giovedì 28 aprile 2005
Le valigie di Tulse Luper
Le valigie di Tulse Luper
Prigioni e valigie sono simboli della vita in Le valigie di Tulse Luper di Peter Greenaway: le carceri rappresentano le successive privazioni di libertà a cui può ridursi l'esistenza umana; le valigie sono il bagaglio culturale e di memoria portato con sè da ciascuna delle persone che oggi vanno per il mondo a milioni in viaggi volontari o coatti.
Tulse Luper, scrittore e artista, alter ego di Greenaway, dall'infanzia in poi è al centro d'una storia che abbraccia sessant'anni del XX secolo: dal 1928, anno della potenziale scoperta dell'uranio nelle miniere del Colorado, sino al 1989.
In questo periodo le avventure di Tulse Luper si svolgono sempre in prigione, in sedici diverse prigioni: Galles, Lisbona, Casablanca, Genova, Torino (i fascisti lo rinchiudono nella Mole Antonelliana).
Viaggi immaginari, sosia, 92 valigie colme di carta da parati insanguinata, carbone, depositarie di testimonianze di ambizioni e di colpevolezza, di sogni, ossessioni e storie illecite.
This film makes Mulholland drive look simplistic, the Tulse Luper Suitcases is Tristan Shandy gone haywire, or Monty Python taken to even more absurd depths.
The Tulse Luper Suitcases reconstructs the life of Tulse Luper, a professional writer and project-maker, caught up in a life of prisons. He was born in 1911 in Newport, South Wales and presumably last heard of in 1989. His life is reconstructed from the evidence of 92 suitcases found around the world - 92 being the atomic number of the element Uranium.
The project includes three feature films, a TV series, 92 DVDs, CD-ROMs, and books.
One description of The Tulse Luper Suitcases is to describe it as the autobiography of a professional prisoner. It may be that we are all prisoners of something - love, money, sex, fame, religious belief, power, ambition, greed, debt, a job, a garden, a dog, train-time-tables, a mortgage, perhaps just the grocery bill. Consequently most prisons are not rooms with a barred window and a locked door. And a second truism - every prisoner needs a jailer just as every jailer needs a prisoner to legitimise his job description. The resultant relationship is a balance of power situation, and now always weighted in favour of the jailer. The above list is no idle list, for my hero, Tulse Luper, not so many million miles from me, his author, suffers from being imprisioned by most of these characteristics. Of course as author, I am Tulse Luper's jailer, just as I am his prisoner. But I get to choose the prisons. The whole of The Tulse Luper Suitcases project could be said to be an indulgence for me to film in many of those most exciting architectural situations I have enjoyed. The Mole Antonelliana in Turin is one of those situations. The building was not conceived as a prison, but consider its origins, its history and its present function, from a place of worship to another place of worship. From a synagogue to a Museum of the Moving Image. Dedicated to a Jewish God and secondly to Cinema, maybe two sorts of prison. Tulse Luper certainly, in the total project of The Tulse Luper Suitcases, spends energy fighting battles relevant to the Jewish God and his fight is certainly relevant to the conditions of Cinema. But the mole is a tower and from the top of the tower you can see for miles and miles - a sort of metaphor that needs perhaps no further explanation - it is a prison with a view - perhaps that is what - spiritually - prisons can be. Tulse Luper tries to make all the prisons of The Tulse Luper Suitcases, prisons with a view." - Peter Greenaway, introduction to the Tulse Luper in Turin book
mercoledì 27 aprile 2005
Nessuno Contro Tutti
Milano Sguardo Distratto - Bacio Di Ghiaccio - Capto Frequenza Di Intolleranza E Mancanza Di Tempo E Di Vento Intenso Traffico Denso E Ripenso - Al Motivo Per Cui Vivo Tra Il Grigio Di Questo Cemento - Ci Sono Immigrati - In Edifici Occupati - E Gli Sciuri Imboscati Dietro Sicuri Giardini Privati - Dai Quartieri Duri Ai Locali Tra Troie E Avvocati - Carcerati Tra Muri E Palazzi Pittati E Futuri Pazzi Sclerali - Ma Siamo Già Alla Fine Della Settimana E Scendendo Il Sole Dietro Porta Romana - Sei Troppo Bella Per Dirti Addio - Tu Chiami E Poi - Noi Tutti Ubbidiamo - E Tra Chi Nomina Il Tuo Nome Invano - Ci Sono Anch'io - Milano Milano - Milano Quando Sono Lontano Voglio Tornare - Milano Quando Ci Sono Voglio Scappare - Il Cielo Un Foglio Di Rame - Per La Vivace Attività Industriale - L'industriale Si Droga Poi Vota Chi Dice Che La Droga Fa Male - Ipocrisia Nuda Come Modelle Sul Cartellone - Dei Saldi Fuori Stagione In Montenapoleone - Bambini Sniffano Colla Alla Stazione - Centrale E Piazza Affari Tracolla - E Chi Compra Vita Superficiale - Ma C'è Chi Tiene Accesa La Lotta - La Manifestazione Parte A Porta Venezia - Sei Troppo Bella Per Dirti Addio - Tu Chiami E Poi - Noi Tutti Ubbidiamo - E Tra Chi Nomina Il Tuo Nome Invano - Ci Sono Anch'io - Milano Milano - Nel Tuo Veleno Che Noi Respiriamo - Ci Sono Anch'io - Milano Milano - Tra La Ringhiera E Il Sogno Americano - Ci Sono Anch'io - Milano Milano - Non C'è Mai Parcheggio - Ed È Sempre Peggio - Settimana Della Moda - Vita Mondana In Coda - In Auto A Noleggio - L'alternativo Beve Vino Vicino Agli Yuppi In Brera - Sera A Tema Tropico Latino - Tutti In Fiera - Tra Chi Rapina Per La Cocaina - Sento Un Vecchietto Che Canta In Dialetto Alla Sua Madonnina - E Quando La Nebbia Scompare - In Lui - Mi Riconosco - Come Una Goccia Nel Mare - Mi Ritrovo Al Mio Posto - E Devo A Tè - Quello Che Sono - E Alle Luci Di Un Tramonto Sopra Piazza Del Duomo - Sei Troppo Bella Per Dirti Addio - Tu Chiami E Poi - Noi Tutti Ubbidiamo - E Tra Chi Nomina Il Tuo Nome Invano - Ci Sono Anch'io - Milano Milano - Nel Tuo Veleno Che Noi Respiriamo - Ci Sono Anch'io - Milano Milano - Tra La Ringhiera E Il Sogno Americano - Ci Sono Anch'io - Milano Milano
Nessuno Contro Tutti
Nessuno Contro Tutti
martedì 26 aprile 2005
Sei troppo un pazzo (Il discount della pazzia)
Una sera siamo andati a una festa fuori Milano. Arrivati sul posto, vediamo scendere da una Seat Arosa giallo limone tre o quattro tizie ridanciane, che conosciamo di vista. E una di loro dice tra una risata e l'altra: "...La macchina della pazzia....", come per concludere un discorso, quasi millantando una bohème da TG4.
