpp, rappresentato in Italia dal professor Mario Scaramella, segretario generale dell'Ente e direttore del Centro di politica spaziale dell'Università Federico II». Il convegno, a cui partecipò una folta delegazione russa oltre i soliti noti come Papadopoulos e Penders, si svolse senza intoppi di sorta per Scaramella. Anzi, fu il coronamento delle sue attività nel settore spaziale. Tant'é che prese sempre più a presentarsi come direttore del Centro spaziale della Federico II.
Lo fece anche in un'intervista su ”Il Mattino il 3 febbraio 2003 che destò di nuovo l'attenzione di Oliviero. «Il 4 febbraio decisi di telefonargli per diffidarlo a continuare a usare quel nome», ricorda. Il giorno dopo ricevette un lunghissimo fax di scuse e giustificazioni: «Gentile professore Oliviero, le scrivo per chiedere scusa a lei e ai suoi colleghi del dipartimento se nell'intervista pubblicata dal “Mattino” ho menzionato tra i miei titoli quello di direttore del Centro di politica spaziale e se con questo atto ho causato qualche disturbo».
DOVE TROVAVA I SOLDI?
Diplomi, attestati e corsi professionali condotti a seconda delle occasioni da Ecpp, Srmc, Centro di politica spaziale e Unità criminalogica ambientale non solo servivano a soddisfare giovani neolaureati che gli davano una mano come Christian Trentola o Carmine Minopoli, i quali potevano menzionarli nei propri curricula. Erano anche una potenziale fonte di finanziamento. Quel che è certo è che il curriculum messo online da Minopoli fa riferimento a corsi di formazione professionale "patrocinati dalla Regione Campania" svolti tra il 1994 e il 1998.
Scaramella trovò altri finanziamenti pubblici presso alcuni parchi nazionali. Come quello del Gargano che, il 27 giugno 2002, con una delibera dell'allora presidente Matteo Fusilli affidò l'incarico di demolizione di manufatti abusivi a Scaramella. Il contratto fu formalmente assegnato alla Eccp, definita «organizzazione intergovernativa di diritto pubblico con sede a Washington Dc e rappresentanza a Via Vetriera a Chiaie n.12, Napoli». Insomma il solito sottoscala del Cinema Delle Palme. Rappresentante legale dell'organizzazione: Giorgia Dionisio, all'epoca compagna di Scaramella, in veste di "special assistant secretary general dell'Ecpp".
Nel 2002 risultano essere stati fatti tre pagamenti, rispettivamente di 51.645, 43.336 e 268.764 euro. Ma come si poteva pagare un organismo che non esisteva e non era mai stato registrato formalmente in alcun Paese? No problem: i versamenti furono fatti sul conto corrente 27/36249 di una filiale del Banco di Napoli. Intestatario del conto: Mario Scaramella.
Nel 2003, venne poi firmata una nuova convenzione, per altri 500mila euro che però venne revocata nel giugno 2004 dal nuovo presidente del Parco, lo scrupolosissimo avvocato Domenico Gatta, e dal suo consiglio direttivo.
Altro committente di Scaramella fu l'Ente Parco nazionale del Vesuvio. Ecco cosa ci ha scritto Matteo Rinaldi, direttore di quel parco dal novembre scorso: «L'Ente ha stipulato con la Ecpp due convenzioni per attività di demolizione di manufatti abusivi e ripristino ambientale in data 25/03/2003 e 2/12/2003... Per gli atti redatti dall'Ente Parco i firmatari delle convenzioni hanno eletto domicilio in Via Vetriera a Chiara 12/d. La ragione sociale della società è: Organizzazione intergovernativa di diritto pubblico per la prevenzione dei crimini ambientali con sede in Washington. È stato corrisposto all'Ecpp un compenso di 860.824,34 euro». Rinaldi ha specificato che nel caso della prima convenzione l'Ecpp è stata "rappresentata" dal suo «segretario generale, dottor Pavel Suian», mentre la seconda da Giorgia Dionisio (assieme a un altro collaboratore di Scaramella, tale Livio Ricciardi).
Suian era un ex diplomatico romeno che all'epoca era consigliere legale del Segretariato della Convenzione di Basilea, uno degli organismi associatisi a Scaramella. Contattato dal Sole-24 Ore, il Segretariato ha spiegato che «se Suian avesse effettivamente firmato quel contratto sarebbe stato in violazione delle norme dell'Onu» La strategia di Scaramella risulta a questo punto chiara: utilizzare ogni singolo contatto o evento per accreditarsi e legittimarsi con quello successivo in una straordinaria catena autoreferenziale senza limiti geografici.
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