Sono quattro ragazzine ultraborghesi, normali da far schifo, iscritte alle più ovvie facoltà universitarie, la cui più grossa trasgressione è fare le corna al fidanzato di turno o sbagliare la strada per arrivare da Via Vincenzo Monti alla festa a Imbersago. Tuttavia dicono di se stesse: "Siamo delle pazze".
Per giorni mi sono vergognato di quello che ho sentito. Ho provato vergogna nel riferire ad amici quelle 4 parole: "La macchina della pazzia". Solo ora sono riuscito a scriverne.
Su internet, nei profili delle chat di tutta Italia, la cosa che leggiamo più spesso nei brevi profili personali è: "Sono un po' pazza/o".
Il povero dice di sé e degli altri: "Sono un pazzo", oppure "E' troppo un pazzo", con un tono tra il bonario e l'ammirato. Spesso dice di qualcuno "E' un pazzo" per comunicare che fa cose assolutamente normali, come farsi qualche canna, ubriacarsi, parlare ad alta voce, guidare un po' più veloce del solito, urlare dal tram, bestemmiare. Si cerca di dare insomma a chiunque, la possibilità di non essere etichettato come "banale", nonostante il soggetto in questione lo sia (ovviamente) oltre ogni possibile aspettativa.
La regolare scenetta vuole che quando si parla di qualcuno che si conosce, si dica di lui "è troppo un pazzo", per presentarsi innanzitutto come qualcuno che non frequenta gente ordinaria, cercando in tutti i modi di far apparire come "inusuale" qualsiasi ovvietà da scuola media (vedi sopra).
Si racconta poi l'episodio a caso (che tratta dell'ubriachezza a Mikonos, della canna di troppo o del viaggetto in Svizzera), cercando di convincere l'interlocutore, che a sua volta, per continuare la conversazione, dovrà raccontare qualcosa di ancora più "pazzo", (l'ubriachezza in Marocco, le due canne di troppo, il viaggetto in Olanda). Il tutto cercando di ridere il più possibile, vantandosi della supposta pazzia dell'amichetto, che per estensione e spirito di gruppo, è anche la loro.
Quanto più la normalità è dietro l'angolo, tanto più bisogna presentarla come follia, prima che si scopra che non c'è più spazio per l'eventuale trasgressione.
Non si è pazzi perché ci si fuma una canna di troppo o ci si ubriaca in vacanza, si è pazzi perché non ci si accorge che siamo tutti condannati a una normalità statalizzata che fa spavento. E questo il povero non lo capirà mai.
Insomma, il povero non si accorge di essere davvero pazzo, non per quelle quattro bambinate che crede di combinare a sua detta "ai limiti della legalità", ma davvero, per tutte quelle cose che fa e che farà all'interno della legalità. Anche solo il pensare di essere "sopra le righe" è da imbecille. Il gongolarsi della propria scapigliatezza, con la mentalità da "impiegato" del vizio, da travet del "degenero", è un auto-regalarsi banane come premio.
DC
AG: - ma la festa ad Imbersago era del figlio di Moratti?
DC: - Perchè devi sempre sottolineare le cose? Avevo avuto il buon gusto di non dirlo. arrivi tu e rovini tutto.
RM: - Ma no, era la festa del figlio del giardiniere della tenuta. Il figlio di moratti non c'era neanche.
DC: - Oh, meno male. un po' di sano understatement. Vanno alla festa del giardiniere e se ne vantano. E poi tutti a giocare a calcio 30 contro 30 nel campo del padrone.
Sono quattro ragazzine ultraborghesi, normali da far schifo, iscritte alle più ovvie facoltà universitarie, la cui più grossa trasgressione è fare le corna al fidanzato di turno o sbagliare la strada per arrivare da Via Vincenzo Monti alla festa a Imbersago. Tuttavia dicono di se stesse: "Siamo delle pazze".
Per giorni mi sono vergognato di quello che ho sentito. Ho provato vergogna nel riferire ad amici quelle 4 parole: "La macchina della pazzia". Solo ora sono riuscito a scriverne.
Su internet, nei profili delle chat di tutta Italia, la cosa che leggiamo più spesso nei brevi profili personali è: "Sono un po' pazza/o".
Il povero dice di sé e degli altri: "Sono un pazzo", oppure "E' troppo un pazzo", con un tono tra il bonario e l'ammirato. Spesso dice di qualcuno "E' un pazzo" per comunicare che fa cose assolutamente normali, come farsi qualche canna, ubriacarsi, parlare ad alta voce, guidare un po' più veloce del solito, urlare dal tram, bestemmiare. Si cerca di dare insomma a chiunque, la possibilità di non essere etichettato come "banale", nonostante il soggetto in questione lo sia (ovviamente) oltre ogni possibile aspettativa.
La regolare scenetta vuole che quando si parla di qualcuno che si conosce, si dica di lui "è troppo un pazzo", per presentarsi innanzitutto come qualcuno che non frequenta gente ordinaria, cercando in tutti i modi di far apparire come "inusuale" qualsiasi ovvietà da scuola media (vedi sopra).
Si racconta poi l'episodio a caso (che tratta dell'ubriachezza a Mikonos, della canna di troppo o del viaggetto in Svizzera), cercando di convincere l'interlocutore, che a sua volta, per continuare la conversazione, dovrà raccontare qualcosa di ancora più "pazzo", (l'ubriachezza in Marocco, le due canne di troppo, il viaggetto in Olanda). Il tutto cercando di ridere il più possibile, vantandosi della supposta pazzia dell'amichetto, che per estensione e spirito di gruppo, è anche la loro.
Quanto più la normalità è dietro l'angolo, tanto più bisogna presentarla come follia, prima che si scopra che non c'è più spazio per l'eventuale trasgressione.
Non si è pazzi perché ci si fuma una canna di troppo o ci si ubriaca in vacanza, si è pazzi perché non ci si accorge che siamo tutti condannati a una normalità statalizzata che fa spavento. E questo il povero non lo capirà mai.
Insomma, il povero non si accorge di essere davvero pazzo, non per quelle quattro bambinate che crede di combinare a sua detta "ai limiti della legalità", ma davvero, per tutte quelle cose che fa e che farà all'interno della legalità. Anche solo il pensare di essere "sopra le righe" è da imbecille. Il gongolarsi della propria scapigliatezza, con la mentalità da "impiegato" del vizio, da travet del "degenero", è un auto-regalarsi banane come premio.
DC
AG: - ma la festa ad Imbersago era del figlio di Moratti?
DC: - Perchè devi sempre sottolineare le cose? Avevo avuto il buon gusto di non dirlo. arrivi tu e rovini tutto.
RM: - Ma no, era la festa del figlio del giardiniere della tenuta. Il figlio di moratti non c'era neanche.
DC: - Oh, meno male. un po' di sano understatement. Vanno alla festa del giardiniere e se ne vantano. E poi tutti a giocare a calcio 30 contro 30 nel campo del padrone.
domenica 24 aprile 2005
A volte sono proprio orgogliosa di far parte del mio fashion institute!!!!!!!
Si sa,noi della Marangoni siamo un po' pazzi quindi si può immaginare il livello di degenero...
testimonianza reale tratta da Amnesia - Grazie alla Maranga
sabato 23 aprile 2005
PR Hall of Fame: Carlos Zork
A grande richiesta di tutti i suoi fan, torna in prima pagina l'intervista a Carlos Zork
Carlos Zork è decisamente uno dei pr emergenti della scena milanese: dal Caffè Atlantique al Room, da duepuntozero.com a seratemilanesi.it, chi è nelle sue liste è dentro, chi è fuori è fuori.
E-blog lo ha intervistato per voi.
E-BLOG: - Carlos, raccontaci di te e del tuo lavoro.
ZORK: - Ho 20 anni, studio grafica pubblicitaria, la notte faccio il pr per arrotondare e mantenermi agli studi, visto che i miei più di tanto non mi possono dare. Attualmente faccio il pr per l'Hollywood, per il Café Atlantique, e poi ogni mese organizzo la serata pervert al De Sade.
E-BLOG: - Serata pervert? Cosa intendi?
ZORK: - E' la serata che organizzo ogni mese al De Sade, la serata, con i gay, con le lesbiche, i travoni...quella gente lì, insomma.
E-BLOG: - Come ci si veste alla serata pervert?
ZORK: - Ci si veste tutto di bianco, o tutto di nero. Oppure bianco e nero. Io mi vesto di nero oppure di bianco e nero, ma tutto bianco mai!
E-BLOG: - Il fatto di essere diventato un pr ti fa sentire parte di un’élite? Come hai iniziato? Per te essere pr rappresenta un punto di arrivo o un punto di partenza? Come ti immagini tra dieci anni?
ZORK: - No, non mi sento parte di un’ élite, faccio il pr per mantenermi. Ho iniziato spinto da alcuni amici che lo facevano, ci ho provato, mi divertivo, e allora ho deciso di farlo anch’io.Tra dieci anni mi immagino che faccio un lavoro serio in un ufficio, oppure che lavoro in un pub.
E-BLOG: - Quanto guadagni per sera come pr?
ZORK: - Dipende da quanta gente riesco a portare nel locale. Diciamo che può variare da 30 euro a 200-300 euro se va bene.
E-BLOG: - Quante persone riesci a muovere in una serata?
ZORK: - Mediamente dalle 30 alle 50 persone.. Poi capita che io nemmeno mi presenti alla serata, però ormai sono conosciuto, ho la lista, e allora anche se non vado ci va della gente a nome mio e quindi ho comunque mosso della gente.
E-BLOG: -Ti capita di sentire il peso della responsabilità per i compiti di promozione che ti vengono affidati?
ZORK: - Sì, sia verso il locale che verso la clientela. Anche perché se poi la serata è venuta male, e allora la volta dopo telefoni alla gente per dirgli di venire a una serata, loro ti dicono “non ci fidiamo, l’altra volta è venuta uno schifo…”.
E-BLOG: - Cosa ti piace e cosa non ti piace del mondo delle discoteche milanesi?
ZORK: - Mi piace che ci si diverte. Non mi piace quando c’è la gente di merda. Quella che inizia a bere, si esalta, e allora saltano gli schiaffi. Non mi piace quando bisogna far saltare gli schiaffi.
E-BLOG: - Per il pre-discoteca, consigliaci il tuo ristorante preferito.
ZORK: - Direi l’Isola, in Corso Como.
E-BLOG: - Quali sono le tendenze in atto nel clubbing milanese, dal punto di vista dell’abbigliamento?
ZORK: - Nei posti dove faccio il pr la gente è vestita D&G, oppure Armani Jeans. A me piace vestirmi casuale. Di solito a vestirmi vado in un negozio pop, Uptown.
E-BLOG: - Qual è il tuo genere di musica preferito?
ZORK: - Una volta mi piaceva l’hip-hop, poi adesso mi piace l’elettro-house, Dj Yako, Dj Ralf, Niño Lopez, Steve Mantovani, Ricky Montanari. Mi piace l’elettro-house perché è il genere di musica che si suona nelle serate pervert.
E-BLOG: - Sei sempre fotografato con ragazze carine, com’è la storia? Sono tutte tue amiche, tutte tue fidanzate, metà e metà, …
ZORK: - Diciamo che alcune sono mie amiche, alcune sono state mie fidanzate, qualcuna magari lo è adesso!
E-BLOG: - Ma quanto è importante la bellezza nella tua vita? Qual è la filosofia cui ti ispiri?
ZORK: - La bellezza esteriore alla fine non è molto importante. Magari conosci delle ragazze che sono belle fuori, ma dentro non hanno niente…Ecco, quello che mi ispira è essere belli dentro, e raggiungere i miei obiettivi, finire la scuola, prima di tutto.
Carlos Zork è decisamente uno dei pr emergenti della scena milanese: dal Caffè Atlantique al Room, da duepuntozero.com a seratemilanesi.it, chi è nelle sue liste è dentro, chi è fuori è fuori.
E-blog lo ha intervistato per voi.
E-BLOG: - Carlos, raccontaci di te e del tuo lavoro.
ZORK: - Ho 20 anni, studio grafica pubblicitaria, la notte faccio il pr per arrotondare e mantenermi agli studi, visto che i miei più di tanto non mi possono dare. Attualmente faccio il pr per l'Hollywood, per il Café Atlantique, e poi ogni mese organizzo la serata pervert al De Sade.
E-BLOG: - Serata pervert? Cosa intendi?
ZORK: - E' la serata che organizzo ogni mese al De Sade, la serata, con i gay, con le lesbiche, i travoni...quella gente lì, insomma.
E-BLOG: - Come ci si veste alla serata pervert?
ZORK: - Ci si veste tutto di bianco, o tutto di nero. Oppure bianco e nero. Io mi vesto di nero oppure di bianco e nero, ma tutto bianco mai!
E-BLOG: - Il fatto di essere diventato un pr ti fa sentire parte di un’élite? Come hai iniziato? Per te essere pr rappresenta un punto di arrivo o un punto di partenza? Come ti immagini tra dieci anni?
ZORK: - No, non mi sento parte di un’ élite, faccio il pr per mantenermi. Ho iniziato spinto da alcuni amici che lo facevano, ci ho provato, mi divertivo, e allora ho deciso di farlo anch’io.Tra dieci anni mi immagino che faccio un lavoro serio in un ufficio, oppure che lavoro in un pub.
E-BLOG: - Quanto guadagni per sera come pr?
ZORK: - Dipende da quanta gente riesco a portare nel locale. Diciamo che può variare da 30 euro a 200-300 euro se va bene.
E-BLOG: - Quante persone riesci a muovere in una serata?
ZORK: - Mediamente dalle 30 alle 50 persone.. Poi capita che io nemmeno mi presenti alla serata, però ormai sono conosciuto, ho la lista, e allora anche se non vado ci va della gente a nome mio e quindi ho comunque mosso della gente.
E-BLOG: -Ti capita di sentire il peso della responsabilità per i compiti di promozione che ti vengono affidati?
ZORK: - Sì, sia verso il locale che verso la clientela. Anche perché se poi la serata è venuta male, e allora la volta dopo telefoni alla gente per dirgli di venire a una serata, loro ti dicono “non ci fidiamo, l’altra volta è venuta uno schifo…”.
E-BLOG: - Cosa ti piace e cosa non ti piace del mondo delle discoteche milanesi?
ZORK: - Mi piace che ci si diverte. Non mi piace quando c’è la gente di merda. Quella che inizia a bere, si esalta, e allora saltano gli schiaffi. Non mi piace quando bisogna far saltare gli schiaffi.
E-BLOG: - Per il pre-discoteca, consigliaci il tuo ristorante preferito.
ZORK: - Direi l’Isola, in Corso Como.
E-BLOG: - Quali sono le tendenze in atto nel clubbing milanese, dal punto di vista dell’abbigliamento?
ZORK: - Nei posti dove faccio il pr la gente è vestita D&G, oppure Armani Jeans. A me piace vestirmi casuale. Di solito a vestirmi vado in un negozio pop, Uptown.
E-BLOG: - Qual è il tuo genere di musica preferito?
ZORK: - Una volta mi piaceva l’hip-hop, poi adesso mi piace l’elettro-house, Dj Yako, Dj Ralf, Niño Lopez, Steve Mantovani, Ricky Montanari. Mi piace l’elettro-house perché è il genere di musica che si suona nelle serate pervert.
E-BLOG: - Sei sempre fotografato con ragazze carine, com’è la storia? Sono tutte tue amiche, tutte tue fidanzate, metà e metà, …
ZORK: - Diciamo che alcune sono mie amiche, alcune sono state mie fidanzate, qualcuna magari lo è adesso!
E-BLOG: - Ma quanto è importante la bellezza nella tua vita? Qual è la filosofia cui ti ispiri?
ZORK: - La bellezza esteriore alla fine non è molto importante. Magari conosci delle ragazze che sono belle fuori, ma dentro non hanno niente…Ecco, quello che mi ispira è essere belli dentro, e raggiungere i miei obiettivi, finire la scuola, prima di tutto.
venerdì 22 aprile 2005
Annullato il tour dei Subsonica, Samuel è in fin di vita
(ANSA) - TORINO - Samuel, il noto cantante dei Subsonica, è da ieri notte ricoverato in coma presso l'ospedale San Giovanni Battista di Torino, a causa di una gravissima infezione al cappellino.
Il primo comunicato dei medici del nosocomio torinese, che si sono riservati la prognosi, evidenzia le gravi condizioni di salute dell'artista, causate dal cappellino che gli era stato trapiantato sul cuoio capelluto.
Il trapianto di cappellino era stato l'ultima tappa della via crucis tricologica dell'artista: dai video in bianco e nero per mascherare i primi chiazzoni di alopecia, ai riporti, poi la decisione dell'equipe della Cesare Ragazzi Company di procedere al trapianto.
Samuel è mantenuto in coma farmacologico, in attesa di essere sottoposto all'asportazione del cappellino da parte dal professor Vincenzo Gallucci, noto per aver già compiuto con successo questa operazione sul chitarrista dei Velvet.
Secondo il professor Wolfgang Mertens, della prestigiosa Hair Clinic di Berlino, se anche l'operazione dovesse riuscire, i centri nervosi di Samuel sono già stati compromessi: "Il cappellino costituisce un doping sociale per queste rockstar che idealizzano la libertà, l'assenza di pregiudizi, la forza della volontà, ma in realtà basta che perdano i capelli per impedirgli di presentarsi in pubblico. Se anche l'operazione dovesse riuscire dal punto di vista chirurgico, oramai la salute mentale dell'artista è compromessa" (ANSA).
giovedì 21 aprile 2005
Cambiamenti nell'ambiente urbano dalla canzone degli Abba «The day before you came» a oggi
Tommaso Labranca a Fabrica
Cambiamenti nell'ambiente urbano dalla canzone degli Abba «The day before you came» a oggi
Conferenza aperta al pubblico 26 Aprile 2005 ore 18:00
Il prossimo 26 aprile alle ore 18:00 il noto scrittore e autore televiso Tommaso Labranca sarà a Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione del Gruppo Benetton, per un incontro dal titolo Cambiamenti nell'ambiente urbano dalla canzone degli Abba The day before you came a oggi.
Fin dalle sue prime scorribande, Labranca è stato un geniale coniatore, e soprattutto un diffusore virale, di categorie interpretative. Quello che sembra solo il terz'ultimo singolo degli Abba è in realtà la più vivida descrizione della città predigitale che ci sia rimasta dal secolo scorso. Però possiamo rendercene conto solo se analizziamo ogni verso d'allora confrontandolo alla realtà odierna. Alla fine ci stupiremo del modo in cui poco più di vent'anni abbiano reso irriconoscibili la città e il modo in cui la viviamo. E ancora di più ci stupiremo di come ormai nel corto raggio del quotidiano, succede sempre meno.
Tommaso Labranca è nato a Milano nel 1962. Prendendo spunto dalla sua fase creativa degli anni Ottanta, nel 1991 realizza dieci numeri di una 'zine', "Trashware", con la quale inizia a sviluppare il proprio interesse verso un comportamento dell'essere umano: l'emulazionismo. Da lì nascono i libri sul trash ("Andy Warhol era un coatto"), sul barocco brianzolo ("Estasi del pecoreccio"), sul cialtronismo ("Chaltron Hescon") e sulla nuova massa urbana ("Neoproletariato"). Dilaniato tra ricerca intellettuale e cedimenti alle sirene del pop ha anche scritto una agiografia di Orietta Berti ("La vita secondo Orietta") e una analisi concentrata sugli stereotipi del Grande Fratello ("Grazie Fratello" con Dea Verna). A maggio uscirà la sua traduzione-adattamento del manuale "Metrosexual" di Michael Flocker (Sperling & Kupfer). Sta finendo di scrivere "Late nite cappuccino". Come autore televisivo ha collaborato ad alcuni programmi, tra cui "Anima mia", "Com'è", "Anni novanta" e "Galatea", tutt'ora in onda su RaiDue.
Per maggiori informazioni:
Michela Miracapillo tel.041 5228034 fax 041 5234024 workshop@fabrica.it
Angela Quintavalle tel. 0422 516209 fax. 0422 609088 angie@fabrica.it
Fabrica, Via Ferrarezza 31020 Catena di Villorba (TV)
FABRICA
Cambiamenti nell'ambiente urbano dalla canzone degli Abba «The day before you came» a oggi
Conferenza aperta al pubblico 26 Aprile 2005 ore 18:00
Il prossimo 26 aprile alle ore 18:00 il noto scrittore e autore televiso Tommaso Labranca sarà a Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione del Gruppo Benetton, per un incontro dal titolo Cambiamenti nell'ambiente urbano dalla canzone degli Abba The day before you came a oggi.
Fin dalle sue prime scorribande, Labranca è stato un geniale coniatore, e soprattutto un diffusore virale, di categorie interpretative. Quello che sembra solo il terz'ultimo singolo degli Abba è in realtà la più vivida descrizione della città predigitale che ci sia rimasta dal secolo scorso. Però possiamo rendercene conto solo se analizziamo ogni verso d'allora confrontandolo alla realtà odierna. Alla fine ci stupiremo del modo in cui poco più di vent'anni abbiano reso irriconoscibili la città e il modo in cui la viviamo. E ancora di più ci stupiremo di come ormai nel corto raggio del quotidiano, succede sempre meno.
Tommaso Labranca è nato a Milano nel 1962. Prendendo spunto dalla sua fase creativa degli anni Ottanta, nel 1991 realizza dieci numeri di una 'zine', "Trashware", con la quale inizia a sviluppare il proprio interesse verso un comportamento dell'essere umano: l'emulazionismo. Da lì nascono i libri sul trash ("Andy Warhol era un coatto"), sul barocco brianzolo ("Estasi del pecoreccio"), sul cialtronismo ("Chaltron Hescon") e sulla nuova massa urbana ("Neoproletariato"). Dilaniato tra ricerca intellettuale e cedimenti alle sirene del pop ha anche scritto una agiografia di Orietta Berti ("La vita secondo Orietta") e una analisi concentrata sugli stereotipi del Grande Fratello ("Grazie Fratello" con Dea Verna). A maggio uscirà la sua traduzione-adattamento del manuale "Metrosexual" di Michael Flocker (Sperling & Kupfer). Sta finendo di scrivere "Late nite cappuccino". Come autore televisivo ha collaborato ad alcuni programmi, tra cui "Anima mia", "Com'è", "Anni novanta" e "Galatea", tutt'ora in onda su RaiDue.
Per maggiori informazioni:
Michela Miracapillo tel.041 5228034 fax 041 5234024 workshop@fabrica.it
Angela Quintavalle tel. 0422 516209 fax. 0422 609088 angie@fabrica.it
Fabrica, Via Ferrarezza 31020 Catena di Villorba (TV)
FABRICA
mercoledì 20 aprile 2005
Emanuele Severino
La Chiesa sottovaluta la potenza del pensiero filosofico e lo riduce a semplice relativismo. Non riesce a scorgere la potenza concettuale che sta alla radice del relativismo e delle altre forme del pensiero contemporaneo.
...
La verità del cristianesimo è fede, e cioè è volontà che il mondo abbia un senso piuttosto che altri, i quali avrebbero lo stesso diritto di farsi valere.
Questo fatto porta la fede in una pericolosa vicinanza alla volontà di potenza e violenza.
...
L'eternità autentica non è quella di un padrone, creatore, demiurgo che domina le creature e il divenire.
...
Indubbiamente l'uomo non può vivere senza una fede, così come è difficile sopravvivere senza ingannare.
La necessità della fede non significa la sua verità, inoltre si fa avanti una fede più forte di quella religiosa: le montagne sono mosse ormai sempre più dalla fede nella tecnica.
...
La verità del cristianesimo è fede, e cioè è volontà che il mondo abbia un senso piuttosto che altri, i quali avrebbero lo stesso diritto di farsi valere.
Questo fatto porta la fede in una pericolosa vicinanza alla volontà di potenza e violenza.
...
L'eternità autentica non è quella di un padrone, creatore, demiurgo che domina le creature e il divenire.
...
Indubbiamente l'uomo non può vivere senza una fede, così come è difficile sopravvivere senza ingannare.
La necessità della fede non significa la sua verità, inoltre si fa avanti una fede più forte di quella religiosa: le montagne sono mosse ormai sempre più dalla fede nella tecnica.
lunedì 18 aprile 2005
domenica 17 aprile 2005
Blog Manifesto
Tutto ciò che esiste merita di essere compreso.
Come studioso del mondo lo osservo e lo fotografo, con lo stessa voglia di capire studio logoterapia, guardo le minorenni con la vita bassa nella metro, gli hello kitty x telefonini, i bengala lanciati a san siro dai tifosi dell'inter, le stelle nel cielo.
Poi, acquisiti dati sufficienti, in base al mio gusto estetico, con tutti i limiti dei miei mezzi culturali, mi prefiggo però anche di fare delle distinzioni tra l'opera di Viktor Frankl e quella di Vasco Rossi.
Le persone nella loro vita possono essere orientate da volontà di piacere, volontà di potenza, volontà di senso.
Le persone di minore comprensione (e maggiore diffusione) tendono alla volontà di piacere: macchine, celebrità, sesso con persone famose (cfr. Neoproletariato, Tommaso Labranca), e denaro in funzione di raggiungere gli obiettivi già citati.
I bravi borghesi, da quelli di Flaubert, ai milanesi, alla mia vicina di casa, ambiscono alla volontà di potenza: buoni studi, una buona posizione, una casa grande, una bella moglie, l''appartamento al mare, la settimana bianca, un figlio medico e un figlio avvocato, una figlia sposata bene, i nipotini, morire in casa accuditi dalla badante.
C'è poi chi ambisce alla volontà di senso: dare un senso alla propria vita, oppure semplicemente capire il senso delle cose (mentre il senso, per Vasco & c., si è già fermato alla volontà di piacere).
Questo blog fa parte della mia volontà di senso.
Come studioso del mondo lo osservo e lo fotografo, con lo stessa voglia di capire studio logoterapia, guardo le minorenni con la vita bassa nella metro, gli hello kitty x telefonini, i bengala lanciati a san siro dai tifosi dell'inter, le stelle nel cielo.
Poi, acquisiti dati sufficienti, in base al mio gusto estetico, con tutti i limiti dei miei mezzi culturali, mi prefiggo però anche di fare delle distinzioni tra l'opera di Viktor Frankl e quella di Vasco Rossi.
Le persone nella loro vita possono essere orientate da volontà di piacere, volontà di potenza, volontà di senso.
Le persone di minore comprensione (e maggiore diffusione) tendono alla volontà di piacere: macchine, celebrità, sesso con persone famose (cfr. Neoproletariato, Tommaso Labranca), e denaro in funzione di raggiungere gli obiettivi già citati.
I bravi borghesi, da quelli di Flaubert, ai milanesi, alla mia vicina di casa, ambiscono alla volontà di potenza: buoni studi, una buona posizione, una casa grande, una bella moglie, l''appartamento al mare, la settimana bianca, un figlio medico e un figlio avvocato, una figlia sposata bene, i nipotini, morire in casa accuditi dalla badante.
C'è poi chi ambisce alla volontà di senso: dare un senso alla propria vita, oppure semplicemente capire il senso delle cose (mentre il senso, per Vasco & c., si è già fermato alla volontà di piacere).
Questo blog fa parte della mia volontà di senso.
venerdì 15 aprile 2005
mercoledì 13 aprile 2005
martedì 12 aprile 2005
Più vado avanti più mi rendo conto che alla base di tutto il mio "pensiero" vi è solo una osservazione: l'uomo non vuole mai essere quello che in realtà è e fa di tutto per nasconderlo.
Allora emula, fallendo, modelli più elevati (trash), si dedica alla magniloquenza (barocco brianzolo), si getta a capofitto nei luoghi comuni perché ha paura delle diversità (cialtronismo) e cerca disperatamente di elevarsi dalla sua condizione di umiltà, rovinato da modelli televisivi di "bellezza" fisica o da stili di vita fintamente trendy (neoproletariato).
Il problema, però, è che io sono immerso completamente in questi comportamenti, non li osservo dall'esterno.
Io sono trash, sono magniloquente, cado spesso nel luogo
comune e sono un perfetto neoproletario.
Tommaso Labranca
Allora emula, fallendo, modelli più elevati (trash), si dedica alla magniloquenza (barocco brianzolo), si getta a capofitto nei luoghi comuni perché ha paura delle diversità (cialtronismo) e cerca disperatamente di elevarsi dalla sua condizione di umiltà, rovinato da modelli televisivi di "bellezza" fisica o da stili di vita fintamente trendy (neoproletariato).
Il problema, però, è che io sono immerso completamente in questi comportamenti, non li osservo dall'esterno.
Io sono trash, sono magniloquente, cado spesso nel luogo
comune e sono un perfetto neoproletario.
Tommaso Labranca
lunedì 11 aprile 2005
giovedì 7 aprile 2005
quello che c'è da dire su coppola e avere 20 anni
Coppola intervista sempre poveri "intelligenti" e ricchi "idioti". è la sua dialettica. pensa di dare una sua visione del mondo.
martedì 5 aprile 2005
lunedì 4 aprile 2005
Si dice barista, non bartender
Quest’idea della dignità estrema del lavoratore umile, dell’eroicismo di tutti i giorni, questa saga dell’operaio con quattro figli nullafacenti a carico, queste storie da rotocalco da barbiere, hanno sì trasmesso una concezione (che decontestualizzata può anche avere una valenza positiva) dell’ “accontentarsi è meglio”, del “la vera impresa è tirare dare avanti lavorando con dignità” ma in maniera esasperata ed impropria. Più che dare voce a persone meritevoli è finita per fornire un alibi, una scusa per chi non ci vuole neanche provare. Da generazioni.
Mi accorgo però che, fatta eccezione per i fruitori precoci di questa ideologia della mediocrità, reale o apparente che sia, i cosiddetti “giovani” non se la “bevono”.
“Tu ci trovi dignità a stare in poltrona, con la pantofola, lo spaghetto pronto e Bonolis, giustificato e beato dalla consapevolezza di aver lavorato tutto il giorno? Beh io no, caro papi, con la dignità non ci compro una sega e me ne vado al Gioia a spendere quelle due lire fradice di sudore che da operaio quale sei hai portato a casa.”
Ed è qui che si perde l’unico scampolo di idea valida della filosofia del “povero è bello”: la dignità del lavoro. O meglio, la vergogna del lavoro. Si parla ovviamente di lavori semplici. Pochi si vergognano di fare i direttori finanziari.
Ho assistito inorridito allo sfogo di un amico barista (in quanto proprietario del locale) che mi raccontava come oggi sia impossibile trovare ragazze di aspetto decente per servire ai tavoli. Si vergognano. È degradante. Lo fanno per una settimana e poi chiedono di essere messe dietro al banco. Icone, ruoli dettati da campagne di comunicazione devianti e criminali. Ammiccanti ragazze o muscolosi fantocci che fanno roteare bottiglie di superalcolici sopra la testa con la velocità con cui fanno roteare i coglioni. E di colpo non sei più barista, sei BARTENDER. Una sorta di superpippo del bar dello sport. Ti senti subito nobilitato, non degradato e imprigionato dalla terminologia della nostra vetusta ed insulsa lingua, non barista ma bartender. E di colpo non ti vergogni più di servire da bere alle persone. Perché questa è la base del problema: servire gli altri, è stargli sotto, è essere da meno. Questa profonda incomprensione, deformazione, cela malamente le radici di un paese ancora impregnato dell’odore della terra. Un paese basato sul primario e sul secondario, al quale la logica del servizio è aliena. Fornire un servizio è sottomissione. Io a te non ti porto da bere al tavolo te lo vieni a prendere al bar. Da me che sono il bartender e intanto faccio anche il mio spettacolino.
Forse, se cominciamo a chiamarle WAITRESS anziché “cameriera”, fuggiranno in branco dai loro corsi fasulli di design, dai posti di HOSTESS alle fiere (dove si sentono nobilitate dal gesto di fare presenza) e correranno verso il bar più vicino. E le cose torneranno ad avere senso. Per alcuni.
Il Deboscio
Mi accorgo però che, fatta eccezione per i fruitori precoci di questa ideologia della mediocrità, reale o apparente che sia, i cosiddetti “giovani” non se la “bevono”.
“Tu ci trovi dignità a stare in poltrona, con la pantofola, lo spaghetto pronto e Bonolis, giustificato e beato dalla consapevolezza di aver lavorato tutto il giorno? Beh io no, caro papi, con la dignità non ci compro una sega e me ne vado al Gioia a spendere quelle due lire fradice di sudore che da operaio quale sei hai portato a casa.”
Ed è qui che si perde l’unico scampolo di idea valida della filosofia del “povero è bello”: la dignità del lavoro. O meglio, la vergogna del lavoro. Si parla ovviamente di lavori semplici. Pochi si vergognano di fare i direttori finanziari.
Ho assistito inorridito allo sfogo di un amico barista (in quanto proprietario del locale) che mi raccontava come oggi sia impossibile trovare ragazze di aspetto decente per servire ai tavoli. Si vergognano. È degradante. Lo fanno per una settimana e poi chiedono di essere messe dietro al banco. Icone, ruoli dettati da campagne di comunicazione devianti e criminali. Ammiccanti ragazze o muscolosi fantocci che fanno roteare bottiglie di superalcolici sopra la testa con la velocità con cui fanno roteare i coglioni. E di colpo non sei più barista, sei BARTENDER. Una sorta di superpippo del bar dello sport. Ti senti subito nobilitato, non degradato e imprigionato dalla terminologia della nostra vetusta ed insulsa lingua, non barista ma bartender. E di colpo non ti vergogni più di servire da bere alle persone. Perché questa è la base del problema: servire gli altri, è stargli sotto, è essere da meno. Questa profonda incomprensione, deformazione, cela malamente le radici di un paese ancora impregnato dell’odore della terra. Un paese basato sul primario e sul secondario, al quale la logica del servizio è aliena. Fornire un servizio è sottomissione. Io a te non ti porto da bere al tavolo te lo vieni a prendere al bar. Da me che sono il bartender e intanto faccio anche il mio spettacolino.
Forse, se cominciamo a chiamarle WAITRESS anziché “cameriera”, fuggiranno in branco dai loro corsi fasulli di design, dai posti di HOSTESS alle fiere (dove si sentono nobilitate dal gesto di fare presenza) e correranno verso il bar più vicino. E le cose torneranno ad avere senso. Per alcuni.
Il Deboscio
domenica 3 aprile 2005
sabato 2 aprile 2005
Il bisogno di credere
Il Papa sta morendo.
Il senso della sua esistenza e della sua morte trascende quello che rappresentava per la Chiesa, in quanto simbolo diretto per milioni di persone, non solo della religione cattolica.
L'esistenza dell'uomo è tesa ad avere un senso.
Il piacere richiede sempre nuovo piacere, il potere sempre nuovo potere, la felicità mentre la si insegue ce ne si allontana.
La fede invece dà conforto, perché è un obiettivo in cui impegnare tutta la propria vita, e che prevede che le attese non possano essere deluse: gli amori e il potere finiscono nel corso della nostra vita, mentre la fede ha la sua realizzazione oltre il nostro orizzonte.
Per questo, l'importante è credere.
Solo che credere è difficile, e allora è fondamentale qualcuno che sostenga l'illusione, che dia una presenza visibile dell'intangibile: il Papa aiutava e incitava a credere, perché nemmeno importa quale sia la religione, e infatti è stato il primo Papa a visitare sinagoghe e moschee (in questo il suo essere simbolo aldilà delle confessioni).
Rientrando a casa, trovarono in fondo alla scala, sotto la Madonna, Marcel in ginocchio, che pregava fervidamente.
"Che idiota", disse Bouvard.
"Perchè? Forse sta vedendo cose che tu gli invidieresti, se potessi vederle. Che importa ciò a cui si crede! La cosa principale è credere". Tali furono, alle osservazioni di Bouvard, le obiezioni di Pécuchet.
Il senso della sua esistenza e della sua morte trascende quello che rappresentava per la Chiesa, in quanto simbolo diretto per milioni di persone, non solo della religione cattolica.
L'esistenza dell'uomo è tesa ad avere un senso.
Il piacere richiede sempre nuovo piacere, il potere sempre nuovo potere, la felicità mentre la si insegue ce ne si allontana.
La fede invece dà conforto, perché è un obiettivo in cui impegnare tutta la propria vita, e che prevede che le attese non possano essere deluse: gli amori e il potere finiscono nel corso della nostra vita, mentre la fede ha la sua realizzazione oltre il nostro orizzonte.
Per questo, l'importante è credere.
Solo che credere è difficile, e allora è fondamentale qualcuno che sostenga l'illusione, che dia una presenza visibile dell'intangibile: il Papa aiutava e incitava a credere, perché nemmeno importa quale sia la religione, e infatti è stato il primo Papa a visitare sinagoghe e moschee (in questo il suo essere simbolo aldilà delle confessioni).
Rientrando a casa, trovarono in fondo alla scala, sotto la Madonna, Marcel in ginocchio, che pregava fervidamente.
"Che idiota", disse Bouvard.
"Perchè? Forse sta vedendo cose che tu gli invidieresti, se potessi vederle. Che importa ciò a cui si crede! La cosa principale è credere". Tali furono, alle osservazioni di Bouvard, le obiezioni di Pécuchet.
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